LA REPUBBLICA – RIZZO – Possiamo immaginare la domanda che più di qualcuno potrebbe porsi dopo il rinvio a giudizio del costruttore Luca Parnasi e di altre undici persone, fra politici e funzionari pubblici che i magistrati inquirenti presumono coinvolti nel pasticciaccio dî Tor dì Valle. “E adesso che fine farà lo stadio della Roma?”. In teoria nessuna fine, sarebbe la risposta giusta. I giudici hanno ribadito più volte che îl progetto dello stadio non è în alcun modo coinvolto, dunque può procedere. Lo stesso, a scanso di equivoci, ha precisato anche il Campidoglio. Il Comune di Roma e la Regione Lazio, per giunta, hanno deciso di costituirsi parte civile nel processo, ritenendosi parti lese. Mentre Parnasi è ormai da tempo del tutto fuori dai giochi. Dunque nessun impedimento, în teoria. Ma soltanto în teoria. Perché sarà semplicemente una coincidenza, o gli effetti delle solite incomprensibili lungaggini burocratiche, ma da quando è scoppiato tl caso (che ha investito, va ricordato, anche il superconsulente della sindaca Virginia Raggi, l’ex presidente dell’Acea Luca Lanzalone) le cose procedono, sì, ma al passo dî lumaca. Al punto, abbiamo ricordato giusto giovedì su questo giornale, da far sorgere il sospetto che sia stato tirato îl freno amano a un’operazione assai discussa ma che nella sua attuale versione ha avuto îl benestare dell’attuale amministrazione. Un sospetto avallato anche dal fatto che nel Movimento 5 stelle non si è affatto placata la fronda interna contraria a Tor di Valle, guidata dalla capogruppo in regione Roberta Lombardi, influentissima nel partito. E anche per questo così consistente da indurre gli investitori americani a individuare un’alternativa eventuale, rivolgendosi al sindaco di Fiumicino Esterino Montino. Contemporaneamente attrezzandosi pure nella prospettiva di una battaglia legale, con un parere che esclude în modo tassativo per il Campidoglio la possibilità di una marcia indietro. Una situazione che fa apparire quasi una beffa îl varo, da parte del governo nel quale il partito che guida la città di Roma è azionista di riferimento, di un decreto per sbloccare i cantieri fermi Mentre un investimento estero privato da 1,2 miliardi (un miliardo e duecento milioni) avviato ben sette anni e tre sindaci (più un commissario) fa, e approvato dalla stessa forza politica, è al palo da oltre un anno. Esattamente da quando la seconda conferenza dei servizi si è chiusa con un giudizio positivo sul progetto. Ma a ben vedere non è poi così strano, considerando il gioco delle contraddizioni in cui questa amministrazione si dibatte fin dalla sua nascita. Tanto che ora assistiamo all’annuncio, da parte della stessa sindaca che aveva detto no alle “Olimpiadi del mattone” di voler organizzare a Roma i prossimi mondiali di nuoto. Con lo scandalo della città dello sport, forse la più sconcertante opera incompiuta nella storia recente della repubblica, che sta lì a ricordarci quale sia stata l’eredità inquietante dell’avventura dei campionati del 2009: e lì ce ne vorranno un bel po’ dì mattoni, per completare quell’opera. Il doppio almeno dei 200 e rotti milioni già inutilmente (finora) spesi. E per una concessione vigente su quell’area, la quale è di proprietà dell’Università di Tor Vergata, il completamento può essere affidato soltanto all’impresa che ha costrutto: îl gruppo Caltagirone. Sempre che arrivino i soldi. In questo caso necessariamente pubblici, ovvio.