Il professionista della violenza ultrà: “Vado allo stadio solo per picchiare”
LA REPUBBLICA – DE RICCARDIS – Ha tatuate sulle braccia dodici foglie, tante quanti gli anni che ha trascorso dietro le sbarre, tra una condanna e l’altra per aggressioni da stadio, risse e pestaggi sfociati in accuse di tentato omicidio. Alla soglia dei cinquant’anni, Nino Ciccarelli si racconta come un «sopravvissuto». Agli scontri di strada, alle inchieste e ai processi, agli anni dei Daspo, alle relazioni pericolose con uomini della curva e della criminalità. «Vado allo stadio per picchiare — ha raccontato di recente a una tv russa — . Devi essere pronto a tutto: pronto ad andare in galera, pronto allo scontro, a tirare le coltellate e a prenderle. E non devi scappare. Sono quello che ha pagato più di tutti». Fondatore dei Viking della curva Nord dell’Inter nel 1984, a quindici anni, Ciccarelli ne ha trascorsi trentacinque in curva. E nonostante l’ennesimo Daspo, che avrebbe dovuto tenerlo lontano da stadi e tifoserie fino al 2021, Nino è in via Novara prima di Inter-Napoli, la sera di Santo Stefano. Regista insieme al capo dei Boys, il creatore delle coreografie della curva Marco Piovella, dell’agguato ai tifosi napoletani, durante i quali muore l’ultrà “Dede” Belardinelli.
Per il gip Guido Salvini, che ieri ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare che l’ha riportato a San Vittore insieme a Alessandro Martinoli, ultrà varesino dei neonazisti di Blood Honor, Ciccarelli è soggetto di «particolare pericolosità», capace di «condizionare facilmente altri tifosi», dato che è «conosciuto in tutto l’ambiente ultrà». Interrogato dalla Digos, dice però di essersi trovato nel cuore della rissa coi napoletani «per caso, dopo aver visto da lontano gli scontri e essersi unito ai suoi amici». Nelle telecamere di via Novara, Ciccarelli appare «claudicante». Ferito alla gamba destra, in faccia e sul naso, «appoggiato a un cestino dell’immondizia». Ultima rappresentazione di una biografia di guerriglia e violenze, inaugurata in una delle giornate peggiori del calcio italiano, il 9 ottobre 1988, quando. Alla fine di Ascoli-Inter, Nazzareno Filippini viene massacrato di botte e muore dopo otto giorni di coma. Ciccarelli è lì. Prosciolto per omicidio, viene condannato per rissa. «Nino non c’entra, mi dice sempre “meglio lo stadio della droga”», lo difese allora sua madre, dopo che la Digos se lo venne a prendere tra i casermoni di Quarto Oggiaro, estrema periferia nord di Milano. Eppure in una storia di spaccio a San Siro, Ciccarelli viene coinvolto negli anni ’90 insieme a un altro volto storico della curva, Vittorio Boiocchi, poi finito in inchieste di criminalità organizzata. Entrambi assolti, ma Ciccarelli torna di nuovo in carcere nel febbraio del ‘90, quando è arrestato per il tentato omicidio di un pusher liberiano, che finisce in ospedale con un polmone perforato. Coltellate date, coltellate prese. Se, venticinque anni fa, l’allora 26enne Ciccarelli viene bloccato vicino al Meazza mentre si lancia con un coltello in mano contro gli juventini, a fine ‘94 è lui a restare ferito davanti a una discoteca milanese. Quattro fendenti nella pancia, cicatrici di guerra che mostra con orgoglio: «Vado allo stadio per picchiare — dice in tv — .Se picchiamo l’altra tifoseria, abbiamo vinto la partita anche se l’Inter perde».