Ferreira Pinto: “Di Francesco mi ha insegnato tanto ai tempi del Perugia. La Roma domenica dovrà essere umile”
Ferreira Pinto, ex giocatore dell’Atalanta, è intervenuto ai microfoni dell’AS Roma Match Program. Queste le sue parole:
Dal Brasile a Lanciano, passando per lo Standard Liegi in Belgio dove non ha mai giocato. È iniziata così la sua carriera.
“Giocavo in una squadra vicino casa, l’União São João, dove avevo segnato tanti gol e mi ero messo in luce. Fui ceduto in Belgio, allo Standard, ma lì non mi trovavo a mio agio. Non dormivo, non mangiavo, era un ambiente che non riuscivo a sopportare. Così, decisi di rompere l’accordo e tornare in Brasile. Ma lì la società si arrabbiò e mi regalò il cartellino”.
E cosa successe?
“Per un periodo tornai a raccogliere le arance nei campi, a lavorare come avevo sempre fatto. Anni precedenti – come sapete – facevo l’operaio in un mattonificio. Estraevo a mano mattoni bollenti dal ventre infuocato di una fornace, per dieci ore al giorno. Però volevo giocare a pallone e feci di tutto per trovare una soluzione. C’era un connazionale che stava per partire per giocare in Italia, a Lanciano, Adriano Mezavilla. Gli diedi un dvd con i miei gol e le mie giocate. Gli chiesi di portarlo con sé e farlo visionare. Parliamo del 2001”.
Funzionò, evidentemente.
“Sì, il mio fu un tentativo come tanti. Ma lui mantenne la parola e consegnò il disco ai dirigenti del Lanciano. Lo videro, mi chiamarono per fare un provino di una settimana. Verso la fine di questa esperienza, loro stavano preparando la partita con la Nocerina e l’inizio dei play-off. Ero sul punto di tornare a casa, ma lì iniziò la mia fortuna”.
Perché?
“Si fecero male i due attaccanti titolari, non sapevano cosa fare e si ritrovarono in casa il sottoscritto. Facemmo un accordo, mi avrebbero pagato 600 dollari a partita, fino al termine della stagione. Esordii contro il Pescara, prendendo una traversa. Uscii tra gli applausi del pubblico abruzzese. Iniziò tutto così, alla fine di questo ciclo di sei gare mi fecero firmare un contratto di due anni. Sono grato ad Adriano, lo dico sempre quando posso”.
Nel 2004, poi, si trasferì al Perugia.
“Fu un salto di categoria, in Serie B. Inizialmente, non ero sicuro di essere all’altezza di questo campionato. L’allenatore era Colantuono, giocavamo in modo molto aggressivo. Passaggi di prima e tagli in profondità. A Lanciano con Castori era diverso, palla lunga e pedalare. Non nego che trovai delle difficoltà a gestire il pallone. Credevo di essere il più scarso della rosa. Fino a quando un senatore del gruppo venne da me a darmi dei consigli…”.
Chi?
“Lo conoscete? Eusebio Di Francesco (ride, ndr). A Perugia giocò l’ultimo anno da calciatore. Mi insegnò alcuni fondamentali, su come proteggere il pallone e servirlo in una certa maniera, facendomi capire alcuni trucchi del mestiere. Sembrava allenatore già allora e mi fu utilissimo perché da allora presi ancora più consapevolezza, capendo di poter far parte del calcio professionistico a un certo livello. Ringrazio davvero Eusebio, non era scontato che facesse una cosa del genere, essendo a fine carriera. Gli piace insegnare calcio, non a caso ora allena la Roma”.
La Roma, la squadra a cui segnò uno dei suoi 14 gol in Serie A.
“Esatto, con la maglia dell’Atalanta, quando perdemmo 2-1 nel 2008. In Serie A ho disputato più di 100 partite, un traguardo che non avrei mai immaginato una volta partito dal Brasile. Però sono sempre stato consapevole e concentrato sui miei obiettivi. Giocavo a pallone per passione, ma dovevo pure mantenere la mia famiglia a distanza, mandando almeno 1000 euro al mese. È per questo che mi sono trovato subito una ragazza, non potevo perdermi in altri contesti, dovevo arrivare e restare con i piedi per terra. Sono stato fortunato, però me la sono cercata. Mia moglie l’ho incontrata a Lanciano, sono 17 anni che stiamo insieme. Abbiamo due figli, viviamo a Bergamo”.
A Bergamo dove gioca ancora a calcio. Nel Pontisola, tra i dilettanti.
“Finché mi diverto, non smetto. Quando vedrò che i ragazzi mi supereranno in tutto, dirò basta. Per ora non ci penso, credo di giocare ancora uno o due anni. Nel frattempo, gestisco un’accademia dove insegno ai giovani i fondamentali e alcuni trucchi del mestiere”.
Nel 2011, peraltro, ha raccontato la sua vita nel libro “Volevo solo giocare a calcio”.
“Credo sia un libro perfetto per i ragazzi tra 15 e i 18 anni. In quelle pagine ho voluto far capire che i sogni si possono realizzare, ma bisogna andarseli a prendere. Oggi vedo che per i più piccoli il mondo è semplificato in tutto. Parlo anche dei miei figli, naturalmente. Non solo dei bambini degli altri”.
Che ricordi ha delle sfide contro i giallorossi?
“L’ho sempre detto, la Roma e il Milan erano gli avversari che mi piacevano di più perché non speculavano mai sull’avversario, ma andavano a giocarsi la partita cercandosi di imporre sia in casa sia in trasferta. Sono sicuro che pure domenica vedremo una partita di alto livello”.
Vuole sbilanciarsi?
“L’Atalanta è in un ottimo momento, ha Zapata che fa tanti gol. La Roma dovrà essere umile per portare via punti dall’Atleti Azzurri d’Italia. Per me, vince l’Atalanta 2-1”.
A Roma ci si augura il contrario.
“Ovvio (ride, ndr). Comunque, avete un’ottima squadra. La Roma ha puntato su giovani calciatori che oggi gli stanno dando risultati. Un po’ come l’Atalanta. Non basta prendere un giovane, la differenza sta nel puntarci. E la Roma ci ha puntato, mettendosi nelle condizioni di avere un grande futuro davanti. Mi faccia dire cosa mi auguro più di ogni cosa per Atalanta-Roma…”.
Prego.
“Che sia uno spettacolo godibile anche sugli spalti, non solo sul terreno di gioco. Vorrei che le due tifoserie non fossero più ostili e ognuno tifi la propria squadra con lealtà. È questo il bello del calcio”.