Pallotta rifà la Roma e la offre a Gasp terza rifondazione
GAZZETTA – CECCHINI – Invece che l’inizio della fine, in fondo potrebbe essere solo la fine dell’inizio. Un doloroso rito di passaggio che porta a guardarsi indietro e a sussurrare un malinconico «come eravamo» come solo Barbra Streisand sapeva fare. Una cosa è certa: dal punto di vista tecnico il divorzio da Daniele De Rossi chiude una pagina della Roma a trazione statunitense, visto che il capitano era l’ultimo giocatore rimasto della prima annata «yankee», quella 2011-12. Per gli amanti della statistica è bene ricordare che Florenzi aveva esordito nell’annata precedente, ma poi era stato mandato a farsi le ossa al Crotone senza quindi poter vivere i sogni e i bisogni lievitati con la presidenza di Tom DiBenedetto e la guida innovativa di Luis Enrique.
Terza rifondazione
Otto anni più tardi la Roma ha cambiato pelle in tutti i settori. Se leggete i nomi sopra, è facile notare come dirigenti e allenatori sono stati come grani di un rosario adoperato per di una preghiera laica inascoltata. Negli uffici come sul campo, ognuno dei personaggi (non banali) che ha lavorato a Trigoria potrebbe raccontare una «Spoon River» di grandi progetti da antologia della managerialità. «Vogliamo fare della Roma una regina», diceva infatti il presidente DiBenedetto. Il problema è che la monarchia si è insediata stabilmente a Torino (sponda Juventus) e a fare da ancelle sono state Milan, Lazio e Napoli e nessuno più. Quanto basta perché il popolo giallorosso – sull’onda di De Rossi – abbia cominciato a vivere un disamore che ieri è arrivato persino sui media di Boston, stupiti del livore nei confronti di Pallotta. Eppure il presidente non ci sta proprio ad indossare la divisa del perdente e così – dopo aver portato in otto stagioni oltre un centinaio di calciatori a Trigoria e aver fatto registrare la più alta media punti della storia del club– è pronto a fare una terza rifondazione tecnica che segue quelle del 2011 e del 2013. La prima fu una sorta di colpo di scopa. Intorno ai capitani Totti e De Rossi niente più reduci più o meno attempati ma solo giovani di belle speranze guidate da un allenatore esordiente in prima squadra. La linea verde durò due stagioni, poi con la sconfitta contro la Lazio nella finale di Coppa Italia, l’allora d.s. sabatini disse: «Occorre un mix tra calciatori esperti e ragazzi talentuosi». Cominciò allora la stagione dei Maicon e degli Strootman, che – tra più alti che bassi – arriverà fino a domenica prossima contro il Parma, quando appunto De Rossi dirà addio. Nel frattempo la società si è rafforzata in modo esponenziale, sui social ha un appeal da far invidia a livello internazionale e il fatturato ha superato ogni record, arrivando a circa 250 milioni.
Assalto a Gasperini
Adesso si volta ancora pagina e, se la Roma sarà convincente, toccherà a Gian Piero Gasperini tenere il timone per pilotare la Roma verso quell’approdo che le manca da 11 anni: la vittoria. All’allenatore saranno chieste essenzialmente due cose: 1) valorizzare i tanti giovani di talento che ci sono già, 2) togliere la ruggine agli esperti che hanno ancora molto da dare. Tutto questo, secondo le intenzioni, servirà a riavvicinare quella gente che in questo momento è sfiduciata verso tutto il progetto che – non dimentichiamolo – ha bisogno del nuovo stadio come passaggio fondamentale. Cosa porterà Gasperini con i suoi metodi? Corsa, alta intensità negli allenamenti e in partita, tattica mirata a rischiare e vincere gli uno contro uno, a dare a ciascuno tante soluzioni di passaggio e a modernizzare il concetto di gruppo. Se ci sarà pazienza – ma ci sarà? – potremmo dire che si cercherà di «inglesizzare» la Roma, quello che Ranieri non ha potuto fare.
Ranieri saluta
Ecco, le parole di ieri del tecnico ieri al sito del club, per certi versi rappresentano la cartina di tornasole del nuovo progetto. «Questa squadra ha un futuro – dice –, perché ci sono dei giovani molto interessanti: sono sicuro che potrà far bene. Certo, bisogna vedere come cambierà la rosa nel prossimo anno. In generale, dico che questa è una buona squadra e infatti negli ultimi anni è sempre andata in Champions. Così meglio pensare la prossima Roma dovrà entrare in Europa League, voliamo più in basso. Se poi arriverà l’anno buono, vorrà dire che entrerà in Champions e sarà una bella sorpresa. Io sono sempre stato così: meglio non caricare di aspettative i tifosi e, di conseguenza, allenatori, società e il resto. Questo club ha sempre messo in chiaro di voler mantenere il bilancio a posto e credo sia giusto. Quando sono tornato ho visto tantissimi cambiamenti, cose che prima non c’erano. Vuol dire che i soldi qui sono stati spesi e le cose sono state fatte bene. Ovviamente ai tifosi, com’è giusto, di tutto ciò che non si vede non importa nulla, perché loro vogliono vedere solo la squadra lottare sul campo. Ma io che sono allenatore dico che qui c’è un’ottima struttura, una grande società e una grande crescita». Quasi un modo per suggerire che con la lettera «A» cominciano sia la parola «azienda» che la parola «amore». Entrambe indispensabili, in fondo, per coniugare il verbo «vincere».