IL MESSAGGERO – FERRETTI – Soltanto il tempo, forse, ci racconterà la verità. E cioè a chi avrà fatto realmente comodo arrivare a questa soluzione. Nell’attesa, ecco l’incredulità, il dolore per un altro addio: Francesco Totti lascia la Roma. Due anni dopo aver attaccato gli scarpini al chiodo, il Capitano ha deciso, spinto a farlo, di mollare il club di James Pallotta. Non se la sente più di continuare ad essere soltanto un vessillo da esporre a secondo delle occasioni e delle necessità del bostoniano: meglio il distacco, traumatico e per certi versi impensabile, che l’essere sopportato per il fatto di essere stato il più grande calciatore della storia della Roma. Totti dice basta agli equivoci, alle parole non dette, ai compiti mai ricevuti; dice basta alle ambiguità di una società che ha un proprietario negli States e il dirigente più influente, più potente, a Londra, e neppure nell’organigramma ufficiale. Chi oggi sostiene che Pallotta comunque gli ha offerto il ruolo di direttore tecnico, e che quindi sarà Totti ad andare via e non la Roma a cacciarlo, dimentica che al dirigente Francesco in due anni è stato concesso poco o niente; e che quel poco, è stato sempre subordinato al giudizio, alla verifica di Franco Baldini, il presidente ombra del club, l’anti Totti per eccellenza. Amatissimo e ascoltato da mister Jim come nessun altro.
DICIOTTO ANNI DOPO Totti saluterà 18 anni esatti dopo la conquista del terzo scudetto giallorosso e lo farà a due passi da quello spogliatoio che, il 17 giugno del 2001, lo vide in lacrime per un successo inseguito una vita. La scelta di parlare nel cuore di Roma, con l’Olimpico sullo sfondo, e in casa del suo amico fraterno Giovanni Malagò non può essere casuale. Il Coni come (nuovo) punto di riferimento, il che significa mettersi a disposizione di tutto lo sport nazionale. Un rinnovato patrimonio dell’intero movimento italiano. Scegliere di non parlare a Trigoria, che per una trentina di anni è stata casa sua, è un segnale chiarissimo: lì ormai si sente un estraneo. Esagerato? Provate voi a mettervi nei panni di chi ha scelto sempre e comunque la Roma. Ben pagato, certo, ma altrove probabilmente avrebbe guadagnato e vinto di più. James Pallotta (o forse è meglio dire Franco Baldini) è libero di ritenere Totti un pessimo dirigente ma, come accaduto nel caso dell’ultimo capitano Daniele De Rossi, scartato dal club, tutto dovrebbe avere un tempo e una modalità. E la massima sincerità, la massima trasparenza senza supercazzole di alcun tipo. Oggi di tutto avrebbe avuto bisogno la Roma tranne che di un altro choc emotivo, ma quello che mister Jim non sa è che la Roma non è un’azienda di stampo americano all’interno della quale tutto è possibile sempre e comunque. Se oggi, ad esempio, Pallotta rinfaccia a Totti di non sapere una parola di inglese, indispensabile per essere un manager di valore, resta da chiedersi quante parole di italiano conosca lui. Che non si fa vivo da queste parti da tredici mesi. Forse per questo chi è nato a Porta Metronia dopo essersi tolto la maglia della Roma adesso deve staccare la Lupa dalla giacca. Chi sostiene che da domani la Roma sarà sempre la stessa, anche senza Totti (e De Rossi), racconta una bugia. Una di quelle che, non solo questa estate, vanno tanto di moda a Boston.