LA GAZZETTA DELLO SPORT – «Ho un unico rimpianto, poter donare alla Roma una sola carriera». In questa frase piena di sentimento c’è tutto il «romanismo» e l’amore di Daniele De Rossi per la maglia che è stata la sua seconda pelle. Ieri la Roma, con una scelta impopolare, ha chiuso le porte alla carriera da giocatore e spalancato a De Rossi quelle della società nella vesti future che lui preferirà: dirigente o tecnico. Daniele valuterà più avanti, ora vuole continuare a giocare. C’è una distanza emotiva e di empatia tra la società e i suoi tifosi – evidenziata nella gestione degli addii di Totti e De Rossi – che la Roma non può sottovalutare e farà bene a risolvere. Il tifoso della Roma ha sopportato la bacheca semi vuota perché nel frattempo poteva mostrare orgogliosamente al mondo come trofei i suoi giocatori simbolo e le loro scelte di amore e fedeltà alla maglia. Nel calcio moderno senza più bandiere i romanisti sventolavano Totti e De Rossi, romani e romanisti: Romolo e Remo allattati dalla Lupa. De Rossi ha rappresentato l’anima testaccina, la volontà, la grinta, il cuore, il tifoso in campo con una sola esultanza replicata mille volte: la vena che si gonfiava dopo ogni gol suo o di un compagno.