IL TEMPO – CARMELLINI – Non ci hanno messo molto: per fortuna. Ai Friedkin è bastato probabilmente quanto visto nella loro prima uscita italiana, sabato sera al Bentegodi, per capire che c’era bisogno di metterci le mani.
Anzi, forse quella è stata solo la conferma di quanto pensavano, perché quando sono piombati a Verona dopo aver stretto mani e rassicurato tutti, avevano già deciso di intervenire: o comunque si erano già guardati attorno. E lo dimostra il fatto che qualche giorno prima c’era stato a Londra l’incontro non certo con uno qualsiasi. Perché Ralf Rangnick (ex giocatore, allenatore e adesso dirigente sportivo di rilievo) è abituato a decidere tutto, uno al quale devi consegnare le chiavi e poi fidarti: una scelta netta, senza mezzi termini che boccia o comunque spazza via tutto quello che c’era prima. È chiara quindi l’intenzione di entrare subito nel merito, sistemata la pratica amministrativa, anche della direzione tecnicadiuna squadra lasciata, nonostante la buona volontà di tutti, da sola: senza una strada da seguire.
Sbagliato credere che persone, pur valide dal punto di vista manageriale, che si sanno muovere alla grande nei palazzi del potere, possano con altrettanta efficacia costruire una squadra di calcio: fare incontri con i procuratori, valutare giocatori, prendere decisioni prettamente tecniche. Quello è un altro mestiere. Ognuno faccia il suo di lavoro e pensare di risolvere tutto semplicemente cambiando l’allenatore è quantomeno riduttivo per una società lungimirante.
La ricorsa al nome roboante in grado di scaldare il cuore dei tifosi, potrebbe sembrare il goffo tentativo di lasciare tutto com’è: e i Friedkin su questo invece sembrano pensarla diversamente. Qui si cambia, anche tutto se serve, all’insegna di quel progetto (il solo pronunciare questo termine fa tremare i tifosi giallorossi visti i precedenti) di crescita preventivato da una nuova proprietà che ha deciso di entrare a fari spenti, senza i clamori e gli annunci costati così cari a Pallotta &Co.. È chiaro come, a differenza del tycoon di Boston, la famiglia Friedkin ha messo e metterà nella Roma soldi «propri» e non provenienti da un fondo comune. Quindi massima attenzione agli investimenti, spendere si, ma con oculatezza: ed è questo forse il motivo che ha consigliato a papà Dan di mettere un uomo «pratico» del settore al fianco del figlio Ryan che resterà in pianta stabile nella Capitale.
Una persona in grado di dare consigli giusti, di muoversi con disinvoltura tra gli squali che vivono nell’immenso acquario chiamato calcio e di far crescere questa Roma alla sua seconda esperienza americana: senza nulla togliere a chi la sta gestendo in questo momento. Dan sta iniziando a fare sul serio.