LA GAZZETTA DELLO SPORT – Sì, nonostante le ansie parlamentari che da ieri vive il premier inglese Boris Johnson, viviamo proprio in tempi di «Brexit» ruggente. E come l’Unione Europea, pur malinconicamente, ne potrebbe approfittare per dividersi le spoglie di alcuni dei tradizionali affari «made in England» (ieri un rapporto Onu parlava di una perdita di 16 miliardi di euro di mancate esportazioni per il Paese della Regina Elisabetta), così il calcio prova a sfruttare lo strapotere della Premier League (…) In giallorosso, infatti, ci sono ben dieci calciatori che hanno conosciuto il verde dei campi inglesi, accumulando presenze e gol (cosa che non guasta) in modo non banale: 789 e 95. L’elenco potrebbe fare quasi una formazione, ma il dettaglio è interessante, se si eccettua magari la sfortunata esperienza del portiere Pau Lopez, che non ha mai esordito. Questa comunque è la lista completa. Lopez: Tottenham 2016-2017 (0 presenze); Zappacosta: Chelsea 2017-2019 (26 presenze, 1 gol); Smalling: Fulham 2008-2010 (13 presenze), Manchester United 2010-2019 (206 presenze, 12 gol); Fazio: Tottenham 2014-2016 (20 presenze); Kolarov: Manchester City 2010-2017 (165 presenze, 11 gol); Santon: Newcastle 2011-2015 (82 presenze, 1 gol); Veretout: Aston Villa 2015-2016 (25 presenze); Mkhitaryan: Manchester United 2016-2018 (39 presenze, 5 gol), Arsenal 2018-2019 (39 presenze, 8 gol); Dzeko: Manchester City 2011-2015 (130 presenze, 50 gol); Kalinic: Blackburn 2009-2011 (44 presenze, 7 gol). (…) osì, se è vero il mantra che recita come vincere aiuti a vincere, cinque romanisti «made in England» possono portare in dote un palmares straordinario. Vediamoli. Smalling: 2 Premier League, 1 FA Cup, 1 Coppa di Lega, 4 Community Shields e 1 Europa League; Kolarov: 2 Premier League, 1 FA Cup, 2 Coppe di Lega e 1 Community Shield; Dzeko: 2 Premier League, 1 FA Cup, 1 Coppe di Lega e 1 Community Shield; Mkhitaryan: 1 Coppa di Lega, 1 Community Shield e 1 Europa League; Zappacosta: 1 FA Cup e 1 Europa League. Un buon viatico virtuale, forse, per una Roma che non vince un trofeo dal 2008. Tutto sommato, a voler ben guardare, l’unico paradosso contenuto in questa iniezione «british» in giallorosso è che di inglesi in realtà ne è arrivato soltanto uno, Smalling. Tutto il resto è un «melting pot» di culture che sembra essere soltanto una ricchezza. Almeno questo è il messaggio che giunge dall’empireo della Premier League. E chissà che l’esperienza della Roma non faccia scuola.