Pau Lopez ha rilasciato alcune dichiarazioni alla GAZZETTA DELLO SPORT dove si è raccontato tra la nuova quotidianità in casa a causa della pandemia, la prospettiva di riprendere a giocare e l’eredità di Alisson. Questo uno stralcio delle dichiarazioni dello spagnolo:
Lopez, in tempi di coronavirus, come vive il quotidiano?
«Sono momenti difficili per tutti. Io sono qui a casa, con la mia famiglia, trovando qualche cosa da fare per i bambini, perché loro siano contenti e si divertano. Comunque è dura, perché per loro il fatto di non uscire di casa è una cosa complicata da comprendere, ma è quello che siamo chiamati a fare adesso».
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È favorevole a ricominciare il campionato?
«Credo che sia presto per sapere se si potrà giocare. Dobbiamo aspettare quello che succederà nei prossimi giorni in Italia. Dopo, chi è deputato a decidere farà le scelte migliori per i calciatori e per le squadre».
Qualora si ricominciasse, che percentuale dà alla Roma di poter raggiungere la zona Champions League?
«Meglio non parlare di questo. Dico solo che mancheranno 12 partite. Dipenderà solo da noi poter arrivare a raggiungere il nostro obiettivo».
Alisson ha segnato la storia recente della Roma: sente addosso la sua pressione per essere il suo erede?
«Se ne parlava già al mio arrivo. Io ho sempre pensato che Pau è Pau e Alisson è Alisson».
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Ha mai più pensato all’errore nel derby?
«La verità è che non l’ho fatto. Non ci ho più pensato perché per me è stato un errore come qualsiasi altro. Lo so che per la gente il derby è una partita diversa, ma per quello che mi riguarda non fa differenza commettere un errore contro la Lazio, contro la Spal, contro l’Inter o contro la Juve. Devo evitare sbagli del genere, ma niente di più».
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Lei ha onestamente ammesso di non essere bravo a parare i rigori: per quale motivo?
«Il calcio di rigore è una questione d’intuizione: ce l’hai o non ce l’hai. Puoi prendere informazioni su dove calciano gli specialisti, in quale angolo hanno battuto gli ultimi tiri, ma dopo dipende solo da te. È molto personale. Ci sono portieri che lo fanno molto bene e altri invece non tanto, come me… Ma è una cosa su cui è difficile lavorare».
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