LA REPUBBLICA – PINCI – Nel tango del dio pallone la Roma ha pescato un jolly. Una vittoria sofferta, sporca come i tacchetti affondati per 94° in un Bentegodi battezzato dall’inizio alla fine da una pioggia gelida. Ma benedetta perché significa tenere il passo della Lazio e scavare un solco di 8 punti col Napoli alle spalle. L’abbraccio finale tra lo stesso Perotti e Mkhitaryan, due del romanisti più a lungo fuori per infortunio, è l’immagine simbolica di una nuova dimensione della squadra giallorossa, capace di vincere facendosi piccola. Fonseca alla viglia srotolava il manifesto di “una squadra che domini il gioco”, al contrario in campo ha lasciato al Verona la trama. facendosi anche dominare. Una lezione imparata dagli errori commessi contro squadre simili. N 3-1 finale è frutto degli errori veronesi nell’area romanista ma anche di una capacità chirurgica dei giallorossi di sfruttare gli episodi: un’imbucata “tottiana” di Pellegrini per Kluivert. E un rigore conquistato da Dzeko e realizzato da Perotti, sciolto in un pianto emozionato con dedica alla moglie Julieta: non segnava dall’ultima giornata del campionato scorso nato scorso, in mezzo due infortuni che ne avevano atterrito il morale, consolato solo dalle parole della consorte attraverso un commovente messaggio su Instagram. Il Var ha cancellato il secondo gol del laziale Faraoni (è cresciuto a Formello) per fuorigioco e un rigore che si era procurato Pazzini, dal 2010 incubo giallorosso. Ne è emersa la Roma, viva e felice di potersi presentare a Milano, tra 4 giorni, per provare a togliere all’Inter il gusto della vista dalla vetta.