GAZZETTA DELLO SPORT – ELEFANTE – Due mesi (e un po’) dopo, dunque il mondo si è capovolto più per la Fiorentina che per la Roma: ieri sera perlomeno non inerme come nella notte di quel 7-1 in Coppa Italia di fine gennaio – anche se è evidente che certe ferite non sono ancora cicatrizzate – o sbandata come da poco contro la Spal e il Napoli (non ci voleva molto). Doverosamente reattiva nel momento della difficoltà. Diciamo viva, soprattutto nella ripresa: cioè tardi, che è un po’ l’avverbio di questa sua stagione. La Viola invece ha reso ancora più frustrante, diciamo nostalgico, il ricordo di come aveva saputo essere quella notte, e non è più: bellina ma non più bella, poco cattiva e molto ingenua, soprattutto nello scoprire il fianco alla Roma. Per due volte, proprio dopo averla ferita. Ancora una volta senza il colpo di grazia, dunque ancora ricaduta nel virus influenzale di questa stagione, la pareggite: 15 su 30 partite, uno su due. Ondivaga in tutto tranne che nella tendenza al mezzo passo falso: non vince dal 17 febbraio, un motivo ci sarà.
CHE MIRANTE Si è capito: era la sfida fra le malate più convalescenti del campionato, non solo fra le loro difese claudicanti. E il principale timore di Ranieri – pochi equilibri per pochi aiuti reciproci – è stato confermato dopo 4’, su inserimento di Benassi completamente dimenticato da Perotti. Buon per la Roma, Mirante ha dato ragione alla giubilazione di Olsen e si è ripetuto al 12’, su Muriel: il lancio lungo era stato di Gerson, arretrato per trovare spazi più comodi di quelli cercati alle spalle del muro Cristante-Nzonzi.
ZANIOLO SHOW La Fiorentina stava confermando e avrebbe confermato il suo identikit di squadra che ha idee e soluzioni di gioco interessanti, anche se progettate e realizzate un po’ a sprazzi. E anche buone armi sui calci da fermo, come si è visto al minuto 14, su azione da corner: marcature giallorosse morbide (eufemismo), stacco di testa di Pezzella e Roma gelata. Ma non piegata, anzi accesa: come da subito, e per un po’ quasi da solo, era stato Zaniolo. Trequartista al pari di Gerson ma con altra libertà; altro passo rispetto a Veretout, chiamato alla solita saggia gestione della manovra e delle convivenze in campo ma anche ad un «mismatch» nella schermatura singola sul gioiellino; altro timing rispetto a Pezzella nell’andare a mordere di testa un cross di Kluivert pescato da un cambio gioco di Dzeko. La cosa migliore del bosniaco: una delle poche, in verità. E l’azione più bella della partita della Roma, anche se simile a quella che avrebbe portato al secondo pareggio, nella ripresa.
LA CLASSIFICA PIANGE Già perché la Roma, una volta raddrizzata la partita, non ha lasciato mettere alla Fiorentina il suo abito buono – ripartenze e profondità – ma come spesso le succede ha fatto fatica a tenere il governo della gara. Anzi, l’ha mollato presto alla Fiorentina, salvo ritrovarlo nella seconda metà della ripresa. Nel frattempo la squadra di Pioli ha continuato a masticare il suo possesso ragionato e a vivere dei lampi di Muriel (2-1 sfiorato con un tiro da 20 metri abbondanti respinto dal palo) e dell’ex Gerson, che ha avviato e chiuso l’azione del 2-1, ispirato da Biraghi e aiutato da una deviazione di Juan Jesus. Tutto gradevole, ma anche agevolato dalle solite concessioni della Roma. Sempre uguale a se stessa, ma stavolta anche nella capacità di reagire: deviazione per deviazione, è stato Milenkovic ad accompagnare in porta il radente del 2-2 pensato ancora da Kluivert e firmato Perotti, al terzo gol consecutivo. Motore riacceso proprio quando Pioli ha provato a usare la benzina di Chiesa (4-3-3, con Gerson mezzala), a proposito di risvegli tardivi: poi per forza, con un quinto posto che oggi può diventare sesto (e settimo se la Lazio batterà l’Udinese nel recupero), la classifica piange.