GAZZETTA DELLO SPORT – La partita contro l’Atalanta è stato un risveglio fin troppo brusco anche per coloro che, col passare delle settimane, aveva notato gli accorgimenti che Fonseca metteva in atto per tonificare una difesa sempre sotto scacco. Niente più terzini entrambi arrembanti ma uno all’assalto e l’altro prudentemente in linea; niente più pressing offensivo asfissiante ma solo in determinati contesti. Quanto basta perché, dopo la vittoria di Bologna, il tecnico dicesse soddisfatto: «Il bel gioco mi piace, ma sono realista. Occorre vincere. Mi sono italianizzato». Ma la difesa a tre improvvisata domenica dopo appena un quarto d’ora, dai tifosi giallorossi è stata accolta una resa ideologica, con quell’unico schema offensivo diventato: lancio lungo su Dzeko e attacco alle “seconde palle” con Zaniolo e Pellegrini. Un po’ poco, tant’è che persino dei calciatori in privato abbiano manifestato perplessità. Morale: non occorre che Fonseca venga arruolato nella «querelle» giochisti contro risultatisti, né che divenga l’erede di Zeman oppure di Rocco. Il segreto, forse, è che cresca (in fretta), ma senza tagliare il cordone ombelicale che lega l’estetica delle sue idee alla loro duttilità.