INSIDEROMA.COM – EMANUELE CAPONE -È la prima partita che si cerca nel calendario, è la partita che più (o forse meno) si attende, è la partita dove il cuore è ancor più turgido d’amore, è la partita dove anche il tifoso meno acceso (semmai esistesse il genere) si scalda. È il derby, o stracittadina che dir si voglia, una sfida piena di momenti indimenticabili, e altri che si vorrebbero cancellare, è la partita che rappresenta la rivalità forse più storica tra le piazze calcistiche italiane o quantomeno quella che attira più curiosità per quel che si vedrà sugli spalti. Una partita che comincia già ben prima del calcio d’inizio e non finisce al triplice fischio, ma la si vive, serpeggia in ogni tifoso per tutto l’anno. In ogni angolo della città non mancano mai battutine o sfottò, insomma a dispetto di ciò che diceva Zeman, per Roma, almeno a livello psicologico, il derby non è una partita come tutte le altre.
Da dove deriva la parola derby?
Del perché venga usata questa parola per descrivere una gara tra compagini della stessa città non è del tutto chiaro. Di sicuro è implicata Derby, cittadina inglese che però gioco del destino ha una sola squadra calcistica rappresentante. Si pensa che il nome provenga dai tempi del medioevo dove in questa città si era solito organizzare una volta l’anno prima di ogni quaresima una gara tra due squadre composte da centinaia di persone, dove lo scopo era quello di conquistare il pallone e portarlo a destinazione in un posto predefinito. Sfida che oggi viene chiamata Royal Shrovetide Football di Ashbourne, comparabile al calcio fiorentino, che si svolge ogni anno il martedì grasso e il mercoledì delle ceneri. Altra supposizione è quella legata alle corse dei cavalli organizzate dal conte di Derby Smith-Stanley nel settecento e denominata così in suo onore, utile ricordare che ancora oggi è di uso comune chiamare le gare dei cavalli derby.
L’uso di questa parola in Italia per descrivere una stracittadina o comunque una gara tra squadre corregionali o avversarie con una forte rivalità arrivò solo sul finire degli anni ’40 grazie all’intuizione del Corriere della sera che definì un Milan-Inter “derby della Madonnina”.
Qualunque sia la storia vera una cosa è certa, derby è sinonimo di vibrazioni, di sensazioni forti, di grandi passioni, andiamo insieme a vedere cosa succede dentro di noi mentre ci avviciniamo alla sfida e durante la gara.
All’interno della cervello
Si sa, il derby si vive ogni istante dell’anno, questo perché alla rivalità cittadina è accompagnata da una dose massiccia di attesa carica emotivamente. Questa tensione, scaturita dall’agonismo sportivo, ha delle ripercussioni sul nostro modo di approcciarsi alla partita in quanto il nostro sistema neurobiologico, attivando svariate aree cerebrali, tra le quali il sistema limbico (coinvolto nei ricordi e nell’emozioni) e le strutture deputate alla reazione allo stress, innesca il rilascio di dopamina (implicata nella motivazione) e adrenalina (implicata nelle reazioni fisiche e nell’eccitazione), con quest’ultima responsabile del nostro stato di tensione e agitazione con conseguente aumento del battito cardiaco e respiro alterato.
Tutti noi, all’avvicinarsi dell’evento, proviamo una forte sensazione di stanchezza, ciò è dovuto alla secrezione di cortisolo, responsabile delle reazioni allo stress che proviamo in prossimità e durante la partita. Inoltre nel periodo pre-derby viene spesso attivata l’amigdala, ovvero una struttura cerebrale implicata nell’analisi e gestione delle emozioni ed è colei che poi dà il via alle diverse risposte sia psicologiche che fisiologiche.
L’aumento o la diminuzione di dopamina ed endorfine, neurotrasmettitori responsabili delle sensazioni di piacere e ricompensa, è ovviamente strettamente correlata all’esito finale della partita, comportando l’amplificazione o della felicità o del senso di malessere e dispiacere.
Ma a cosa è dovuta questa forte attività cerebrale?
Questo stato di eccitazione può essere interpretato a livello psicologico attraverso una serie di parametri che velocemente andremo a scoprire. Il primo fa riferimento al meccanismo ancestrale istintivo che si attiva tutte le volte che ci troviamo in una competizione e facendo parte di uno degli schieramenti, fa scaturire la difesa del proprio gruppo di riferimento contro l’avversario di turno (è bene specificare come questa sia una caratteristica evolutiva dell’essere umano). Emerge inoltre una forte tendenza alla coesione che ci porta ad identificarci rafforzando il senso di appartenenza, unione e identità con il proprio gruppo di riferimento aumentandone quindi il legame con esso. Un esempio divertente e goliardico sono i simpatici sfottò che si manifestano attraverso lo scambio di striscioni e battute impregnate dalla classica ironia tipicamente romana tra le opposte fazioni.
La forte identità cittadina aumenta la rivalità tra le due tifoserie e il derby essendo un evento carico emotivamente genera sensazioni di incertezza verso il risultato aumentando le dinamiche intrapsichiche che si attivano durante una competizione. Le sensazioni che si provano lungo tutto il corpo sono tipiche dell’ansia, in particolare perdita dell’orientamento, perplessità e insicurezza. Ecco spiegato quindi il motivo per il quale alcuni compiono, prima del derby, dei veri e propri rituali, come ad esempio toccare dei simboli, ripetere frasi, indossare gli stessi indumenti o ripercorrere strade fatte in passato e che hanno poi portato al risultato sperato. Questi comportamenti o riti scaramantici vengono messi in atto per esorcizzare la paura, avere una sensazione di controllo della situazione e sviluppare il pensiero magico (si proprio quello che ci permetteva da piccoli di superare la bua attraverso il bacino sulla parte dolorante dato da un genitore) che ci fa sperare che tutto ciò possa influenzare l’esito della gara (ovviamente a nostro favore).
Il clima che si respira
Questa enorme passione viene trasferita anche agli attori in campo, difatti già durante la settimana di avvicinamento al derby della capitale l’atmosfera è calda e aumenta la tensione generando nei calciatori un misto tra eccitazione e preoccupazione, che si nota poi durante la partita che risulta spesso tesa e bloccata. Basti pensare che rappresenta la stracittadina italiana con in media più cartellini, segno che anche i calciatori vengono investiti da questa emotività e da cui si evince quanto questa non sia solo una partita di calcio. Nei tifosi, l’aria che si respira nella capitale fa emergere ancor di più se possibile, l’orgoglio di far parte di una delle due tifoserie, avendo implicazioni anche nella vita quotidiana durante la settimana successiva all’evento, che se con esito positivo, porta a rimettere la “chiesa al centro del villaggio”. A livello sentimentale c’è una maggiore sensibilità verso i propri colori, aumentano le aspettative e l’impazienza di scoprire le coreografie, riemergono i ricordi e la voglia di voler rimarcare la “supremazia calcistica”, insomma un clima carico di tensione e attesa, dove ogni singolo neurone attiva e propaga pensieri rivolti alla partita, e no, che non rappresentano solo il semplice risultato in campo, ma molto, molto di più.
A chiusura di questo articolo vi lascio con le parole di mister Rudi Garcia, che riguardo al derby disse:
“Il derby non si gioca, si vince”
dott. Emanuele Capone
psicologo – psicoterapeuta