19 Mar 2019In Rassegna stampa1 Minuti

E allora adesso prendiamo il numero 1

IL ROMANISTA – CAGNUCCI – Era evidente dal primo tempo della partita all’Olimpico con l’Atalanta che alla Roma le cose non funzionavano come si pensava (forse già da tutte le amichevoli estive, quella però effettivamente sarebbe potuta essere un’analisi affrettata), ma se poi il cambio è arrivato solo dopo l’eliminazione da tutto (con l’ignominia di Firenze che reclamava gesti eclatantissimi) vuol dire che si è aspettato troppo.

Ieri tra Siviglia e Boston si sono scoperti un po’ gli altarini, ma un po’ come l’acqua calda. È stato Monchi a tenere fino alla fine una linea scelta in autonomia da lui, è stato Pallotta a spezzarla visto che era arrivata a un binario morto. Di fatto però parliamo di due ritardi, uno cronico (quello di Monchi), l’altro magari più rispettoso (della delega data al suo ds) ma comunque un ritardo nel momento in cui proprio Pallotta poi esonera sia l’uno, sia l’altro. Perché sì, se Pallotta avesse aspettato fino alla fine senza far nulla, paradossalmente avrebbe avuto solo ragione nel non avere alcuna responsabilità, ma quando poi lo manda via dimostra quello che era già autoevidente: avrebbe potuto farlo ai tempi in cui già diceva a chiunque via sms di essere «disgustato».

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