La Serie A non ripartirà: al Governo la scelta di un salto nel buio
LIBERO – LORENZINI – Dopodomani il ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora, e quello della Salute, Roberto Speranza, si riuniranno con tutto il mondo del calcio per deliberare se il 4 maggio i calciatori potranno tomare ad allenarsi. Eppure, il campionato di serie A che la Figc sta tentando di ultimare entro fine luglio rischia di non ripartire proprio in base alle regole che la commissione medico-scientifica varata dalla stessa Federazione ha trasmesso al governo. Nelle 47 pagine di indicazioni a squadre e arbitri, che vanno come sappiamo dallo screening preventivo (visite, rilievo della temperatura, tamponi e indagine sierologica tra le 96 e le 72 ore precedenti al primo allenamento) al maxi ritiro chiuso per «l’intero gruppo squadra» (calciatori, staff, dirigenti), c’è un passaggio fondamentale, che riguarda la questione sulla bocca di tutti: “E se uno risulta positivo?”.
UN CONTAGIATO Il protocollo recita: «In caso di accertata positività del soggetto, nei confronti dei suoi contatti stretti (verosimilmente tutto il gruppo squadra nel caso si tratti di uno dei componenti), si procederà a: isolamento fiduciario con sorveglianza attiva; ripristinare tutte le misure più “rigide” di distanziamento e sospendere temporaneamente gli allenamenti di gruppo fino alla ripetizione dei test molecolari rapidi (2 test a 24 ore di distanza) e sierologici e verificare la loro negatività. I test sierologici saranno ripetuti entro 5-7 giorni». Tradotto, la squadra si ferma sette giorni (o fanno allenare e scatenano un focolaio?), si rifanno i tamponi e i test sul sangue e si attende l’esito. Che lotti per lo scudetto o per salvarsi. Pare normale immaginare che, se la positività di un calciatore avviene a campionato già ripreso diventerà un caos. Oltre alla sua squadra, logica vorrebbe che dovrebbe fermarsi anche quella contro cui il contagiato ha magari giocato pochissimi giorni prima, perché sappiamo che il calendario sarà molto compresso, con 12 giornate più quattro recuperi di serie A e le due semifinali e la finale di Coppa Italia: in due mesi. Dunque? Si blocca ancora il campionato? Lo scenario e le polemiche potete immaginarli. E un salto nel buio. E a spiegare che l’isolamento delle squadre potrebbe non bastare a mettere tutti al riparo è l’esperienza del presidente del Brescia, Massimo Cellino: «Dopo due settimane di quarantena a Cagliari sono stato in ospedale per controlli. E uscito fuori che mia figlia ha avuto il virus, mio figlio no, ma io ce l’ho in atto. Il tampone era negativo, me l’ha detto il test del sangue». E attacca:«Ricominciare la serie A? Assurdo». E vero che la ripartenza del calcio va programmata, è un traino economico e sociale, ma (sulle pagine del Corriere) Maurizio Casasco, capo della Federazione Medici Sportivi, fa eco a quanto aveva detto a Libero Enrico Castellacci (ex medico della Nazionale e presidente della Libera associazione dei medici del calcio): «Occhio a non sbagliare i tempi della ripartenza. Se emerge di nuovo un positivo su chi ricade la responsabilità giuridica? E a livello assicurativo?». Le linee guida studiate per la serie A creano perplessità e malumori sia per la B e la C (il presidente Ghirelli, fa capire che mancano i fondi per garantire i maxi ritiri di tutti i club) sia fra i medici: nelle serie minori molti di loro non sono contrattualizzati, seguono la squadra come lavoro part time e quindi diventerebbe problematico andare due mesi in ritiro. Con la possibilità di diverse dimissioni dall’incarico.
PRIVILEGIO TAMPONI Per non parlare dei tamponi, ferita ancora aperta fra i comuni cittadini e le molte categorie (come gli operatori sanitari) che da settimane combattono il Coronavirus in prima linea e che se li sono visti negare. La Figc si ostina a dire che non ci saranno linee preferenziali, ma sarà difficile far digerire ai tifosi che, a conti fatti (ipotizzando un “gruppo squadra” composto da 50 persone), per la serie A saranno disponibili 2000 tamponi subito pur se comprati dai club e rapidamente altre centinaia nel caso di positività o sospetti: un mercato privato della salute che già ha causato polemiche a Prato e al San Raffaele di Milano, dove venivano effettuati a prezzi dai 102 ai 120 euro, bypassando la procedura in vigore che lasciava alle aziende ospedaliere il compito di valutare caso per caso la necessità del test.