LA GAZZETTA DELLO SPORT – Da capitan futuro a capitan infinito, il volo è stato troppo breve. Per tecnica, intelligenza e senso di appartenenza, Daniele De Rossi avrebbe meritato vent’anni da capitan presente, non i due finali che ha vissuto tra poche gioie e tanti travagli. Mettiamola così: il tifoso romanista ha goduto per un buon quindicennio del privilegio di tifare una squadra con due capitani, entrambi romani e romanisti, profondamente diversi ma ugualmente innamorati. Totti, capitano per talento. De Rossi, capitano per carisma. L’uno non ha mai avuto la «vena» dell’altro; l’altro non ha mai posseduto la sua grazia. Si sono completati, in un connubio irripetibile. A De Rossi un ruolo operativo lo hanno proposto subito, ma lui ha mangiato la foglia: «In questa società da dirigente non potrei incidere». Ed è stata questa, forse, la vera pietra tombale posata su questa Roma dei Pallotta e dei Baldini, lontani dagli occhi e, soprattutto, dal cuore dei romanisti