IL FOGLIO – TEOTINO – Due miliardi buttati nell’inceneritore del calcio mondiale. Prodotti dal sistema e usciti dal sistema. Due miliardi che non rientreranno mai più. Bruciati. Sarebbe più esatto dire finiti nelle tasche dei nuovi maneggioni. Che non sono altro che i procuratori 2.0. Non più soltanto agenti dei calciatori, non ancora fondi di investimento. Ma quasi. Sono gli usufruttuari delle intermediazioni nelle operazioni di mercato. Quelle che hanno annullato di fatto i parametri zero. Nel senso che se una società oggi vuole approfittare della disponibilità di un giocatore in scadenza di contratto deve comunque staccare un assegno che di zeri ne ha almeno sei. Qualche esempio: Emre Can l’anno scorso costò alla Juventus addirittura 15 milioni di cosiddetti oneri accessori, l’Inter ha dovuto sborsare quasi 7 milioni e mezzo per avere “gratis” De Vrij. Se nelle prossime settimane si concluderà, come pare certo, il trasferimento alla Juventus di Ramsey, da fine giugno non più in forza all’Arsenal, già si dice che i costi delle intermediazioni oscilleranno intorno ai 9 milioni. C’era una volta Boniperti, che ogni anno convocava nel suo ufficio i giocatori juventini per comunicare loro quanto avrebbero ricevuto di stipendio. Nessuna eccezione. La convocazione, praticamente senza possibilità di trattativa, prendere o lasciare, toccava anche a chi, magari, come nel 1982, aveva appena vinto un titolo mondiale. Poi arrivarono i primi procuratori. Una professione che si è modificata progressivamente nel corso degli anni: dai primi avvocati volenterosi, capaci di intravvedere importanti possibilità di lucro, alle società di servizi, ai nuovi ras del mercato che guadagnano più dei campioni assistiti.
Nel 2018, per fare un paio di nomi, Jorge Mendes, l’agente fra gli altri di Cristiano Ronaldo, ha incassato oltre 100 milioni di commissioni, il famoso Raiola quasi 65 milioni. Poi ci sono i procuratori familiari dei giocatori. Parenti serpenti, a sentire i tifosi. Se poi l’agente, oltre che un congiunto, per dirla alla Conte, il premier, non l’allenatore, è una donna, il pregiudizio è ancora maggiore. Certe forme di sessismo, più o meno inconscio, sono difficili da estirpare. Prendete Wanda Nara, non solo moglie di Icardi, ma abilissima negoziatrice, capace di maneggiare con cura le più moderne e integrate modalità di comunicazione (social, tv, giornali): eppure vittima di ironie, che di sicuro non sarebbero indirizzate con toni analoghi a un esemplare di Raiola maschio. Più o meno allo stesso modo si parla di Véronique Rabiot, madre di Adrien. Chissà perché stupisce che il giocatore rifiuti, legittimamente, un rinnovo di contratto, mentre viene considerato normale che il Paris St. Germain, illegittimamente, per questo lo metta fuori rosa. Tant’è. I procuratori puri, o anche impuri, esistono ed esisteranno sempre. Piuttosto, preoccupa l’evoluzione della specie in una nuova figura di operatore che non produce altro che grandi sprechi, dissipazione di risorse che potrebbero essere impiegate altrimenti. È la figura dell’intermediario. Cui sono ormai costrette a rivolgersi sia le società che acquistano un calciatore, sia quelle che lo cedono. Da qualche anno, la Fifa ha reso obbligatoria la registrazione a bilancio dei costi sostenuti per queste operazioni. Sappiamo perciò che dal 2013 a oggi, per i trasferimenti internazionali registrati dal sistema FifaTms, cioè tutti, si è passati da una spesa annuale di 191,2 milioni ai 480,7 milioni dei 2018, con una crescita del 151,4 per cento. In sei anni sono stati bruciati quasi 2 miliardi in mazzette. Mazzette elettroniche però, come le nostre nuove fatture. In questo festival dello sperpero, il calcio italiano, come troppo spesso capita, si colloca in prima fila. Soltanto in Inghilterra nel 2018 si è speso di più in intermediazioni (136,7 *** milioni di euro contro i nostri 116,3), com’è peraltro normale considerati i lauti mezzi a disposizione del club britannici. Se si guarda alle principali Leghe europee (Premier League, Liga, Bundesliga, serie A e Ligue 1), ad allarmare, più della cifra complessiva, è la percentuale dei costi per mediazioni sul totale del fatturato della serie A: il 5,6 per cento. Cioè: più del doppio di quanto spendono i club inglesi (2,6 per cento), tre volte di più di francesi (1,8) e tedeschi (1,7) e addirittura quasi cinque volte più degli spagnoli. Si è fatto ricorso a intermediari per 217 dei 678 trasferimenti internazionali che nel 2018 hanno coinvolto società italiane, cioè il 32 per cento del totale. Primo posto per distacco in questo particolare ranking Uefa. Gli inglesi hanno utilizzato mediatori in 301 delle 1.301 operazioni compiute, i123,1 per cento. I tedeschi in 92 su 682, il 13,5 per cento. I francesi in 81 su 721, 1’11,2 per cento. I parsimoniosi spagnoli in 105 su 1.028, il 10,2 per cento. Trasparenti, in linea di massima, le spese iscritte a bilancio dai club calcistici, resta troppo spesso oscura la natura degli intermediari. Il più delle volte si tratta di professionisti qualificati, ma capita di vedere impiegate società di cui non si conosce la composizione. Le verifiche degli organi di controllo non riescono a impedire che talvolta siano partecipate anche da dirigenti o azionisti delle società calcistiche coinvolte nell’operazione. In questo caso, non si dovrebbe più parlare di spreco, ma di sottrazione di risorse. Insomma, una palude che andrebbe bonificata. Un compito che spetta in primo luogo alle istituzioni calcistiche internazionali, che hanno vietato le cosiddette Terze Parti, cioè le quote di proprietà dei cartellini dei giocatori in mano a fondi finanziari, per poi ritrovarsele in casa sotto mentite spoglie.