Mazzoleni: “Lacrime per le bare sui mezzi dell’esercito. La mia Bergamo soffre ma non si arrende”
IL TEMPO – VITELLI – Paolo Mazzoleni, ex-arbitro ed oggi nella squadra Var, racconta come si sta vivendo questo terribile momento nella sua Bergamo, tra la paura del contagio e la voglia di reagire.
Com’è la situazione?
«Passiamo i giorni in grande apprensione, in attesa di buone notizie che non arrivano. Il clima è surreale e drammatico, teniamo duro ma non è facile».
Le strade sono deserte…
«Assolutamente sì. La nostra città è divisa in due, Bergamo alta e Bergamo bassa. Tre settimane fa c’era ancora tanta gente che passeggiava tra le due località, ora nessuno. Senza fare polemiche, sarebbero davvero fuori luogo, credo che all’inizio si sia sottovalutato il problema ritenendo che questo virus fosse poco più di una banale influenza. Ora c’è la consapevolezza del pericolo, e la paura cresce di ora in ora. Il silenzio è totale, interrotto solo dalle sirene delle ambulanze e dalle campane della chiesa».
Lei e i suoi concittadini come state affrontando questa battaglia?
«Con il carattere deciso, a volte burbero ma sincero, di chi è nato e cresciuto qui. Spesso sembriamo un po’ scontrosi, ma è solo un’impressione superficiale. Se apriamo il cuore è per sempre. Ed è con questa forza che stiamo in trincea. Bergamo alta è circondata dalle mura venete, un’imponente costruzione che risale al XVI secolo. Un tempo servivano a difendere la città, ora sono il simbolo della nostra resilienza».
Come gestisce la situazione familiare?
«Mia madre Carmen, che lunedì compirà 85 anni, è in una struttura e purtroppo non la posso andare a trovare giä da un mese. Per vederci usiamo le videochiamate. Mio figlio Riccardo ha solo cinque anni, percepisce qualcosa, ma i bambini sono sempre positivi. Dobbiamo imparare da loro».
Le immagini dei mezzi dell’esercito che portano fuori della città le bare con i corpi di chi non ce l’ha fatta hanno girato il mondo.
«Dolorose, devastanti. Uno shock per tutti, soprattutto per chi non ha nemmeno potuto dare l’ultimo saluto ad un parente o ad un amico».
Tanti anni sui campi, ora al Var. Il calcio è una parte importante della sua vita.
«E tornerà ad esserlo. Arriverà il giorno che vedremo di nuovo il pallone rotolare e sarà bellissimo. In questo momento però, il calcio deve necessariamente attendere, come ogni attività non vitale. Finita l’emergenza ripartiremo con tanta voglia di divertirci e, mi auguro, anche con la giusta consapevolezza di quali sono i valori importanti».
Lei era al Var nell’ultima gara di campionato prima dello stop. Quel Iuventus-Inter disputato dopo tante polemiche.
«Mi sembrava tutto assurdo. Il derby d’Italia senza spettatori, con la sensazione di essere stati catapultati in un incubo. Mentre ero al Var pensavo: “Tutto questo non ha senso, è ora di fermarsi”».