LA REPUBBLICA – CAROTENUTO – La Roma ha giocato a maggio una semifinale di Champions ed è tuttora in corsa per andare avanti. Il Napoli è fuori dalle prime 16 per un gol in meno e con la miglior difesa del girone, dopo aver battuto il Liverpool ed essersi fatto prendere al 93’ dal Psg. La stessa Inter indecifrabile di Spalletti s’è giocata fino in fondo la qualificazione battendo il Tottenham e pareggiando col Barcellona. Il deserto che spesso ci raccontiamo è meno arido di quanto appaia. La Lazio era nei quarti di Europa League pochi mesi fa. La Fiorentina si spinse in semifinale nel 2015. La qualità di un movimento si misura nel mare aperto del confronto europeo, e quel confronto ci dice che accanto a una larga fetta di classe media in fuga da investimenti e antagonismo, rassegnata alla subalternità, esistono in Italia diverse squadre di buon livello internazionale. Ne abbiamo 5 fra le prime 40 del ranking Uefa, una in meno di Spagna e Inghilterra, due in più della Germania.
Eppure ogni frustrazione della Juve finisce per essere ricondotta al campionato poco allenante. È colpa degli altri. Fu Fabio Capello – dicembre 2013 – a imporre la formula, quando Conte usciva ai gironi perdendo con il Galatasaray sotto la neve. Era forse più allenante il campionato turco? Con Allegri la Juve avrebbe poi giocato le finali nel 2015 e 2017, segno che a volte la zavorra degli sparring inadeguati non funziona. In Inghilterra invece ritengono che una delle ragioni per l’unica Coppa vinta in 10 anni (Chelsea 2012) sia una Premier stressante e intensa. Troppo allenante. Vai a capire.
Il punto è che il percorso della Juve è volutamente solitario. Ha altri interessi. Mette in conto il diserbo della Serie A e lo sbarco prossimo in una Eurolega di qualunque tipo. Successi e traguardi sono celebrati come diversità rispetto al movimento. Se un torneo più equilibrato fosse di sua convenienza, non proverebbe a portar via Icardi all’Inter e Zaniolo alla Roma, dopo aver preso Bernardeschi alla Fiorentina, Pjanic alla Roma e Higuain al Napoli. Gli altri club sono inferiori per ricavi, possibilità di spesa, prestigio, cultura della vittoria, capacità di lobbying. Hanno già mille e più motivi di riflessione per le loro sconfitte. Almeno non diamogli il peso di quelle che appartengono alla sola Juve.