Rogers: “Al centro del nostro progetto ci devono essere sempre i tifosi, facendoli sentire fieri di essere della Roma”
Paul Rogers, responsabile dell’Area Digital della Roma, ha rilasciato una lunga intervista per 90min.com:
Pochi giorni fa avete annunciato il ritrovamento del sesto bambino scomparso. La campagna Missing Child è la cosa di cui vai più fiero?
“Senza dubbio. Io ho sempre avuto il privilegio di fare della mia passione il mio lavoro, ma oggi ciò che mi entusiasma di più fare qualcosa di buono attraverso il mio lavoro. Magari è l’età, o il fatto di avere dei bambini, ma voglio essere parte di qualcosa che sia un antidoto contro un mondo che sta diventando sempre più tossico. Alla Roma abbiamo creato qualcosa capace di trascendere la rivalità calcistica e spostare l’attenzione solo sul programma “Missing Child”. La reazione è stata fantastica da parte di tutti i fans, non solo quelli della Roma”.
Il calcio ha una potenza mediatica impressionate. Hai intenzione di stringere accordi con altri club per dare all’iniziativa “Missing Child” un risalto a livello globale?
“Questo è il nostro obiettivo. Dal 2015, anno del lancio di “Football Cares”, iniziativa per la raccolta fondi a favore dei rifugiati Siriani, abbiamo sempre creduto di poter essere più forti insieme ad altri club che da soli. Con “Football Cares” abbiamo creato una connection con altri 15 club tra cui l’Inter, la Fiorentina, la Sampdoria in Italia insieme a West Ham, Aston Villa e squadre di MLS raccogliendo più di 600.000 € a favore della Croce Rossa, la International Rescue Committee, UN Refugee Agency e Save the Children. Con “Missing Child” abbiamo un’occasione d’oro per fare sistema. Ne ho parlato a Washington un mese fa discutendo direttamente con il Center for Missing and Exploited Children e presentando un progetto a nome della AS Roma in vista del prossimo convegno di Lisbona. A partire dal prossimo mese incontreremo club internazionali come Barcellona, Bayern Monaco, Psg e Manchester United per coinvolgerli nel nostro progetto a livello globale».
Sul tuo profilo Twitter si legge “They got money for wars but can’t feed poor” (prendono soldi per fare le guerre ma non possono dare da mangiare ai poveri). Quello dell’impegno sociale non è una strategia di comunicazione per te sembra più una sorta di vocazione.
“È una frase presa dal testo di “Keep Ya Head Up” di Tupac. Solo qualche giorno fa ho letto in un Tweet la storia di un ragazzo americano che ha rapinato una farmacia mostrando al cassiere un cartello con scritto: “Scusami, ho un figlio malato”. Questo succede mentre il presidente degli Stati Uniti di America comunica via Twitter di aver speso due trilioni di dollari in spese militari. C’è qualcosa che non funziona in questo mondo. Con le piattaforme a nostra disposizione abbiamo l’obbligo di dare maggiore visibilità ai temi della salute mentale, della povertà, del razzismo, della xenofobia, dell’omofobia, del cambiamento climatico e della parità di genere”.
C’è una persona, uno scrittore, un personaggio politico che ha ispirato questo cambiamento in te e nel modo di intendere la relazione con le persone?
“Ce ne sono tanti, ma ne scelgo due in particolare. Nelson Mandela e mio padre. Prima ancora di studiare Nelson Mandela sui libri di scuola ha imparato a conoscerlo attraverso le strofe di qualche cantante hip-hop; lo trovai da subito un personaggio estremamente ispiratore. Sono stato con mio padre a visitare la sua cella quando visse recluso a Robben Island e qualche anno fa ho visitato il suo luogo di nascita in Soweto. Mio padre mi ha introdotto alle mie grandi passioni; la musica e il calcio. Nato e cresciuto a Liverpool non poteva essere altrimenti. Era una persona entusiasta, trattava tutti con il sorriso e sorrisi riceveva in cambio. Se ne è andato un anno fa dopo una lunga lotta contro il Parkinson”.
Prima Liverpool poi la Roma. Due delle piazze calcistiche più calde d’Europa e per alcuni aspetti molto simili tra loro. Hai trovato grandi differenze nel modo di comunicare?
“Invece di guardare alle differenze provo a cercare i punti di contatto. La Kop e la Curva Sud sono luoghi mitologici nell’immaginario del tifo. France Football in una sua speciale classifica di qualche anno fa sancì “You never walk alone” e “Roma, Roma” come due degli inni più belli della storia dei club di calcio. Il fatto che la Roma e il Liverpool siano club lontani dai centri finanziari dei rispettivi paesi ha aiutato a forgiare la passione che i tifosi hanno per i loro rispettivi club. C’è una mentalità che accomuna i tifosi reds e giallorossi e li distingue immediatamente dai tifosi di molti altri club”.
Hai lavorato con decine di calciatori di spessore internazionale. Se tu dovessi scegliere la star del tuo team, quel giocatore che meglio raccoglie i valori del club che fa da link diretto tra società e tifosi, chi sceglieresti?
“Ne scelgo due: Steven Gerrard e Francesco Totti. Ho conosciuto entrambi e so quanto si stimano. Quando Steven lasciò Liverpool, Totti registrò un video tributo per rendergli omaggio. Quando fu Francesco a dare l’addio al calcio, Steven rilasciò un’intervista esclusiva a Roma Tv, raccontando dell’ammirazione per Totti e per la vittoria della Coppa del Mondo. Entrambi sono cresciuti con il sogno di giocare nella squadra della loro città. Ci sono riusciti diventandone prima capitani e poi leggende”.
La battaglia contro il razzismo è al centro della vostra strategia di comunicazione. Vi sentite un po’ abbandonati in questa lotta?
“La lotta al razzismo deve essere un valore centrale per un club di calcio, non solo della comunicazione via social. I social media sono solo il mezzo più rapido e efficiente per veicolare il messaggio a un vasto pubblico. Mi deprime che nel 2020 siamo ancora a parlare di razzismo nel calcio ma sfortunatamente, penso che la situazione rifletta il problema di una società sempre più intollerante. La AS Roma non si sente sola in questa lotta. Tutti però dobbiamo fare un passo in più; non basta essere antirazzisti, dobbiamo far sentire la voce e parlare ogni volta che la situazione ce lo richiede. Dobbiamo essere proattivi in questa battaglia. Non possiamo aspettare di prendere posizione quando un gruppo di tifosi si macchia di insulti razzisti. Dobbiamo parlare e spingere il calcio italiano verso il cambiamento. Inasprire le pene aiuterebbe a sradicare il demone del razzismo dal nostro sport. Anche la Premier League, che intervenne prima e con provvedimenti seri contro il razzismo, sta affrontando nuovi casi di abusi e offese razziali, soprattutto provenienti dai social network. Per risolvere la situazione abbiamo bisogno che i tifosi “veri” prendano posizione nette sia dentro che fuori dallo stadio. Insieme al Milan lo scorso anno invitammo club, istituzioni e organizzazioni a favore dell’integrazione a sedersi intorno a un tavolo. Tutti i club hanno firmato un accordo di intenti. Il lavoro da fare è tanto perché mentre noi ci diamo da fare per far passare messaggi di inclusione e rispetto, molti politici e una parte dei media inviano messaggi opposti che parlano di divisione, di paura per lo straniero e di pericolo immigrati”.
A livello di comunicazione il 2019 è stato un anno ricco di successi. Quale sarà la strategia in vista del 2020 e quale deve essere la nuova missione nel rapporto club-tifosi?
“Alla Roma pensiamo sempre a come evolvere e cambiare il metodo di lavoro. Al centro del nostro progetto ci devono essere sempre i tifosi. Dobbiamo domandarci come renderli partecipi, divertirli e farli sentire sempre più vicini alla squadra. Le sfide per il 2020 saranno tante e la competizione con altri club ci spingerà a fare meglio. Dobbiamo trovare nuove vie per aiutare e rafforzare il sentimento dei nostri tifosi e di tutti i followers, facendoli sentire ogni giorno fieri di essere parte della AS Roma”.