16 Gen 2019In Rassegna stampa13 Minuti

Flachi: “Potevo essere come Totti ma ero troppo bischero”

LA VERITA’ – SPRIDIGLIOZZI – La vita, quando meno te lo aspetti, ti fa trovare lungo la strada trappole di ogni tipo. Tutta una serie di tranelli che possono farti cadere, a volte rovinosamente. Alcool, droghe, scommesse, carte da gioco. Se poi hai poco più di 20 anni e sei forte, ricco e famoso ecco che allora i problemi diventano ancora di più. A un giovane calciatore inoltre si chiede spesso di essere subito uomo e di saper gestire bene l’azienda che lui stesso ha creato(basti guardare quello che fa da oltre 15 anni Cristiano Ronaldo); ma se non sei fortunato a trovare persone fidate accanto a te anche per il ragazzo calciatore, prima o poi, arriva l’attimo che può fregarti. E c’è un’ulteriore gamma di problemi che può gettarti nello sconforto: stalking, invidie, coincidenze. Oppure intercettazioni: «Era l’inizio della stagione 2006/2007, avevo iniziato bene il campionato con 3 reti. Poi per una storia di carte donate, di intercettazioni, mi ritrovai in mezzo ad un’indagine di partite combinate. La realtà è una sola: io non ho mai scommesso niente. La cosa mi devastò, persi la nazionale, iniziai a giocare male e poco. Fui squalificato due mesi!». Parole di Francesco Flachi, che di lì, nel giro di pochi mesi, incappa indue squalifiche consecutive, perché viene trovato positivo ai metaboliti della cocaina. 

Amato in campo e fuori per il suo carattere allegro e sfrontato, ancora oggi a Firenze come a Genova se lo litigano tra radio, tv e Web dove collabora da tempo. Il ragazzo che sognava di essere il Totti della sua città, si ritrovò a giocare una carriera sotto la Lanterna, tanto che dopo il duo dello scudetto Vialli-Mancini, è lui il terzo realizzatore della storia della Sampdoria con 112 gol. Flachi iniziò a segnare valanghe di gol nell’Isolotto, un rione di Firenze. Aveva 13 anni: «Ancora oggi mi fermano per strada e mi ricordano di quando segnai 5 gol in una partita, 4 in un’altra. In effetti segnavo davvero tanto… Dopo qualche mese mi chiamò Moggi ed ero praticamente del Napoli. Bloccò tutto mia madre che al momento di decidere scoppiò a piangere. Non riusciva ad accettare che a soli 13 anni dovessi andare così lontano per il calcio».

E cosi si realizzò Il suo sogno: Firenze!
«Si! Giocare nella mia città. Avrei davvero voluto essere per Firenze quello che Totti è stato per Roma. Io però sono stato più bischero. Mi ritrovai a giocare con gente come Batistuta, Effenberg, Rui Costa, Baiano».

Perché andò male alla Fiorentina?
«Claudio Ranieri voleva che andassi in provincia a farmi le ossa, mentre Vittorio Cecchi Gori stravedeva per me. Oggi fa bene la Viola a puntare sui giovani». 

E quindi si ritrovò alla Sampdoria.
«E nacque il più bello degli amori. Una città bellissima, una tifoseria unica».

Cosa vuol dire giocare a Genova?
«Lo stadio è meraviglioso e la città è bellissima. Mi fa male vederla oggi sfregiata dopo la tragedia del Ponte Morandi. In otto anni che ci ho vissuto mai visto un giorno che non c’era un lavoro su quel ponte».

E in otto anni quanti derby?
«Il derby è di Genova. Altri non ce ne sono. Gli altri sono diversi. A una partita che non puoi spiegare per intensità, bellezza, entusiasmo».

Ha mai sofferto le pressioni Francesco Flachi?
«In campo mai. All’Isolotto o al Franchi a me non importava nulla. Era la stessa cosa, dovevo far gol. Il calcio mi ha sempre dato quella sicurezza che invece non ho, o meglio, non avevo fuori dal rettangolo di gioco».

Cosa accadeva fuori dal campo?
«Diventavo un cacasotto. Era come se il giocatore sicuro e sfrontato scomparisse e vivevo spesso con grande disagio i problemi della vita e del calcio stesso».

In campo dava del tu al pallone, poi decise ad un certo punto della sua vita di dare del tu a qualche vizio balordo…
«Purtroppo sì! A una delle tentazioni più brutte che una vita può proporti beffardamente. La ragione? Tante, diverse».

Ma se si volesse ritrovare il momento in cui uno cede. Quand’è che mollò?
«Le insidie, le insicurezze possono fregarti in qualsiasi istante. Sei giù, ti incolpano ingiustamente e invece di reagire bene, ho reagito male. Mentre sei li che giochi, che vivi la tua vita di calciatore è tutto cosi veloce che quasi non ti rendi conto che stai buttando via tutto».

Cosa accadde tra il settembre del 2006 e il febbraio del 2007?
«Mi ero ritrovato da poco in una storia assurda riguardo carte clonate e combine, ero davvero triste, avevo perso la Nazionale. Volevo urlare che era tutta una pazzia, ma non potevo. Era inutile. E inizi a stare solo. E capita che ti rifugi in una cosa stupida».

Cosa scatta? Perché non ci si ferma subito visto che ci si rende conto che è una immane sciocchezza? «Te ne rendi conto, certo, ma pensi al calcio, solo a quello. Mentre per tutto il resto quasi ti viene da dire “si vabbè poi ci penso”».

Influisce anche il tipo di vita?
«Ma io non sono uno da vita da copertina! Mi spiace solo aver fatto male alle persone che mi amano davvero: la mia famiglia, i miei genitori. Sa la cosa più bella quale fu?».

Quale?
«Mio padre. Quando la notizia della mia sciocchezza fu data da giornali e televisioni ricordo che tornai a casa dai miei. Fu durissima vedere mio padre, ma nonostante il momento terribile, mi disse una cosa bellissima che non dimenticherò mai. Era seduto to mai a una festa. Credetemi. Andai una sola volta d’estate in Costa Smeralda, invitato da amici calciatori. C’era Lele Mora, tanti calciatori, tanti cosiddetti Vip, ma io guardai mia moglie e le dissi, “andiamocene da qui”. Non ci tornai più».

In effetti a Firenze come a Genova tutti parlano di lei come una persona semplice.
«Ma certo! Ora non voglio sembrare immacolato, anche io ho commesso le mie bischerate. A quell’età per dire ti compri 27 macchine, 27 orologi, vuoi avere sempre di più, ma personalmente durò poco. Capii subito che io posso solo stare in mezzo alla mia gente. Poi capitano gli errori ma non voglio accampare storie perché si decide sempre in prima persona. Nessuno ti imbocca. Ricordo che avevo tanta gente attorno, pagavo tutto io. Cene, sul divano, si vedeva che era preoccupato, mi guardò e mi disse: “Se è una bischerata finiscila immediatamente, altrimenti ti prego andiamoci a curare”. Gli ho levato 20 anni di vita per le mie c****te».

Quando si rese realmente conto della sciocchezza che stava commettendo? «Guardando i miei figli. Mi misi mio figlio piccolo sul petto, me lo guardai, scoppiai a piangere. Decisi che dovevo farla finita. Ho pianto molto in quel periodo, piangere fa benissimo».

Immagino i rimpianti…
«Tanti. Ho buttato via parte della mia carriera. A volte riguardo le cassette delle mie partite, rileggo i giornali. Ferite che mi porterò per sempre dentro».

Oggi come vive Flachi?
«Mi spiace aver sperperato soldi inutilmente, ma nonostante tutto non sto male. Certo nemmeno bene, mi sarebbe piaciuto dare qualcosa in più ai miei figli».

È stato squalificato fino al gennaio del 2022, intanto allena… da fuori.
«Sì! A seguito della squalifica non posso entrare in uno stadio, neanche a vederle partite. Alleno il Bagno a Ripoli e sogno di diventare allenatore. Spero di farcela. Se sono bravo lo dirà il campo, sennò sto in famiglia e continuerò a lavorare nella mia paninoteca a Firenze». 

Cosa ha capito oggi della figura dell’allenatore?
«Che spesso non è assolutamente colpa sua. E volete sapere da quando lo penso? Da quando mi allenavo con Franco Scoglio».

Cosa aveva di speciale Franco Scoglio?
«Era un sanguigno. Parlava in maniera diretta, senza tanti giri di parole. Una grandissima persona che ha fatto tanto per me. Un paradosso, visto che poi lui diventò un mito del Genoa e formò me, che giocai nella Sampdoria».

Uno dei gesti atletici che l’hanno sempre caratterizzata è la rovesciata.
«Una volta a Perugia ne segnai due in una sola partita. La seconda la segnai al 94′. Potete immaginare la gioia».

A proposito di rovesciate…
«Ho già capito, Cristiano Ronaldo! Beh quella che fece alla Juventus in Champions è stata a dir poco spettacolare. Parliamo di un grandissimo professionista. Una macchina da guerra, uno straordinario giocatore che si può permettere di fare tutto. Immenso».

Cosa vorrebbe urlare oggi Francesco Flachi?
«Io non ho mai imbrogliato nessuno, non ho mai rubato un euro, non ho mai mancato di rispetto a nessuno se non a me stesso e a chi mi ha voluto veramente bene. Non ho mai buttato via un minuto d’allenamento. Spero di tornare in un campo di calcio senza dovermi nascondere».

A chi deve dire grazie?
«Ai miei genitori, ai miei figli e a mia moglie Valentina. Sono 20 anni che stiamo insieme. Come tutte le coppie di questo mondo abbiamo i nostri alti e bassi, ma non è una ex velina, non è una ex letterina e la amo ancora oggi come quando la conobbi tanti anni fa, da cassiera in un negozio di Firenze. Per me è la più bella del mondo».