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RicorGol: Come un pugno, parte IV - 1999

condividi su facebook condividi su twitter 16-11-2022

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RicorGol: Come un pugno, parte IV - 1999

Nelle puntate precedenti di "Come un pugno", racconto breve della rubrica "RicorGol": "La perdita improvvisa del padre di Marco è un duro colpo per il ragazzo, che rischia di percorrere binari sbagliati. La sfida sul ring prosegue così come il Derby tra Roma e Lazio, con Rudi Garcia che spera di rimettere la chiesa al centro del villaggio dopo il KO subito in Finale di Coppa Italia pochi mesi prima".

1999

- Ammazza che tempaccio stasera eh Marcolì’? –

- Si, mortacci…- risponde Marco mentre è intento ad accendersi una sigaretta riparandosi sotto un balcone con l’aiuto del colletto del giubetto di pelle.

- Senti Massimo, ma famme un po’ capì chi so questi che devono venì co’ noi? -

- È gente sveglia, sta tranquillo, lo sai, mica so scemo io. Se non me fido non me sbottono mica degli impicci nostri – risponde l’amico, Massimo. Una di quelle compagnie che sarebbe meglio non frequentare.

- Mmmm.. Sarà. Non famo come l’ultima volta che a momenti va tutto a puttane, vedi che se ce pizzicano stavolta so cazzi –

Massimo, scocciato dall’ennesimo malcelato scetticismo dell’amico – Ao, senti un po’ ma lo sai quello che stamo pe anda’ a fa’ si o no? Se volevi sta tranquillo potevi fa’ domanda alle poste no? Te mettevi col culetto bello comodo a sede sulla sedia, ferie e malattie pagate. Me pare che stai qua a piatte un mare d’acqua con me invece. Perciò fidate e non rompe. –
Marco stizzito butta la sigaretta ormai completamente bagnata anch’essa e resta appoggiato al muro sempre cercando di rimanere riparato sotto i balconi che affacciano sul marciapiedi.

Poco dopo due fari illuminano uno scorcio di pioggia che come tanti piccoli aghi scende copiosi. La vettura svolta velocemente e con un’ampia manovra gira fino ad arrivare davanti ai due ragazzi che stavano aspettando. Il motore si spegne e dall’auto scendono due figure. Uno dei due ha il volto semi sfigurato.

- Ooooh! Ce l’avete fatta a venì, tra un po’ io e l’amico mio stavamo a pensa de anda da soli a fa sto lavoretto – Esclama Massimo facendo finta di essere più padrone della situazione di quanto fosse in realtà. Uno dei due con accento dell’est esclama

– E dove vai te che non sai aprire manco porta di casa tua?! Fai me piacere! – Sghignazzano i due appena arrivati.Massimo torna di colpo con i piedi per terra, nella sua dimensione di ladruncolo da quattro soldi.

I 4 ragazzi salgono in macchina e iniziano a percorrere la strada a gran velocità, curva dopo curva il guidatore sembra sempre meno avere il controllo della vettura. – Aoh! Ma che è sta puzza, ma che hai bevuto? – Esclama Marco.

– No è problema, è porta fortuna! Massimo cosa tu avere portato? Pisciasotto? – Risponde con tono da sbruffone il ragazzo dal volto sfigurato.

- Ma no, ma no è emozionato, è la prima volta che facciamo il lavoretto in una villa, di solito ci siamo fatti qualche negozietto, qualche povera vecchia rincoglionita sul tram. Poca roba niente di più, oggi si alza la posta in palio. Oggi Marco lo facciamo diventare grande! – Scoppiano tutti a ridere nella vettura, quando all’approssimarsi di un’altra curva i fari illuminano in lontananza un posto di blocco. Il poliziotto inizia piano piano ad avvicinarsi al ciglio della strada e sta preparando la paletta per fermare i ragazzi.

- No fermare!-

- Ma che cazzo dici oh? Come no fermare? Ma che sei matto? – Sussulta Marco

- Non possiamo fermare – controbatte con ancor più decisione il volto sfigurato

- Macchè dici, questi ce corrono dietro! Salta tutto così, mica ci possiamo torna domani! OH! – urla Massimo che inizia a temere di essersi messo in società con due veri criminali, e senza niente da perdere.

- Se loro ferma noi, e vede questa – nel mentre estrae una pistola da dentro la giacca- io finisce in galera e addio – Il guidatore nel mentre ride, ormai palesemente ubriaco e aggiunge – No è solo quella problema – e indica con il pollice il retro della vettura.

- Ma che stai a dì? Che c’è nel portabagagli? – Chiede Massimo ormai con il terrore stampato in faccia.

- C’è piccolo favore che dobbiamo a un amico che no potevamo dire no, prima di andare a villa dobbiamo lasciare pacco. –

Intanto la polizia fa cenno alla vettura di iniziare la manovra per accostarsi.

- Vai Nikolai! Vai - Urla il volto sfigurato quasi in preda a un delirio di adrenalina che a poco a poco pervade i componenti della vettura.

Marco e Massimo sono terrorizzati, in fin dei conti sono solo ragazzi, qualche piccolo crimine finora, ma qui la cosa iniziava a farsi seria, grave. Questi due sono dei criminali in piena regola, fuori di testa e fuori controllo. Il guidatore preme lo stivale di pelle sul pedale dell’acceleratore e inizia la fuga. La polizia immediatamente capisce la situazione e si precipita in macchina all’inseguimento dell’Alfa Romeo 145. La pioggia, sempre più battente, rende l’inseguimento un vero incubo. Marco ha il cuore in gola, sa che stavolta ha superato il limite, sa che stavolta non sarà facile cavarsela.

- Vai verso le campagne della Tuscolana, provamo ad annasse a imbosca’ in mezzo ai prati - Urla Massimo disperato.

- Vai Nikolai, segui quello che dice pisciasotto qua dietro, stavolta ha detto buona cosa – Continuando a ridere sottovalutando completamente la gravità della situazione. I fari dell’Alfa Romeo si spengono una volta raggiunti i rettilinei della Tuscolana e i 4 svoltano a tutta velocità provocando un’ondata di acqua sporca, nello sterrato appena il guardrail lo consente.

- Non si vede un cazzo! Così ci ammazz… – Marco non fa in tempo a finire la frase. L’auto urta un ostacolo a terra facendola impennare su un lato. Dopo alcuni istanti in aria, i 4 chiusi in una scatola di lamiere atterrano al suolo e iniziano una serie di rocambole impazzite rimbalzando su se stessi diverse volte prima di fermarsi. L’incidente è stato fragoroso. L’interno della vettura capovolta viene illuminata dai fari delle volanti che si sono raddoppiate all’inseguimento nel frattempo. C’è troppo silenzio all’interno dell’abitacolo. Marco è in stato confusionale, vivo ma mentalmente assente. Vede a fasi alterne avvicinarsi gli uomini della legge attorno alla vettura e li sente urlare parole per lui impossibili da comprendere e da distinguere. Poi Buio.

- Dottore si sveglierà? – Sente Marco ancora frastornato e imbottito di antidolorifici pronunciare dalla voce della madre piangendo

- Signora io capisco il suo stato d’animo ma col volo che hanno fatto è già tanto se suo figlio ancora respira. E si fidi, avere solo una gamba rotta per un volo del genere significa essere stati protetti da qualcuno lassù –
Marco sentendo queste parole, pensa subito al papà che da lassù è intervenuto per salvargli la vita. Il legame dei due non è mai stato spezzato, neanche la morte ci è riuscita.

- Mamma… - Dice il ragazzo con un filo flebile di voce roca.

- Signore mio ti ringrazio! Marco! Marco! – Rossana esplode in un pianto di sfogo ai piedi del letto d’ospedale dove giace il figlio ferito. Lo staff medico con gentilezza dice alla madre di accomodarsi un attimo fuori dalla stanza, devono intervenire per valutare le condizioni del ragazzo. – Signora sappiamo che è un momento delicato, ma sia paziente, ci lasci intervenire, tra poco potrà tornare da suo figlio – Marco riesce soltanto a sentire queste parole poco prima di riaddormentarsi in uno stato semi cosciente.

- Come hai potuto? Come hai potuto Marco. Se solo tuo padre… Chissà che dolore immenso che avrebbe provato. – Dice Rossana al figlio, ormai fuori pericolo e completamente sveglio, ancora vagamente frastornato dai farmaci, ma pienamente cosciente. – Lo sai cosa rischi stavolta? Finisci in carcere stavolta. – Continua Rossana mentre viene assalita dal pianto e dal dolore per non essere riuscita a impedire al figlio di intraprendere certe strade e frequentare certa gente. Ma come avrebbe potuto? La perdita subita, il doversi mettere a cercare lavoro alla sua età per tirare a campare. Tutto sulle sue sole spalle. La donna ha tentato come ha potuto di aiutare il figlio, di guidarlo, ma lui ha preferito alla rettitudine una via di perdizione di autodistruzione, abbandonandosi ai vizi, ai piccoli crimini, come se dovesse scontare una pena autoinflitta Marco da quando ha perso il padre ha perso anche una parte di se e con essa la capacità di rimanere saldo sui suoi obiettivi. In alcuni momenti in quegli anni è quasi arrivato a dare la colpa a se stesso di quello che era successo alla sua famiglia. Per colpa della sua aggressività, della sua testa matta che fin da bambino gli faceva compiere azioni sconsiderate, la boxe da quando ha perso il padre è rimasto solo un sogno, mai realizzato.

Ora però l’aveva combinata grossa, non bastava chiedere scusa. Non bastava più.

- Cosa mi accadrà adesso mamma? – Chiede quasi ingenuamente alla madre

- Marco cosa vuoi che ti dica. Li hai visti i carabinieri qui fuori. Ti sorvegliano giorno e notte. Non lo so cosa ti accadrà figlio mio. Ma penso sia giusto che tu paghi il tuo debito con la giustizia. Forse loro riusciranno a darti la lezione che io e tuo padre non siamo riusciti a darti mai.

- Mamma ma che dici? – Marco rimane quasi sconvolto dalla risposta rassegnata della madre – Sì Marco – Continua la donna – Sì, io non ce la faccio più. Il dolore è troppo. Vederti uscire tutte le sere, tornare al mattino. Pensi che non sappia come fai a mantenerti i vizi? Pensi che io sia una sciocca? No Marco, ora basta. Io ci ho provato come ho potuto, stavolta non posso fare niente. Cosa dovrei fare? Aiutarti a scappare? E poi? Che vuoi fare? La vita da fuggitivo? Preferisco vederti in carcere piuttosto che morto ammazzato in chissà quale circostanza. – Rossana ha l’aspetto veramente disintegrato di chi non ha scelta se non quella dolorosa di condannare e consegnare suo figlio alla giustizia. Non è una scelta facile per lei, in cuor suo vorrebbe poter patire lei tutto quello che dovrà patire il figlio, ma non è possibile. Marco è grande ormai ha 29 anni. E’ ora che si assuma le sue responsabilità e anche se questo le costerà morire dentro non lo aiuterà.

- Persino te mi abbandoni – Dice il ragazzo lasciando che le lacrime gli righino il volto.

- No Marco, ti sei abbandonato da solo. –

Giorni nostri

Ragazzi la Roma sta dominando è questione di poco ma vedrete che tra un po’ glielo famo sto benedetto gol. – Il pubblico del palazzetto è diviso tra seguire il derby e seguire l’incontro, un gruppetto di ragazzi poco distanti dal ring non fa che distrarsi di continuo per veder cosa sta facendo la Roma.

È comprensibile, ogni tifoso della Roma sa che quella non è una partita normale, e quest’anno lo ancora di più, perché sono 5 apparizioni consecutive nel Derby che la Roma non porta a casa il risultato. In panchina c’è Rudi Garcia, il tecnico francese che sta facendo ritrovare la speranza ai giocatori e a tutto l’ambiente.

È il 22 settembre del 2013 le squadre sono scese in campo alle ore 15:00 e per la Roma sono sul rettangolo verde: De Sanctis, Maicon, Benatia, Castan, Balzaretti, Pjanic, De Rossi, Strootman, Florenzi, Totti e Gervinho; per la Lazio invece si schierano in campo: Marchetti, Cavanda, Ciani, Cana, Konko, Ledesma, Candreva, Gonzalez, Hernanes, Lulic, Klose.

Il clima è rovente allo stadio, La Curva Sud presenta una coreografia dal grandissimo impatto con mezza curva rosso e mezza curva in giallo con al centro un grande striscione che riporta la frase: “Il mio nome è il simbolo della tua eterna sconfitta“.

Dai primi minuti infatti la partita si mostra subito per quel che è, un susseguirsi di occasioni ghiotte da ambo le parti, che però nessuna delle interpreti riesce a finalizzare in rete per portarsi in vantaggio.

Prima la traversa di Ciani, roccioso difensore centrale biancoceleste, Poi Klose il panzer dell’attacco laziale che sbuccia il pallone con un ginocchio senza riuscire a imprimere la giusta traiettoria alla palla; rispondono le occasioni avute da Gervinho che di testa schiaccia a terra una punizione scodellata dal Capitano Francesco Totti che però finisce alta sopra la traversa e un colpo di testa del centrocampista Daniele De Rossi.

Entrambe le porte, come la vita di Marco, sembrano stregate.

Continua...

di Vasco Maria Ciocci

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