Bufera sul M5S, arrestato De Vito. Pallotta sicuro: “andiamo avanti”
GAZZETTA DELLO SPORT – PICCIONI – CATAPANO – Ci risiamo. Altri arresti, altre manette, altro terremoto politico per colpa dell’incolpevole, perdonateci il gioco di parole, progetto del nuovo stadio della Roma a Tor di Valle. All’alba di ieri, i carabinieri arrestano Marcello De Vito, presidente del Consiglio comunale di Roma, pentastellato della primissima ora, subito «cancellato» – è proprio l’espressione usata – dal capo politico del Movimento, il vicepremier Luigi Di Maio. Finisce in carcere alla stessa ora il suo sodale, l’avvocato Camillo Mezzacapo. Secondo l’ordinanza della gip Maria Paola Tomaselli, che ha risposto alle richieste della Procura della repubblica di Roma, il sistema era basato sull’«asservimento» della funzione pubblica di De Vito agli «interessi di natura privatistica facenti capo al gruppo Parnasi». Lo stadio, però, è solo un piccolo pezzo di un format corruttivo, che s’allarga come una macchia verso il centro della città e tocca l’area della stazione Trastevere e dell’ex Fiera di Roma. E qui incrocia anche il basket, con il progetto mai nato, ma immaginato secondo gli inquirenti a suon di promesse di tangenti, di un polo cestistico e musicale. E per i progetti su un’altra area, quella degli ex Mercati Generali, finiscono indagati anche Pier Luigi e Claudio Toti, quest’ultimo presidente della Virtus Roma di basket: i due sono stati ascoltati dal gip che ha emesso nei loro confronti un provvedimento di interdizione.
L’INCHIESTA Si tratta della seconda puntata dell’Operazione Rinascimento. Anche se l’inchiesta ha un altro nome, «Congiunzione Astrale», dall’espressione usata da uno degli arrestati, Mezzacapo appunto, per descrivere il momento di grazia irripetibile per De Vito – M5S al Governo a Romae in Italia e lui al secondo e ultimo mandato – e le possibilità di raccogliere più risultati, cioè tangenti, con il suo ruolo all’interno del Campidoglio. Se nella precedente inchiesta era stato «il punto di vista privato» a prendere il sopravvento, stavolta – dice il procuratore aggiunto Paolo Ielo – è quello pubblico. Un sistema che lo stesso Parnasi ha svelato nei suoi interrogatori. Ripercorrendo tutto il suo lungo giro di Roma corruttivo. Il ruolo del proprietario di Eurnova, travolto dall’inchiesta di giugno, è ancora centrale. I colloqui registrati mostrano un desiderio di continuare a colpire. Tanto che quando De Vito dice a Mezzacapo «beh, ora distribuiamoci questi», il suo interlocutore gli consiglia di non toccare niente «perché mancano ancora due anni» (fine legislatura capitolina). Il passaggio che porta i pm a chiedere al Gip i provvedimenti restrittivi sulle due ipotesi di reato, quella di corruzione e di «traffico di influenze». Per spezzare la catena illecita: io ti metto «a disposizione» il mio ruolo, tu imprenditore coinvolto mi ripaghi a suon di consulenze – per 400mila euro – con incarichi sostanzialmente fasulli. Agli arresti domiciliari sono finiti anche Fortunato Pititto, vicino al gruppo imprenditoriale della famiglia Statuto, e Gianluca Bardelli, proprietario della concessionaria dell’incontro segreto tra De Vito e Mezzacapo.
LA REAZIONE Ma lo stadio della Roma cosa c’entra, quanto c’entra, dove c’entra? La risposta di James Pallotta da Boston è categorica: «Niente, questa storia non ha nulla a che fare con la Roma. Non sono né arrabbiato né preoccupato da quanto è successo. Mi auguro che i tempi di realizzazione del progetto non si allunghino». Mauro Baldissoni, il vicepresidente, intervistato da Sky, chiarisce che «non si parla di aspettative, ma del diritto a veder realizzato lo stadio nei tempi più rapidi possibili. L’approvazione della Conferenza dei servizi risale a 15 mesi fa, sullo stadio della Roma non ci possono e non ci debbono essere dubbi, è un diritto acquisito della Roma».
IL RISCHIO Il procuratore Ielo conferma un’altra volta che la «Roma non c’entra niente». Ma che cosa associa allora i reati contestati a De Vito e lo stadio? Il problema resta quello della «funzione pubblica mercificata e messa al servizio del privato al fine di realizzare il proprio arricchimento personale». Cioè: De Vito ha votato sì allo stadio perché ne aveva un interesse. Il che, spiega ancora Ielo, è una circostanza che prescinde dalla bontà del progetto e dalla sua legittimità e dalla correttezza dei vari passaggi amministrativi. Dunque, l’iter amministrativo non è sporcato dall’inchiesta a meno che non sopraggiungano altre circostanze e altri soggetti chiamati a indagare. Il vero effetto però di «congiunzione astrale» rischia di essere politico. Fino a ieri all’alba, l’ipotesi di votare prima delle Europee in Consiglio comunale la variante al piano regolatore e la convenzione urbanistica, le ultime tappe prima che il progetto torni in Regione per il via libera a costruire, era data quasi per certa. Ora c’è naturalmente più prudenza. E la stessa Raggi ieri ha rivelato di aver «chiesto ulteriori accertamenti e due diligence su tutti i procedimenti interessati dalla Procura», operazione che probabilmente ci porterà fino all’estate.
PREOCCUPAZIONI L’arresto di De Vito e Mezzacapo scatena politicamente tutto e il suo contrario. Il premier Conte parla «di illeciti contestati molto gravi», ma aggiunge che «il M5S Stelle dimostra di avere anticorpi efficaci per reagire a cose del genere». I ministri dei 5 Stelle applaudono all’unisono Di Maio. Il Pd chiede le dimissioni della Raggi: «La città è stremata da inettitudine e inchieste». Quanto al sottosegretario con delega allo Sport Giancarlo Giorgetti, si «augura che il processo per la costruzione non si interrompa», e nota perplesso: «Facciamo fatica a dare certezze a chi vuole investire, sugli stadi e non solo». Giovanni Malagò si dice «garantista» e pure lui auspica che non si rallenti. Ma stadio o non stadio, se le accuse dovessero essere confermate, resta una grande tristezza di fondo. A distanza di quasi 30 anni da Tangentopoli, l’Italia non riesce proprio a guarire.