Raggi e lo stadio, ipotesi stop: «Opere subito o salta tutto»
IL MESSAGGERO – DE CICCO – Virginia Raggi non saltella ancora insieme ai tifosi giallorossi che da settimane intonano il coro antipallottiano: «Noi lo stadio non lo vogliamo». «Ma potrebbe mancarci poco», dicono in Campidoglio. Perché ieri, per la prima volta, la sindaca della Capitale ha ventilato la possibilità di mettere fine al controverso progetto calcistico-immobiliare che tanti affanni ha arrecato ai grillini (e non solo). L’avviso ai privati che «le chiacchiere sono finite» è arrivato nel momento in cui il patron della Roma è sotto accusa per la gestione del club, a partire dalla contestatissima scelta di non rinnovare il contratto al capitano Daniele De Rossi. Proprio sulla scia di quelle proteste, gli ultrà si erano riversati, già a fine maggio, sotto al nuovo quartier generale della Lupa, all’Eur, srotolando il loro «No allo stadio» su uno striscione di svariati metri. E urlando a gran voce la contrarietà all’impianto sportivo che, assieme alle palazzine alte fino a sette piani per negozi, uffici, ristoranti e alberghi, frutterebbero al manager di Boston centinaia di milioni di euro.
IL RICHIAMO – Raggi però, ieri, ha detto che «i privati devono rispettare i patti». E cioè «prima realizzino le opere pubbliche e poi il campo di calcio». Concetto in realtà già messo nero su bianco nelle due delibere sul “pubblico interesse” votate prima nel 2014 e poi nel 2017, che però i proponenti, nei vertici con il Comune, hanno iniziato a mettere in dubbio. Chiedendo rimodulazioni e slittamenti degli impegni per la collettività. Raggi ora fa la faccia dura: «Basta chiacchiere». Il momento dell’uscita pubblica non è stato scelto a caso. Oggi è in programma un importante tavolo tecnico tra gli uffici del Campidoglio, la Roma e la Eurnova, l’impresa del costruttore Luca Parnasitravolta dall’inchiesta per mazzette e ora affidata a un nuovo Cda. «Il mio unico interesse – sono le parole di Raggi – è che la As Roma mantenga gli impegni presi con la città: prima le opere pubbliche per i cittadini, poi il campo di calcio. Prima si uniscono la via del Mare e la via Ostiense, prima si interviene per potenziare la ferrovia Roma-Lido e poi si fa lo stadio. Sono le prescrizioni della conferenza dei servizi alla quale tutti si devono attenere. Mi auguro che domani la As Roma porti una proposta definitiva e concreta». Raggi parla così perché sa che proprio su questi punti, in realtà, non c’è intesa. I proponenti all’ufficio Urbanistica del Comune avrebbero chiesto di dilazionare i 45 milioni da investire per la mobilità. Oppure di non accollarsi per intero il costo dell’abbattimento di alcuni edifici che dividono due strade già oggi ipertrafficate, l’Ostiense e la via del Mare appunto, e che neanche unite, secondo diversi esperti, sarebbero in grado di sopportare il peso del nuovo stadio. Figuriamoci separate.
IL FRONTE DEL «NO» – Sul «no» soffia poi da tempo una fronda sempre più nutrita di esponenti M5S, sia locali che nazionali. Del resto fino alla campagna elettorale del 2016, quella vinta da Raggi, l’impegno era proprio a bloccare il progetto Tor di Valle, al grido di «no alla speculazione». Lo diceva pure Marcello De Vito, il presidente del Consiglio comunale arrestato a marzo con l’accusa di tangenti. L’inchiesta ha rafforzato i contrari allo stadio. Anche sui banchi dell’Assemblea capitolina, che deve avere l’ultima parola sull’operazione, con il voto della variante urbanistica. Spinge per il no anche una figura di spicco dei 5S romani e non solo, Roberta Lombardi, prima storica capogruppo grillina alla Camera ora transitata alla Pisana. Lo va dicendo da settimane: «Sullo stadio il Consiglio comunale deve annullare tutto in autotutela. Con lo stop, il danno sarebbe solo per Parnasi, arresta- to per corruzione, mica per il Comune».