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RicorGol: Come un pugno, parte III - 1989

condividi su facebook condividi su twitter 10-11-2022

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RicorGol: Come un pugno, parte III - 1989

Il derby non è ancora deciso, Marco ricorda uno degli insegnamenti del padre. Intanto il match sta per riprendere e qualcosa in lui inizia a smuoversi. Forse non è ancora tutto perduto.

1989

Reach out, touch faith
Your own personal Jesus
Someone to hear your prayers
Someone who cares
Your own personal Jesus
Someone to hear your prayers
Someone who's there…

Cosi cantavano i Depeche Mode attraverso lo stereo della Opel Kadett di Filippo mentre Marco seduto di fianco ancora euforico teneva in mano il suo ultimo trofeo appena conquistato. Rossana seduta dietro spostava lo sguardo un po’ verso il marito e un po’ verso il figlio, sorridendo soddisfatta per la famiglia unita e amorevole che era riuscita a costruire con tanta fatica e sacrificio.

Guardava Marco ormai diciannovenne, capelli mossi e biondo miele che era così contento in quel momento, lo vedeva mentre riviveva col papà i momenti appena trascorsi sul ring. Marco, così come aveva intuito Filippo, con la boxe ci sapeva fare. Quella predisposizione, quel talento, così naturale a dir poco istintivo stava maturando nel ragazzo sotto la guida esperta del padre, e poco alla volta si stava consolidando facendo pensare che il “Piccolo Rocky di Torre Angela”, così lo chiamavano amici e parenti e anche nell’ambiente della boxe capitolina, stesse definitivamente per fare il salto di qualità e passare alla fase successiva, ovvero la realizzazione di un sogno.

Il sogno che Filippo aveva coltivato per anni: quello di vedere Marco diventare un campione.

Marco era euforico non solo per il trofeo vinto, in fin dei conti con la sua dote, non era il primo che portava a casa, ma era contento perché il padre gli aveva promesso che vinto anche quel trofeo lo avrebbe portato in America, negli States. Nella Philadelphia di Rocky. Marco era un fan accanito di Rocky. Per rendere chiara la sua passione c’è da sapere che quando Filippo lo accompagnò qualche anno prima al cinema a vedere Rocky IV il ragazzo uscì dal cinema completamente sudato. L'emozione che aveva vissuto attraverso lo schermo era stata così forte che il ragazzo aveva patito il ring insieme a Silvester Stallone, sudando freddo fino a fine proiezione.

In camera sua Marco aveva ogni poster o locandina della serie cinematografica alternata solo dai poster della Roma, altra sua passione. Era un susseguirsi di immagini alternate tra Silvester Stallone in calzoncini da boxe e Giuseppe Giannini in calzoncini da calcio.

- Papà ormai me l’hai promesso, domani andiamo subito a fare i biglietti, ci voglio stare un mese a Philadelphia! –

- Seeeee a bello, papà fa il muratore mica il gioielliere. E che gli dico io al lavoro che vado via un mese? E Poi chi lo paga l’albergo? Tu? – Rideva Filippo prendendo il giro il figlio.

- Caro mio un mese no! Ma quel che è promesso è promesso Filippo. Almeno una decina di giorni me li voglio fare pure io. E che sto sempre solo a pulì e cucina’? Voglio fa la Signora pure io una volta ogni tanto! – Aggiungeva Rossana scimmiottando la figura di una donna capricciosa.

- Insomma bella coppia avete fatto tutti e due. M’avete proprio fregato, vabbè va’. E dieci giorni siano, non di più però eh! Facciamoceli bastare – concludeva Filippo facendo spazio sotto i baffi marrone nocciola a un sorriso complice e sereno.

Arrivati a casa la giornata proseguiva tranquillamente, a cena Marco ancora diceva al padre – Hai visto nella seconda ripresa, quando ha messo male il piede destro? Subito l’ho colpito, quella botta è stata una mezza vittoria – Marco come il padre ormai viveva per la boxe. Filippo dal canto suo oltre a esserne orgoglioso e artefice rendeva la boxe un metodo di insegnamento per il figlio, trasmettendogli il senso del sacrificio, della lealtà e del rispetto per l’avversario. Aveva avuto qualche soddisfazione da ragazzo ma nulla di paragonabile a quello che stava per raggiungere Marco.

Suona la sveglia. Sono le 4:45. Come ogni mattina Filippo si alza all’alba per andare a svolgere il suo lavoro da muratore.

È fortunato, in questi giorni sta lavorando in un cantiere vicino casa, ci mette poco per andare a lavoro e non deve neanche prendere la macchina. Lì vicino a pochi isolati stanno costruendo un complesso residenziale composto da 3 palazzine di 4 piani. Ospiterà tante famiglie come la sua. Gli piace il suo lavoro, e gli orari che fa gli hanno sempre consentito di coltivare la sua passione principale, la boxe. Ora con gli anni passati e la fatica di questo mestiere, frequenta la palestra spesso la palestra come spettatore oltre che come allenatore e preparatore di Marco. Gli anni in cui anche lui combatteva sono finiti. A fargli compagnia quella mattina come di consueto c’è sua moglie. Anche lei per ritagliarsi un altro po’ di tempo per stare con il marito si alza presto e fanno colazione insieme. Marco ancora piena di adrenalina per aver “staccato” il biglietto per la tanta agognata Philadelphia sente i genitori armeggiare con le tazze della colazione in cucina e decide di raggiungerli per fare colazione tutti insieme. Anche lui tuttavia deve andare a scuola, è all’ultimo anno dell’istituto tecnico commerciale.

- Mamma, papà oggi non mi va di andare a scuola, posso andare in palestra ad allenarmi piuttosto? –

Rossana si ferma lo guarda sollevando un sopracciglio e portandosi le mani ai fianchi – Marco tu tutti i giorni non ci vuoi andare a scuola, non se ne parla, fila.-

Marco come ogni adolescente, rincara la dose e alza di un tanto i toni della discussione – Ma scusate eh, tanto co sto diploma non ce farò mai niente, ormai so arrivato, farò il pugile, camperò de quello e farò molti più soldi di quelli che voi avete anche solo mai immaginato, che ci vado a fa a sta scuola che manco me piace? –

Filippo, per quanto fosse amante dell’idea di futuro del figlio non si dimentica di essere un genitore – Marco ha ragione tua madre, non si discute. E su Marcolì’ tutti i giorni sta storia. La scuola ce lo siamo sempre detti la finisci. Poi fai quello che vuoi, ma la scuola la devi finire, sei arrivato all’ultimo anno. Come ci sei arrivato Dio solo lo sa, ma ci sei arrivato. Proprio perché è avvenuto sto miracolo non lo mandiamo sprecato, a scuola ci vai e prendi il diploma. E Basta. –

Marco improvvisamente sempre più in preda all’inizio di una crisi adolescenziale batte forte un pugno sul tavolo e alzando ancor di più la voce risponde al padre – Guarda che me l’hanno detto tutti che il futuro mio è quello de fa il pugile. Mica voglio fa la fine tua tutti i giorni in mezzo alla polvere e ai calcinacci – Filippo e Rossana si guardano mentre sentono le parole del figlio senza comprendere le ragioni di quella reazione smodata.

- Senti un po’ a regazzi’, porta rispetto a me e a tua madre che la polvere e i calcinacci fino a mo’ t’hanno fatto magna e t’hanno vestito. E tante cose che fai compresa la boxe le devi pure a sto lavoro che tanto te fa schifo – Inizia a rispondere Filippo mentre Rossana ancora è sbalordita per la sfrontata battuta del figlio. Marco non risponde neanche più, il padre l’ha colpito al punto giusto e con poche parole lo costringe a alzarsi con uno scatto nervoso e a ritornare in camera sua sbattendo però con molta violenza la porta al punto quasi da far staccare le mostre della stessa dalla parete.

Il clima sereno è rovinato per quella mattina. Filippo finisce velocemente e nervosamente di fare colazione per prendere e uscire. Rossana delusa per l’accaduto mestamente inizia a sparecchiare le poche cose messe in tavola per la colazione.

Marco come tutti i ragazzi della sua età è in fase di transizione, non ancora uomo non più bambino. Ma come ogni adolescente alterna queste due personalità in base agli sbalzi ormonali tipici di quella fascia d’età. Chiuso in camera sua, fa passare il tempo e con esso anche l’orario di entrata a scuola. La madre che ha aspettato e ribollito come un pila sul fuoco arrivati a questo punto della sfida con il figlio espolde.

- Marco, esci subito da sta stanza e corri a scuola, entri in seconda ora te la faccio io la giustificazione non mi importa ma st’atteggiamento non mi piace, altro che America a te! Marco! Marco! –

Squilla il telefono. Rossana viene interrotta mentre urlava contro la porta della camera del figlio. Un brivido le corre lungo la schiena, il telefono l’ha come spaventata. Si gira verso l’apparecchio e lo lascia squillare un’altra volta ancora, quasi come a voler esser sicura che non se lo sta immaginando, sta squillando davvero.

- Pronto… -

Pochi secondi e Rossana cade in ginocchio lasciando cadere il telefono. Marco esce dalla cameretta e vede la madre con la faccia stralunata fissare nel vuoto in ginocchio vicino al mobiletto del telefono con la cornetta a terra. La donna ha le lacrime che le rigano il volto e non riesce quasi neanche a respirare più.

- Mamma che succede?! OH! Che Succede?! – Marco ha capito.

Il legame che lo legava al padre nel bene e nel male come tutti i legami forti che esistono in natura gli ha trasmesso un segnale. Un sudore freddo gli bagna la pelle velocemente, scuote la testa incredulo e si fionda verso la porta di casa. Salta le rampe del vano scala una a una, quasi come volasse e si fionda in strada in direzione del cantiere dove lavora il padre. Marco corre così forte come non ha mai corso in vita sua, non è giusto, pensa, non può essere giusto. Marco corre, quel legame gli sta inviando segnali sempre più cupi e forti, come fossero pugni scagliati su una porta. Il viso gli si contrae e tira fuori i denti mentre le lacrime proseguono le linee disegnate dalle pieghe del volto fino a finirgli nelle orecchie e fra i capelli biondo miele. Respira male, il cuore gli batte forte e veloce. Gira l’ultimo incrocio prima di arrivare al cantiere. Tra la folla dei curiosi vede un’ambulanza e due pattuglie di carabinieri accorsi sul posto avvisati dai colleghi di Filippo. Marco, nonostante la ragione gli avesse già dato la brutta notizia, con il cuore gonfio di rabbia e dolore, aveva sperato che non fosse accaduto proprio a lui.

Non è preparato a questo.

Niente ci prepara a questo.

Si fionda come una belva tra la folla, la forza scaturita dalla disperazione è tale che sposta le persone presenti come fossero inconsistenti. Viene fermato solo poco più avanti da alcuni colleghi di Filippo che lo riconoscono e dai carabinieri presenti. Nonostante siano in 5 a provare a tenerlo, a evitargli la visione del padre steso a terra coperto da un lenzuolo bianco, gli occhi glaciali del ragazzo raggiungono lo stesso quell’immagine. Quell’uomo forte che era Filippo, ora giace, immobile, in mezzo alla terra sottile come la sabbia, con solo un telo bianco a dividerlo tra la terra e il cielo. Gli occhi di Marco tremano. Più forte della sua voce, che come un’esplosione gli esce dal corpo e che riempie l’aria di un dolore insopportabile. Incomprensibile.

Giorni nostri

-Guarda guarda, quasi gli balla attorno – Dice con un sorriso beffardo un presente all’incontro. In effetti l’avversario di Marco ne ha da vendere. Saltella leggerissimo sul tappeto del ring, e con un mezzo sorrisetto stampato in volto appena ammaccato da qualche tiepido colpo che ha incassato. Il ragazzo sarà pur forte è vero, forse anche fortissimo, ma l’atteggiamento mostrato sul ring è sprezzante, irrisorio, non da campione. Nonostante avesse potuto concludere da parecchio l’incontro, sta aspettando, vuole demolire il “piccolo Rocky di Torre Angela” che così ci penserà due volte prima di chiedere un incontro con lui la prossima volta.

Gli occhi ghiaccio di Marco guardano il ragazzo saltellargli davanti e man a mano si fa più vicino. Inizia la mattanza. Il ragazzo sfodera una serie colpi come sempre precisi e violentissimi, intanto i secondi scorrono ma su quel ring ogni secondo per lui sembra un’ora. La forza che lo tiene in piedi alla sesta ripresa nella sua condizione atletica, contro questo prodigio della boxe rasenta l’incredibile.

Inizia a pensarlo anche il suo avversario che, round dopo round, con tutti quelle botte, dovrebbe avere di fronte un morto che cammina, anzi non dovrebbe proprio aver di fronte più nessuno, ma solo un vecchio pugile steso al tappeto privo di sensi.

Invece continua a tirare pugni su pugni su quello che, se alla prima ripresa sembrava  essere una passeggiata - un ammasso di muscoli arrugginiti - adesso sta diventando un tirare pungi contro un macigno. Ad un tratto, questa piccola disattenzione del ragazzo viene catturata dagli occhi ghiacciati. Un lampo. Una sagoma di pelle nera vola come una mattonata sul volto finora rimasto quasi illeso. Il tonfo del colpo ammutolisce per un secondo l’intero palazzetto che incredulo non crede ai suoi occhi. Un rivolo di sangue bagna il suolo. Il ragazzo che ha subito il colpo di sorpresa reagisce male a quello che ha considerato come un affronto e si fionda feroce su Marco, la perdita di concentrazione e lucidità fanno sì che tiri un colpo sotto la cintura.

L’arbitro ferma l’incontro. Ha visto l’irregolarità e la sanziona come giusto che sia.

I pugili hanno 5 minuti nei rispettivi angoli prima di riprendere il combattimento come da regolamento.

– Mummia! Ti ammazzo adesso, se fino a mo m’hai fatto pena mo t’ammazzo – grida il ragazzo che quel colpo subito gli ha fatto più male nell’orgoglio che sul volto. Marco gli fa di sì con la testa e si avvia verso il suo angolino

- Oh ammazza che botta che gli ha tirato, Senti un po’ ma la Roma? – sente chiedere da uno spettatore a ridosso del ring

– Sta a gioca bene, lo sai chi vedo proprio bene in campo oggi? Balzaretti, da che pareva un bidone con i piedi storti oggi lo vedo bello carico! – risponde all’amico l’altro presente tra la folla.

Il vecchio pugile sta per mettersi seduto al suo angolino quando tra la folla sulle gradinate di metallo vede una sagoma. Non crede ai suoi occhi che si spalancano, entrambe per quanto possibile, visto che uno è quasi praticamente chiuso, e ferma per un’istante l’incedere verso lo sgabello per riprendere fiato.

La madre è venuta a vederlo.

di Vasco Maria Ciocci

 

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