La Serie A si vende ai fondi d’investimento. Ma per ora la “newco” è solo un annuncio
IL FATTO QUOTIDIANO – VENDEMIALE – Per alcuni è la svolta epocale che la Serie A attendeva da anni. Nel calcio italiano, dove tutto cambia per non cambiare, potrebbe essere solo l’ennesimo annuncio a effetto. La Lega Calcio ha deciso (ma non ancora fatto per davvero) di creare una media company e vendersi ai fondi di investimento stranieri.
Il prezzo da pagare è altissimo: perdere sovranità e trasformare il pallone in un prodotto finanziario. Ma significherebbe avere anche tanti soldi con cui rilanciare il nostro calcio (circa un miliardo e mezzo), più manager indipendenti e meno Claudio Lotito al potere (che infatti è contrario).
Quello della media company è un piano a cui il presidente Dal Pino lavora da mesi, come “paracadute” al rischio che la prossima asta dei diritti tv sia un fiasco: il progetto del canale della Lega si è arenato, Sky non sborserà più il miliardo per il campionato. L’alternativa sono i fondi, che ovviamente non regalano nulla, investono, comprano un pezzo di Serie A. Sul tavolo restano due proposte, leggermente diverse fra loro, sempre per il 10% della newco: la cordata Cvc-Advent-Fsi offre 1,625 miliardi, Bain-Nb Renaissance 1,35 miliardi ma con bonus e un minimo garantito sui diritti tv.
Il progetto è passato all’unanimità, ma in realtà i presidenti non hanno deciso quasi nulla. La delibera prevede solo di “proseguire le attività necessarie alla creazione di una media company” e di “individuare un partner di private equity”. La società non è ancora stata fatta: in questo cavillo confidano gli oppositori che non si sono ancora arresi (Lotito non si arrende quasi mai).
La vera differenza rispetto al passato probabilmente sta nei rapporti di forza: stavolta il progetto è sostenuto da tutte le big. In prima fila Andrea Agnelli e la Juventus, ma anche le milanesi, Urbano Cairo, la Roma. Con la newco, la Serie A potrebbe vendere un pezzo di se stessa e far entrare nuovi capitali; anche la governance non sarebbe più in mano ai patron ma a manager indicati dai partner commerciali, e quindi, si spera, più illuminati.
I dubbi, però, sono tanti. Come sarà gestito questo fiume di denaro? In una logica virtuosa, dovrebbe servire a migliorare il sistema. Il rischio è che finisca nelle tasche dei patron, per aggiustare i conti traballanti dei club. È per questo che tanti presidenti si sono convinti. Ma in Serie A negli ultimi 10 anni si sono alternate 37 squadre diverse, premiare solo chi ne fa parte oggi rischia di essere illegittimo (infatti il Monza di Galliani e Berlusconi è già sul piede di guerra). L’equivoco, in fondo, è sempre lo stesso: il calcio cerca cambiamento, i suoi padroni soltanto soldi.