IL TEMPO – LENZI – Non è più tempo di simboli, neppure nel mondo del calcio. La gratitudine, quella poi l’hanno sepolta (e non solo nel pallone) da una vita. Eppure sono anni che sentiamo blaterare nei talk e in televisione che i calciatori di oggi sono diventati troppo mercenari, che non esiste più l’attaccamento per la maglia e per la città in cui giocano. Balle. Almeno nel caso di due campioni italiani, due fenomeni. Francesco Totti, romano e romanista. E Alessandro Del Piero, juventino. Il primo, il capitano della Roma, dopo aver passato una vita con i giallorossi, sino a diventare un corpo e un’anima coi tifosi
e la gente romana, si ritrova a lasciare tutto quello che è stato il suo mondo. La sua vita.
Dopo 30 anni rifiuta il ruolo di direttore tecnico offertogli dalla società giallorossa perché di rimanere senza veri poteri decisionali non gli va. L’altro, Alessandro Del Piero, anni fa, dopo aver speso tutto il proprio talento per la causa juventina, terminò la propria carriera in giro per il mondo: prima in Australia, tra i canguri e poi a Delhi, a tirar calci al pallone con gli indiani. Roma e Juventus, Totti e Del Piero, due miti, due eroi sportivi del nostro tempo, che si sono fatti simbolo, per passione, e da simboli sono stati sfrattati. Con una differenza: a Torino, in casa Juventus, la società è sempre stata sacra, molto più importante dei singoli calciatori. Ma a Roma, allenatori e giocatori, sono sempre venuti prima della società, nel cuore dei tifosi e persino nelle vittorie. La Roma di Liedholm e Falcao, di Bruno Conti e Di Bartolomei, poi quella di Totti e De Rossi.
Già, Daniele De Rossi, anche a lui arrivederci e grazie. Perché più sono romantici, i calciatori del XXI secolo e più sono fuori dal tempo. In queste ore, mentre a Napoli i tifosi azzurri sono arrabbiati per il passaggio del tecnico Maurizio Sarri alla Juventus, loro (o almeno una parte) che lo avevano confuso con un Che Guevara del pallone, Totti lascia la Roma. Potevano pro- porgli di più (e non parliamo di soldi), per farlo rimanere. Come potevano chiedere a De Rossi di restare, per giocare ancora. Ma i simboli, oggi, sono ingombranti.
Nel 1990 a Firenze, era di maggio, una città intera scese in piazza a protestare contro il passaggio di Roberto Baggio dalla Fiorentina alla Juventus. Una ferita sportiva all’orgoglio di una città. Alla conferenza stampa di presentazione con i bianconeri, Baggio rifiutò di mettersi al collo la sciarpa juventina. Era già un simbolo Baggio – nonostante la brevità
del tempo trascorso con la Fiorentina, dal 1985 al 1990 – per la città. Un alibi sulla fine di
quel simbolo peri fiorentini, diventerà, con il tempo, il fatto che a portarlo via furono “i gobbi”, a Firenze i cattivi per eccellenza, la Juventus insomma.
Ma con Totti e De Rossi, i gobbi non c’entrano. E fa tanta tristezza osservare che i simboli, nel calcio del 2019, danno più fastidio di un calciatore mercenario pronto a cambiare squadra come muta il vento. Fastidio, sì, ma non ai tifosi che in tutto questo circo, alla fine, restano fregati più di tutti. Anzi, di Totti.