Gasperini: “Alla Roma di sicuro avrei guadagnato di più”
GAZZETTA DELLO SPORT – GARLANDO – Gian Piero Gasperini, il Colleoni di Grugliasco, miglior condottiero del campionato, combatterà ancora al soldo dei Percassi e guiderà la campagna di Champions. Bergamo ha tirato un sospiro di sollievo, serena come neppure Venezia. Durante la nostra chiacchierata ha telefonato il sindaco Giorgio Gori che si è complimentato per la stagione e per la scelta di restare. Il Gasp ha ricambiato per la conferma elettorale e ha aggiunto: «Come potevo lasciare questa città?».
Gasperini, anche Roma ha un certo fascino…
«Roma è Roma. E credo si potesse fare un buon lavoro. Di sicuro avrei guadagnato di più. Ho preso tempo. A tutti i club che mi hanno contattato, anche dall’estero, ho spiegato che non avrei risposto prima dell’incontro con il presidente Percassi».
Che era un difensore tosto e infatti ha stoppato l’ex centrocampista Gasperini.
«Non ci ho mai giocato contro, ma so che era un tipo alla Palomino. Nella mia Atalanta mi avrebbe fatto comodo».
Tackle duro?
«La questione non era economica, ma tecnica. L’eliminazione con il Copenaghen è stata molto dolorosa, perché avevamo lavorato tanto per conquistare l’Europa League. Ma non eravamo nelle condizioni di competere, eravamo incompleti e gli acquisti erano arrivati tardi. Dalle ceneri di quell’amarezza è nata la nostra reazione e la spinta per una stagione esaltante. Nel momento più critico chiesi ai ragazzi di scrivere alla lavagna quale sarebbe stato il nostro traguardo. Nessuno scrisse Champions. Un paio dei più giovani, ottimisti, scrissero Europa League. I più: togliersi in fretta dai guai. Ilicic: la salvezza. E non fu il solo. I ragazzi sono stati eccezionali e sono andati oltre ogni speranza, nonostante una rosa ridotta. Alla fine, forse, l’uscita dall’Europa League è stata un bene. Ma quanto è successo deve servirci da lezione per il futuro».
Percassi non gradì la definizione di «mercato triste».
«L’impegno economico è stato alto, vedi Zapata. Ma non mi era mai successo di affrontare una stagione con un numero così ridotto di giocatori. Giovani come Bettella, Tumminello, Reca… diventeranno importanti, ma per il livello raggiunto da questa Atalanta, hanno bisogno di un passaggio altrove. Poi forse torneranno. L’Atalanta è diventata un’altra cosa, tre anni fa nessuno poteva immaginarlo. Ormai bisogna tenerne conto».
E così, nell’incontro chiave per il futuro, le hanno promesso un mercato «allegro».
«Per prima cosa, non parte nessuno. Avviso ai naviganti: non avvicinatevi che tanto l’Atalanta non vende».
Neppure se uno porta 60 milioni per Zapata o Mancini?
«A quelle cifre ne parliamo, perché si possono trovare sostituti. Nessuno parte e poi acquisti importanti in attacco, alternative per Gomez, Ilicic e Zapata. Un centrocampista, due se non verrà riscattato Pasalic. In difesa e sulle fasce siamo più attrezzati. Vedremo le opportunità che si presenteranno. Il mercato ormai si fa così, non inseguendo i sogni».
Immaginiamo che non riterrebbe «allegri» 4-5 giovani di prospettiva.
«Non mi aspetto 4-5 Ilicic. E’ nella natura dell’Atalanta scommettere su qualche giovane, ma 3-4 devono essere giocatori di spessore, già pronti per la Champions. Penso a una rosa di 17-18 titolari più qualche giovane. Da settembre a dicembre ci aspettano 9 turni infrasettimanali. Per l’11-12 luglio, quando inizieremo la preparazione, questa volta, dovremo essere quasi al completo, per partire subito bene. Il presidente Percassi è stato sempre disponibile a rafforzare la squadra, nel rispetto sacro dei bilanci. Ora l’asticella si è alzata. Luca Percassi sarà impegnato in modo diretto nella costruzione tecnica della squadra, a tempo pieno. Questo garantirà velocità d’azione e presenza continua. Un punto determinante nella decisione di rimanere a Bergamo. Ma non solo».
Cioè?
«Non avevo bisogno di una big. Per società, squadra e tifo, io sono già in una big. Difficile trovare una proprietà appassionata e generosa come quella dei Percassi. Non potevo lasciare l’Atalanta e la sua gente prima della Champions. Al primo anno, dopo 4 sconfitte in 5 partite, un uomo mi fermò sotto casa e mi disse: “Mi piacciono le sue idee. Sono convinto che qui farà bene”. Dubitai che mi prendesse in giro. Salvai la panchina col Crotone, rincontrai quel signore che mi invitò a cena a casa sua. Non conoscevo ancora nessuno a Bergamo. Cucinò un ottimo risotto. Oggi Paolo è un mio buon amico. Di risotto in risotto siamo in Champions… Tutta la città mi ha voluto bene. Non esiste una tifoseria di famiglie come la nostra. Io sono orgoglioso del comportamento impeccabile dei nostri 25 mila a Roma, per la finale di Coppa Italia, nonostante i torti».
In cosa si sente bergamasco?
«Nello spirito. Piedi per terra, senza esaltazione. I bergamaschi sono concreti. Io che ho abitato davanti al mare e all’orizzonte li ho spinti a sognare. Una piccola spinta. Come ha scritto un poeta, il bergamasco s’infiamma di rado, ma è brace sotto la cenere. Io ho solo soffiato un po’…».
Champions. Girone facile: Zenit, Benfica, Salisburgo. Girone di ferro: Manchester City, Real Madrid, Ajax. Scelga.
«Girone di ferro. Dobbiamo portare la nostra gente negli stadi più nobili. Se è una favola, che sia un gran ballo al Bernabeu o davanti alla curva del Liverpool. Il presidente sta facendo di tutto per ospitare la Champions nel nostro nuovo stadio. Sarebbe fantastico».
La prossima Atalanta sarà la sua squadra più forte?
«Ho allenato campioni come Milito e Thiago Motta. Ma sì, credo che la prossima Atalanta sarà la mia squadra più forte».
Qualche ritratto. Gollini?
«All’inizio ha fatto maluccio, più che altro ha gestito senza osare. E’ uscito e per qualche mese ci ha pensato su. Quando è rientrato tra i pali è stato determinante. Ha fatto punti come Zapata e Ilicic. Parate come gol. Non è più una scommessa. Ora è un portiere».
Dicevano: senza Conti e Spinazzola è un’altra Atalanta.
«Hateboer e Castagne hanno corsa e agonismo europeo. Ora che sono cresciuti tecnicamente e ci hanno messo i gol che mancavano nella stagione scorsa, la forbice con Conti e Spinazzola si è chiusa. Mettiamoci anche Gosens. Un olandese, un belga, un tedesco. Sono molto legati tra loro».
Difesa.
«Djimsiti è stato la rivelazione. Masiello a inizio stagione ha faticato. Lui, da sempre perno di tutto, si è ritrovato fuori. Non si è mai lamentato, ha lavorato duro e, quando è rientrato, si è dimostrato più forte di prima. Un esempio. Anche per le lacrime dell’Olimpico».
Freuler e De Roon, insostituibili. Per necessità.
«Infatti hanno terminato con le batterie scariche… Hanno mandato in tilt il contachilometri. Due tipi riservati».
Più esuberante Ilicic.
«Infatti quando andai a trovarlo in ospedale e non rispondeva alle battute, mi preoccupai. Aveva un collo come un melone. Ci spaventammo tutti per quell’infezione. Josip scherza sempre, è strano. L’unico contento di andare in panchina. Prima di Sassuolo-Atalanta gli dissi che sarebbe entrato nella ripresa. Era felice come se gli avessi pagato una cena… Poi entrò e segnò 3 gol. Contro la Juve continuava a farmi segni per farsi sostituire. Io facevo finta di non vedere. Allora ci provò con Gritti: “Dì al mister che non ne ho più… Sono cotto…”».
Che stagione il Papu….
«Quando ha cominciato a perdere qualche gol, l’ho trasformato in un tuttocampista. Splendido. Determinante per la sua qualità e la personalità. Spostandosi dalla fascia al centro si è sentito ancora più leader. Tutti ricordano le sue giocate, io anche certi recuperi decisivi. Ha allargato il suo raggio di corsa. E’ diventato un altro».
Zapata?
«Mai visto un uomo sudare tanto… Estate caldissima. Duvan faticava, strizzava gli occhi e zampillava come una fontana. Ma non si lamentava mai. I gol non lo hanno cambiato. Sorrideva solo di più e sudava meno».
L’Atalanta è la squadra che ha ricevuto meno cartellini e, dopo il Napoli, quella che ha fatto meno falli. Eppure sembra una macchina da guerra.
«Si può essere aggressivi senza essere fallosi. Basta usare l’anticipo. Io lo alleno nelle partitelle vietando falli e cariche. Solo aggressione alla palla».
Le sue sono idee in evoluzione. Prossima frontiera?
«Migliorare tecnicamente. Sbagliamo troppi passaggi. Sono gli uomini a dettare varianti e novità. Tipo l’interscambio in uscita Toloi-De Roon».
Una perla di stagione?
«L’Ajax che ha dimostrato come l’esperienza sia un valore sopravvalutato. Contano di più corsa, qualità, tecnica. Per noi esperienza significa: calma, tranquilli, rallentiamo…»
L’Ajax ha esasperato la faida tra giochisti e risultatisti.
«Se l’Atalanta non fosse arrivata terza, non avrebbe avuto tanto risalto. Il risultato conta. Io rispetto tutti i mezzi per arrivarci, ma non dirò mai: se volete divertirvi, andate al circo. Altrimenti ci sarebbero stadi vuoti e lunghe file fuori dai tendoni de i circhi. I tifosi sono maturi per apprezzare lo spettacolo oltre il risultato. Che non sarà mai la sola cosa che conta».
Come la seguono i suoi figli?
«In modo diverso. Davide, 34 anni, ingegnere, non perde una partita, soffre, è scaramantico. Ha organizzato gli impegni di lavoro per seguirci all’estero. Andrea, 31, laureato in Economia, in genere registra la partita, ma può capitare che poi non le veda… Porta fortuna. Quest’anno la prima volta che è venuto allo stadio abbiamo battuto la Juve 3-0. E a Roma in Coppa Italia non c’era».
Sua moglie?
«Cristina finge distacco, ma le interessa. Segue le partite a Bergamo. Ci siamo conosciuti a scuola, Istituto Sommeiller, Torino. Ragioneria».
Suo padre Gino esponeva alla finestra di casa, a Grugliasco, il bandierone del Genoa quando lei vinceva, vero?
«Vero. Ha fatto in tempo a essere orgoglioso di un figlio allenatore. Certo che sarebbe stato bello vedere il bandierone dell’Atalanta alla sua finestra, per la Champions».
Gasperini, ma stavolta gliela daranno la Panchina d’oro?
«Nel caso, propongo che un allenatore possa vincerla una volta sola. Altrimenti la danno solo a chi arriva primo. E sono sempre i soliti. Si può essere bravi anche senza vincere».