Una stagione di Var: andata da dimenticare, ritorno più confortante. Ma questi arbitri…
GAZZETTA DELLO SPORT – Rimettere tutto in discussione. Ecco l’effetto più problematico che una partita come quella di Firenze produce. Il Var, gli arbitri, il meccanismo: tutti sul banco degli imputati. Rispuntano vecchi fantasmi, riemergono le solite partigianerie, prendono quota nuovi revisionismi. Per mesi ne abbiamo chiesta sempre di più, a ragione: Var come se piovesse, limitiamo il potere discrezionale degli arbitri, diamo voce ad allenatori e capitani. Ora, gli indignati della tecnologia che è troppo invasiva, delle partite che durano troppo, del «questo non è più calcio», ne vorrebbero limitare l’uso: la Var solo per fatti oggettivi, fuorigioco e gol/non gol, tutto il resto torni come prima. Siamo al paradosso? Più banalmente, siamo molto confusi.
STERZATA Chiariamoci le idee. Il problema non è la Var. Diciamo meglio: non è più la tecnologia. Almeno da un paio di mesi. Il girone d’andata è stato una via crucis che potete rivedere in questa pagina, costellata innanzitutto di incomprensioni: quando deve intervenire? Come ci si regola per i falli di mano? E per i contatti alti? E per quelli bassi? Ci sono voluti mesi – ed errori – per avere delle risposte più o meno uniformi dagli arbitri e ottenere un utilizzo più o meno omogeneo dello strumento. Ma ci si è arrivati, di questo va dato atto al designatore Nicola Rizzoli, che ha impresso una sterzata alla sua squadra, più o meno in coincidenza col giro di boa del campionato. Da allora, sono diminuite, se non altro, interpretazioni e incomprensioni. L’Aia sostiene che siano calati anche gli errori, e a suffragio di questa tesi presto renderà note delle statistiche: dimostrerebbero che il numero di sviste arbitrali è ulteriormente calato rispetto all’anno scorso, stagione d’esordio sul campo della Var. Decisive sarebbero state le sei giornate del girone di ritorno. Fino a ieri, un solo episodio delle partite di gennaio e febbraio aveva riaperto il dibattito sull’utilizzo della Var: la rete annullata una giornata fa alla Spal per un fallo da rigore subito da Chiesa circa 35” prima e assegnato alla Fiorentina dopo lunga review. Procedura ineccepibile, nel rispetto del protocollo, ma con tempi troppo lunghi: effetto – si è detto – di una tecnologia già vecchia, che presto sarà aggiornata e velocizzata (ma allora perché in Champions, dove lo strumento è esattamente lo stesso, la procedura sembra già più snella?).
CHI CONTA DI PIù? Meno errori, ma più scabrosi. Quindi più rumorosi. Domenica, dentro la stessa giornata di campionato, due arbitri hanno mantenuto il punto, confermando la valutazione fatta in tempo reale, nonostante i replay gli suggerissero il contrario. L’esordiente Massimi a Genova e il più esperto Abisso a Firenze: sintetizzando brutalmente, entrambi hanno negato l’evidenza. Una circostanza che richiama in causa il problema forse più grande, il rapporto di forza che c’è tra l’arbitro sul campo e il collega al video. È giusto che uno (il direttore di gara) conti più dell’altro (il video assistente)? L’arbitro sul campo ha sempre l’ultima parola, lo impone il protocollo. Ma siamo sicuri che sia la formula più giusta? L’impressione è che Abisso domenica sera sia andato in panne anche per non farsi correggere la terza volta dal collega al Var, Fabbri. Cioè, nel dubbio di aver preso la decisione giusta, potrebbe aver pensato che confermare la prima valutazione, a dispetto del suggerimento del collega e, però, di immagini poco chiare solo per lui, gli avrebbe restituito l’autorità persa nel corso della gara. La Var è stata una rivoluzione epocale, che di fatto cambia il modo di arbitrare – ricordano sempre dall’Aia –: e il percorso di adattamento non è stato ancora completato. «Non avrete mai la perfezione». Già, ma se gli approcci sono questi, i nostri arbitri devono fare ancora parecchia strada.