3 Gen 2025In Rassegna stampa12 Minuti

Gianluca Mancini a Il Tempo: “Il derby è una partita importante. Abbiamo carica e voglia di fare bene”

Ecco le dichiarazioni rilasciate dal difensore centrale giallorosso Gianluca Mancini a Il Tempo in edicola oggi.

Il 2025 inizia con il derby, quali sono le sensazioni in vista di questa partita?

“È una partita particolare. Non c’è un avvicinamento diverso per ogni derby, ma è una settimana particolare, si sente subito dagli allenamenti, è nei pensieri da quando ti svegli fino a quando vai a letto. Durante la giornata pensi ‘devo stare attento, c’è il derby’. L’avvicinamento alla partita ti porta carica e voglia di far bene”.

Nell’ultimo derby ha esultato con una bandiera della curva e si sono scatenate polemiche. Che accoglienza si aspetta?

“Se ci saranno fischi saranno normali. Quando sei in campo non ci pensi. Anche nei derby precedenti c’è stato un po’ di accanimento nei miei confronti, la vivo in maniera serena. Anzi, mi fa stare più concentrato”.

Come ci arriva la squadra?

“Il mister è arrivato e ha portato quella serenità che purtroppo in questo fine 2024 era venuta a mancare. Mi sentivo nervoso, sapevo che non stavo facendo bene il mio lavoro e l’aria dentro lo spogliatoio era pesante. Già guardandolo e vedendolo arrivare dentro lo spogliatoio ci ha fatto buttare un po’ giù la tensione e l’aria adesso è positiva. A parte lo scivolone che abbiamo avuto a Como, abbiamo fatto delle partite buone”.

Il 2024 è stato un anno particolare. Il primo momento difficile è stato l’esonero di Mourinho…

“L’esonero del mister è arrivato in un momento delicato. Eravamo usciti in Coppa Italia con la Lazio, poi la sconfitta con il Milan. Venivamo da un periodo di emergenza, stavo male ma giocavo perché c’era Smalling infortunato e Ndicka in Coppa Africa. L’esonero del mister è stato inaspettato. Una mattina sono andato a Trigoria e ci hanno comunicato che non era più il nostro allenatore. L’ho aspettato fino all’ultimo per salutarlo perché non riuscivo ad andarmene via. È stato un saluto abbastanza freddo, eravamo entrambi molto scossi. Però l’ho abbracciato, l’ho ringraziato per quei due anni e mezzo che mi hanno dato una persona e un allenatore splendidi. Nemmeno nei miei sogni da piccolo potevo immaginare di essere allenato da una leggenda come lui”.

Dopo Budapest ha fatto bene a rimanere?

“Non lo so. A inizio stagione lo avevo visto carico e sereno. Poi lui ora ha detto questa cosa (di essersi pentito di essere rimasto a Roma, ndr), magari a mente fredda, ripensando a tutto quello che è successo. Però in quei primi sei mesi sembrava tutto normale, anche se non era il solito Mourinho”.

Poi è iniziata l’era De Rossi, finito con un esonero ancora più inaspettato…

“Da quando è arrivato a gennaio e fino alla partita di Leverkusen abbiamo spinto tanto. In tre mesi abbiamo fatto un percorso importante perdendo solo con l’Inter e facendo una rincorsa difficile per il quinto posto che sarebbe valso la Champions. Dopo quella partita ci è caduto il mondo addosso, perché potevamo fare un’altra finale nel giro di tre anni. Dopo Leverkusen eravamo sotto terra, la gente faceva fatica a fare la doccia, ad andarsene dallo stadio. Io fui l’ultimo ad uscire con Pellegrini, il mister e Spinazzola. Siamo arrivati alla fine della stagione un po’ zoppicando, avevamo finito la benzina. Quest’anno siamo ripartiti con il ritiro, con nuovi giocatori giovani e forti, abbiamo cambiato tanto. Con De Rossi c’era un progetto di tre anni e vederlo andare via dopo quattro giornate è stato un trauma per me, per la squadra, per il gruppo, per i giocatori che erano venuti perché era lui l’allenatore. Ci sono state delle decisioni societarie sulle quali noi calciatori non entriamo nel merito, perché, sembra una frase fatta, ma i calciatori fanno i calciatori, le scelte le prendono i presidenti. Quel giorno è stato un giorno veramente triste, traumatico per il gruppo”.

Ci racconta i retroscena di quei giorni e di quelle riunioni con la società?

“Ci sono state delle riunioni con qualche giocatore, però non ci è mai stato chiesto dell’allenatore. Abbiamo fatto una semplice riunione dove ci veniva chiesto il motivo per la quale in quelle prime quattro partite avevamo fatto solo tre punti. Ai più esperti era stato chiesto se ci fossero problemi nello spogliatoio anche con i nuovi arrivati. Dopo queste riunioni ci siamo confrontati per capire se a tutti erano state chieste le stesse cose, ed è stato così. Dopo un giorno libero tornammo a Trigoria e mentre stavo facendo le analisi del sangue e ho letto sul telefono la notifica che era stato esonerato De Rossi. Siamo rimasti tutti stupiti. Nello spogliatoio tanti nuovi avevano gli occhi spalancati. Noi che stiamo da più tempo qua a Roma abbiamo fatto gruppetto e siamo andati a chiedere spiegazioni, il direttore (Ghisolfi, ndr) e l’ex Ceo ci hanno detto che la decisione era stata presa per il bene della Roma, quello che hanno scritto nel comunicato. Abbiamo detto ai compagni che la decisione era questa e bisognava andare avanti per il bene di tutti e della Roma”.

C’erano avvisaglie di questa crisi tra De Rossi e Souloukou?

“Si vedeva il gruppo che cresceva, che i giocatori arrivavano felici ed entusiasti e De Rossi era carico per il lavoro fatto. Sinceramente non ho avvertito frizioni tra loro, quando due persone sono in conflitto si nota, ma nulla sembrava portare a un esonero così brusco”.

Poi è stato il momento di Juric. Che impatto ha avuto?

“Abbiamo iniziato bene vincendole prime gare. Juric è arrivato e, come ha detto tante volte lui, ed è la verità, ci ha chiesto come stavamo e noi, schietti e sinceri, abbiamo detto ‘male’, eravamo delusi e lui ci ha detto: ‘Mi fa piacere la vostra sincerità’. Si è presentato bene, ha cercato di tirarci su mettendo in pratica il suo modo di giocare. Con una squadra che secondo me che non era pronta a questo stravolgimento tattico. Salutandoci dopo l’ultima partita con il Bologna me l’ha confidato: ‘potevo magari alleggerire questo modo di pressare uomo contro uomo’. La squadra ha cercato di fare quello che ci chiedeva. Sono stati due mesi di tantissimi bassi e pochi alti che hanno compromesso tanto la classifica. Però ci sono sempre sei mesi da giocarci e lo faremo al massimo”.

C’è stato un dialogo con lui per cambiare qualcosa?

“No, il suo credo è rimasto lo stesso. Cercavamo di seguirlo, ma non eravamo pronti a questo stravolgimento tattico. Cambiare tre allenatori nel giro di otto mesi con idee diverse è difficile. Non è una scusa, non è un alibi, ma è molto difficile”.

Quanto ci ha messo Ranieri per ridarvi serenità?

“Vederlo aprire la porta ed entrare nello spogliatoio mi ha fatto fare un sospiro di sollievo, ha portato serenità a livello tattico e tecnico. Le sconfitte contro Napoli e Atalanta ci hanno dato consapevolezza. Anche le partite con Tottenham e Braga ci hanno portato quella serenità di cui parlavo ed è una cosa importante, come anche la vicinanza del pubblico. Roma è una piazza calorosa, il 60-70% di vittorie in casa passa dai tifosi, perché sentire lo stadio avvelenato a tifare contro di noi non è facile”.

Vede una luce in fondo al tunnel per Pellegrini?

“Lorenzo in allenamento è sempre un esempio, anche se sta giocando meno, si allena sempre al massimo e col sorriso per mettere in difficoltà il mister. È pronto per combattere per la sua squadra del cuore alla quale tiene tantissimo, si arrabbierà ma è la verità (ride, ndr)”.

Ranieri ha detto che l’obiettivo a lungo termine è di vincere lo scudetto con i Friedkin, cosa ne pensa?

“I presidenti tengono alla Roma, lo dimostrano i fatti. In estate hanno fatto una grande campagna acquisti con giovani importanti che sono la base per il futuro. Sono presenti, quando vengono parlano con noi calciatori. Per arrivare a vincere uno scudetto c’è bisogno di un percorso importante, non è facile quanto a dirlo. Devi costruire una mentalità forte, non a parole, ma con i fatti. Con Mourinho lo abbiamo fatto in Europa con le due finali e la Conference che ci hanno reso una realtà solida in campo internazionale. Vincere quella coppa non era affatto facile, e purtroppo Budapest ci ha impedito di avere quella spinta per arrivare a giocartela per il campionato. Vincere dà consapevolezza, come sta accadendo per l’Atalanta dopo l’Europa League. Nelle coppe abbiamo fatto partite meravigliose, dove dicevi ‘oggi la Roma vince, non ce n’è per nessun’ e siamo arrivati sempre in fondo. Se avessimo vinto a Budapest avremmo avuto quella fame per lottare per lo scudetto”.

Si è parlato di Napoli per lei già a gennaio…

“L’ho letto ma non c’è nulla di vero. Il mio procuratore non mi ha mai detto nulla e sa quello che penso”.