GAZZETTA – Eppure ci fu un tempo in cui Franco e Francesco sembravano solo declinazioni diverse di un comune sentire. Erano i giorni del vino e delle rose, quelli della caccia di coppia al terzo scudetto di cui – col senso del paradosso di cui solo il destino è capace – proprio oggi cadrà il 18° anniversario. In quel tempo Baldini non appariva «l’uomo nero» da detestare ma il d.s. a caccia di Samuel e Batistuta; così come Totti non era l’inadeguato alla stanza dei bottini ma il leone affamato di successi. Un decennio più tardi, fu Baldini a far capire che le cose erano cambiate. Bastò un’intervista in cui diceva: «Deve liberarsi della sua pigrizia». Fu l’inizio della fine, anche perché i corifei iniziarono a parlare di troppi privilegi, troppi allenamenti blandi, troppi anni sulle spalle.
Inutile dire che nei mesi dolorosi dell’addio al calcio Totti vide sempre in Baldini lo stratega che aveva armato la mano a Pallotta e Spalletti. E se il capitano, ormai divenuto un ex, aveva avuto dei dubbi, fu proprio Baldini – migrato nel ruolo misterioso di consulente sempre omaggiato dal presidente – a toglierglieli. «Sono stato io a farti ritirare – ha ricostruito Totti nella sua autobiografia –. Ho voluto Spalletti perché la pensava come me. Anni fa volevo venderti, ma ogni allenatore chiedeva la tua presenza». Il sigillo fu il no della vice presidenza chiesta da Francesco. Motivo: «Non ne hai bisogno. Noi siamo dei noiosi passacarte, tu sei Totti».