Enrico Iodice: “Essere nella Roma è un piacere. De Rossi è molto esigente”
Friulano di Maniago in provincia di Pordenone, classe 1984, laureato in educazione fisica, allenatore UEFA A, Iodice vanta un’esperienza decennale all’Udinese e anche una stagione all’Hellas Verona.
“Dopo una vita passata al Nord-Est per me è un grande privilegio avere la possibilità di conoscere da vicino questa grande città e la sua storia. Per il momento l’ho vissuta poco, dato che la maggior parte del tempo siamo operativi nel centro sportivo di Trigoria. Ed è un piacere”.
Come nasce il suo percorso nel calcio?
“All’Udinese ho iniziato come allenatore di settore giovanile, arrivando dal Pordenone Calcio, dove sono stato subito coinvolto anche dalla prima squadra come collaboratore tecnico. Dal secondo anno, ho dovuto lasciare il settore giovanile per dedicarmi completamente alla prima squadra. Li è iniziato il mio percorso e quello appena cominciato è il 13° anno di Serie A”.
Il primo allenatore con cui ha collaborato all’Udinese?
“Guidolin. Poi, in ordine sparso, Delneri, Gotti, Tudor, Iachini, Cioffi, Nicola. Lavorando per la società per circa 10 anni, ho avuto la fortuna di imparare molto da ognuno accompagnandoli durante il loro percorso”.
C’è un tecnico che ha rivisto di recente, nell’ambito di questo nuovo percorso?
“Sì, a Milano venne Julio Velazquez a vedere la nostra partita di Europa League contro il Milan (allenò l’Udinese nel 2018, ndr). Ha continuato a seguire attentamente il nostro calcio. Ci siamo salutati, con lui ci sentiamo spesso. Mi ha lasciato tanto, soprattutto come approccio”.
Che intende per approccio?
“Intendo come approccio moderno alla professione. Grande studio delle partite, grande studio dell’avversario e, proprio come Daniele, una persona esigente soprattutto con se stesso. E questo è un aspetto da non trascurare”.
Perché?
“Perché se sei solo esigente con gli altri, è un conto. Se sei auto esigente, se chiedi sempre di più in primis a te stesso e sai anche metterti in discussione, i tuoi collaboratori alzano automaticamente il livello. Quando sei convincente come figura, in senso generale, le persone stanno con te”.
A proposito del mister De Rossi, la collaborazione con lui come nasce?
“Daniele mi ha contattato l’estate scorsa. Avevamo diverse conoscenze comuni nell’ambiente, ma non ci conoscevamo personalmente. Mi trovo così questa chiamata inattesa, dove mi ha parlato a lungo della sua idea, dei suoi progetti e chiesto se volevo intraprendere il percorso al suo fianco. Sono rimasto affascinato dal suo modo di vedere le cose, dalla sua energia e ho accettato immediatamente. A gennaio è arrivata la Roma e questi 9 mesi vissuti tutti d’un fiato, ringrazio Daniele e la Proprietà per questa opportunità”.
Cosa le chiede in particolare il tecnico nel lavoro quotidiano?
“Daniele ha un livello di auto esigenza molto alto , come dicevamo in precedenza, e noi siamo trascinati da questo tipo di cultura. Mentalità che ci impone di non cercare nessun alibi e mantenere il focus sulle cose che dipendono da noi. Con un atteggiamento del genere, ti trascini non solo lo staff, ma soprattutto lo spogliatoio più importante, quello dei giocatori. Inoltre, siamo un gruppo che lavora in grande sinergia, c’è confronto aperto su tutto…”.
Questo confronto diretto tra allenatore e staff, avendo lavorato lei con diversi tecnici in carriera, è un fatto comune o no?
“Dipende, ovviamente, dal carattere e dalla personalità di ogni tecnico. Daniele ci coinvolge moltissimo in tutte le scelte. Scelte di esercitazioni, tecniche, di gestione a 360°. Ascolta con grande attenzione le opinioni di tutti, poi l’ultima parola è ovviamente la sua”.
Per quanto riguarda il suo lavoro specifico?
“L’obiettivo primario dell’analisi è sviscerare quali sono gli aspetti migliorativi e quelli che stanno andando nella direzione prevista. Porre il focus su questi contenuti, per poi strutturare esercitazioni di campo. Parallelamente a questo ci sono lo studio dell’avversario e la formulazione della strategia di gara. Al fine di trovare gli accorgimenti migliori per affrontare i diversi avversari, nelle 2 fasi, partendo da quelle che sono le caratteristiche fondamentali del nostro modello di gioco”.
È stata citata prima la partita di Europa League con il Milan. La scelta di schierare El Shaarawy a destra, sulla fascia forte del Milan, può essere un esempio del vostro lavoro?
“È un esempio calzante. Non era una mossa così scontata. È stata una bella intuizione di Daniele. Il Milan cercava di attirare molto l’avversario, con la grande proprietà di palleggio, dei suoi 5 costruttori, più il portiere Maignan che loro sfruttano molto in fase di costruzione bassa. Abbiamo deciso di innescare la linea di pressione qualche metro più bassi e rinforzare la nostra catena di destra, dove loro avevano Theo e Leao e per metterli a nostra volta in difficoltà da quella parte. Stephan, per caratteristiche, ritenevamo potesse farlo. Lui ci ha dato subito grande disponibilità, sono i giocatori a fare la differenza. E in campo ha fatto una partita importante, come tutti i suoi compagni. Lavorando di squadra, sempre, si ottengono i risultati”.
ASRoma.com