La guerra degli ultrà: avanti col ricatto alla Juve sui biglietti
LA REPUBBLICA – RICCA – È cominciato ben prima del primo fischio d’inizio e non è finito nemmeno con la conclusione del campionato. Non si ferma il ricatto dei gruppi ultrà juventiniche per un’intera stagione hanno tenuto sotto scacco l’Allianz Stadium – se si escludono rari casi come la ribellione delle tribune e della curva nord durante il match con l’Udinese. Con i loro diktat su quando si poteva cantare e quando si doveva tacere sono arrivati fino al Wanda Metropolitano di Madrid, durante la sfida con l’Atletico. E con le violenze nel pre-partita hanno condizionato la trasferta ad Amsterdam contro l’Ajax.
Secondo i giudici torinesi che si sono occupati delle infiltrazioni della ‘Ndrangheta nella curva juventina, la società almeno dal 2006 subisce «il ricatto dei propri tifosi», quelli che poi rivendono i biglietti a prezzi maggiorati e consegnano una parte dei ricavi ai boss della criminalità organizzata. Quest’anno però con striscioni e sacchi di soldi finti, abbandonati fuori dallo stadio, gli ultrà hanno messo nel mirino il presidente Andrea Agnelli e i suoi collaboratori, rei di aver finalmente stretto i cordoni della borsa e reagito al ricatto. Ci sono voluti un’inchiesta penale, condanne della giustizia sportiva e una mezza rivoluzione negli uffici della squadra Digos che si occupa di tifo organizzato per convincere la società che a quel ricatto, silenzioso, ma non troppo, si poteva dire no.
«Andremo avanti finché la società non si ammorbidirà sulle questioni che sono di nostro interesse»,spiegavano a inizio stagione gli ultrà. E così sono stati costretti a indire lo sciopero del tifo, con intere partite passate in silenzio se non per la commemorazione, al minuto 39, dei morti dell’Heysel, ma l’effetto non c’è stato. Non solo perché la ragione ufficiale, il caro biglietti, non è stata risolta, ma nemmeno quella tacita, il numero sempre più limitato di omaggi e abbonamenti lasciati gestire ai gruppi ultrà, ha visto arrivare un accordo società e ultrà. Al punto che, verso la fine della stagione, si era anche lanciata l’ipotesi clamorosa di sciogliere tutti i gruppi per cercare altre strade. Una mossa impensabile per chi, da una vita, vive grazie ai proventi del bagarinaggio come i leader dei gruppi più importanti, dai Drughi guidati da Dino Mocciola, ai Viking, il cui capo Loris Grancini è in carcere per un tentato omicidio, fino ai Bravi Ragazzi, ormai fuori dalla curva visto che il loro volto storico, Andrea Puntorno, è tornato in carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. E così l’idea è stata quasi subito smentita, ma era stata valutata per cercare di dare scacco alla Juve.
Vicende seguite con attenzione dagli investigatori della Digos che non hanno smesso di monitorare l’evoluzione delle dinamiche interne alla curva. E invece alla fine i gruppi sono rimasti e, se nulla cambierà, anche la prossima stagione si giocherà con la cappa di questo ricatto. Una cappa fatta di silenzi ed omertà. Gli stessi silenzi, mischiati con tanti, troppi, non ricordo che si sono sentiti opporre gli investigatori di Cuneo che, da qualche mese, hanno riaperto l’indagine per la morte di Raffaello Ciccio Bucci, il capo ultrà, collaboratore dei servizi segreti e della Juventus, morto cadendo da un viadotto di Fossano il 7 luglio 2016.
In quei giorni la Dda di Torino lo aveva messo nel mirino per cercare di capire di più dei rapporti tra i boss della ‘Ndrangheta e Mocciola, il capo dei Drughi. Gli inquirenti di Cuneo, coordinati da procuratore capo Onelio Dodero, attendono gli esiti del nuovo esame del corpo di Bucci, riesumato qualche mese fa. Il medico legale Roberto Testi dovrebbe depositare a breve la perizia e la speranza è che qualche dettaglio emerga per capire se Bucci, che già in passato era stato aggredito e minacciato da Mocciola, di cui era stato a lungo il braccio destro, sia stato picchiato prima di buttarsi. La decisione era arrivata dopo che la procura di Cuneo nel febbraio 2018, su insistenza dell’ex moglie di Bucci e del suo legale, Paolo Verra, ha riaperto l’indagine sulla morte dell’uomo, ipotizzando il reato di istigazione al suicidio contro ignoti. Tutto però fa pensare che le ferite sul corpo del tifoso, sottovalutate, non fossero così profonde da poter dare una risposta definitiva a distanza di anni. Resta la convinzione di chi ha visto il volto tumefatto di Bucci che, anche prima di gettarsi dall’autostrada, qualcuno l’abbia pestato.
In questi mesi i pm hanno sentito famigliari e amici di Bucci, ma anche il personale juventino, a partire da Alessandro D’Angelo, il braccio destro di Agnelli che, alcuni giorni dopo la morte dell’uomo, ritrovò il borsello che nella Jeep abbandonata sul viadotto di Fossano non c’era. Dai loro silenzi e dalle loro risposte, così come da quelli dei leader della curva potrebbe arrivare la risposta alle tante domande che ancora restano sulla fine di Bucci. Così come da loro potrebbe arrivare l’impulso per mettere la parola fine al ricatto che pesa sull’Allianz Stadium.