Da Ago a Daniele, passando per Giannini e Totti, quant’è difficile dirsi addio senza polemiche
INSIDEROMA.COM – MATTEO LUCIANI – In principio fu ‘Ago’ Di Bartolomei, poi è toccato al ‘Principe’ Giannini e al ‘Capitano’ Francesco Totti, mentre l’ultimo, soltanto in ordine cronologico, è stato Daniele De Rossi; nella Roma giallorossa, staccarsi dalla propria bandiera in modo pacifico appare praticamente impossibile.
Icone di generazioni diverse, le quattro leggende del club capitolino sono state accomunate dalla fascia di capitano e dal dna romano e romanista, ma non solo; i capitoli finali delle carriere a tinte giallorosse del poker di protagonisti citati purtroppo non sono stati degni delle meravigliose storie d’amore che hanno contraddistinto i vari anni di militanza con la maglia da loro sempre amata.
Agostino Di Bartolomei, capitano di mille battaglie, protagonista del secondo tricolore della storia romanista e vincitore di tre coppe nazionali, lascia il club capitolino, dopo ben undici anni di militanza, al termine della stagione 1983/84. Davanti al pubblico di casa, il 30 maggio del 1984, la Roma vive una notte (sportivamente) tragica, perdendo ai calci di rigore la Finale della Coppa dei Campioni contro il Liverpool del portiere-giullare Bruce Grobbelaar. Quel maledetto epilogo, per i colori giallorossi, segna anche la conclusione del secondo ciclo dell’allenatore svedese Liedholm, vero e proprio mentore di ‘Ago’, nella Capitale.
Al capitano di un’intera generazione romanista viene brutalmente fatto capire che non c’è più spazio per lui. A Roma arriva un altro svedese, Eriksson, che nel suo calcio frenetico proprio non vede la figura di Di Bartolomei in mezzo al campo. Il presidente Viola parla di motivi “di ordine tecnico e comportamentale” per i quali il ragazzo di Tor Marancia non può più restare nella Capitale, a casa sua. Liedholm lo porta con sé, al Milan, mentre Roma è in rivolta e la Curva Sud dedica a ‘Diba’ lo striscione: «Ti hanno tolto la Roma ma non la tua curva». Il finale della grande storia d’amore tra Di Bartolomei e la Roma, tuttavia, sarà ancor più amaro. Durante il primo campionato nella città meneghina, infatti, dopo poche giornate si gioca Milan-Roma; Di Bartolomei segna e festeggia. L’esultanza è rabbiosa, quasi esagerata. La tifoseria capitolina, a quel punto, si sente tradita e non perdona, riservando al suo vecchio capitano un’accoglienza piuttosto dura nella gara di ritorno; una sfida nella quale Di Bartolomei mostra tutto il proprio nervosismo commettendo un brutto fallo sul grande amico Bruno Conti e arrivando perfino alle mani con ‘Ciccio’ Graziani. Il rapporto tra Agostino e la Roma si rovina inesorabilmente nonostante un amore che, da ambo le parti, rimarrà sempre fortissimo.
L’eredità del capitano-tifoso viene in fretta raccolta da Giuseppe Giannini, cresciuto all’ombra dello stesso Di Bartolomei, a partire dalla fine degli anni Ottanta. ‘Il Principe’, come verrà soprannominato per il portamento elegante tenuto sul rettangolo verde, cresce e si afferma in una Roma ben diversa da quella vincente di ‘Ago’. Sono anni duri per i tifosi della Lupa, soprattutto dopo la morte del leggendario presidente Dino Viola e la breve gestione di Ciarrapico, al termine della quale la Roma si trova sull’orlo del fallimento. Giannini, però, non si muove, rinunciando alla possibilità vincere in club più ambiziosi e giurando fedeltà eterna ai colori giallorossi nonostante una squadra non all’altezza della sua classe. Tutto cambia quando la società capitolina passa nelle mani di Franco Sensi.
Il rapporto tra i due non nasce nel migliore dei modi e si logora definitivamente nel marzo del 1994. La Roma naviga nei bassifondi della classifica e sfida la Lazio in un derby di vitale importanza. Vanno subito avanti i biancocelesti con Beppe Signori. Sul finire del match, uno scatenato giovane proveniente dalla primavera giallorossa, Francesco Totti, si procura il calcio di rigore che può ristabilire la parità; sul dischetto va ‘il Principe’, che sbaglia però clamorosamente. A fine gara, esplode la rabbia di Sensi: “se uno ha un rigore e lo sbaglia, non è degno di stare in questa squadra. Doveva tirare un altro al posto di Giannini, ma se poi avesse sbagliato voi giornalisti cosa avreste scritto?“. Il rapporto tra la Roma ed il suo capitano prosegue per altre due stagioni, principalmente grazie alla stima del tecnico Carlo Mazzone, di cui Giannini è il pupillo, ma finisce nell’estate del 1996 nel peggiore dei modi.
Mazzone saluta la Capitale e ‘il Principe’ viene scaricato senza troppi complimenti; costretto ad abbandonare il sogno di giocare tutta la carriera soltanto con la maglia della sua amata Roma, Giannini emigra in Austria (con tanto di sciarpetta giallorossa al collo il giorno della presentazione con lo Sturm Graz) prima di finire col calcio giocato tra Napoli e Lecce. Il 17 maggio del 2000, Giannini torna nella Capitale per dare l’addio al calcio in quell’Olimpico che tante volte lo aveva visto trascinare i suoi compagni. La Lazio, da pochi giorni, si è laureata Campione d’Italia e la manifestazione diventa l’occasione, per alcuni sostenitori romanisti, per dimostrare tutta la rabbia contro il presidente giallorosso Sensi. Zolle del prato strappate e porte distrutte: la storia di Giannini con la Roma e la sua gente non poteva finire in modo più brutto.
Si arriva, così, all’epopea di Francesco Totti che, come in un’ideale staffetta, raccoglie il testimone, un tempo affidato ad Agostino Di Bartolomei, dallo stesso Giannini. ‘Er Pupone’, grazie ad una squadra di grande valore costruitagli attorno, riesce lì dove ‘il Principe’ aveva fallito: la conquista del terzo tricolore della storia romanista. Arrivano successi e record. Totti scrive la storia della sua squadra e del calcio italiano grazie a numeri impressionanti. La Roma, nel frattempo, passa dalla famiglia Sensi ad un consorzio ‘made in USA’. L’uomo forte del gruppo, James Pallotta, diventa presidente del club nell’agosto del 2012 e garantisce: “Totti? Deciderà lui quando smettere“. I fatti sembrano dargli ragione visto che, sul finire del 2013, Totti firma un prolungamento del contratto da calciatore per altri tre anni (oltre ad un accordo da dirigente per ben sei stagioni). Il capitano, fiero, esclama: “La Roma mi ha trattato come una bandiera. A Del Piero non è successo..“.
Parole che, tuttavia, sembrano diventare ancor più lontane rispetto agli effettivi due anni e mezzo nel febbraio del 2016. Il Capitano, ormai vicino alla scadenza del proprio contratto, non riceve comunicazioni dalla società e chiede “rispetto” per la sua figura. La Roma non si espone sulla possibilità di rinnovo, facendo filtrare, anzi, la decisione di considerare il Totti calciatore ormai un ex visti i quarant’anni imminenti. Il numero dieci, dal canto suo, non ci sta, vuole continuare a giocare e inizia a valutare anche offerte di altri club. Si tratterebbe del finale più amaro; per fortuna, però, viene sventato. A far pendere l’ago della bilancia dalla parte di Totti sono la sua classe e l’ambiente in cui si trova più a suo agio: il rettangolo verde. Quattro gol decisivi nel giro di poche settimane tra Atalanta, Torino e Genoa ma, soprattutto, la sensazione che appena scende in campo lui si accenda la luce. Alla fine, dunque, pur con la sensazione che tanto il club quanto l’allora mister Luciano Spalletti non siano entusiasti, Totti sigla il rinnovo per un’ulteriore stagione da calciatore. La stagione 2016/2017 inizia come era terminata quella precedente: con un Totti sempre decisivo quando chiamato in causa, ad esempio nel match casalingo sotto un terribile nubifragio contro la Sampdoria di Giampaolo. Un assist pazzesco per Dzeko e un calcio di rigore realizzato a tempo ormai scaduto regalano alla Roma tre punti importanti, dopo che la squadra era andata sotto nel punteggio e aveva mostrato tanta confusione in campo.
Scorrono le settimane, tuttavia, e Totti perde sempre più spazio nelle gerarchie del tecnico Spalletti; un po’ a causa di alcuni contrattempi fisici, un po’ perché i quarant’anni ormai compiuti iniziano a farsi sentire sulle gambe del talento di Porta Metronia, si ripropone la medesima situazione della stagione precedente: tra il numero dieci giallorosso e l’allenatore toscano volano stracci. La stagione, comunque, si conclude con la Roma che raggiunge la qualificazione diretta alla successiva Champions League e il record di punti nella propria storia in Serie A (87).
Francesco Totti prende tempo sul proprio futuro, da parte sua non molto contento del trattamento della società nei suoi confronti, ma alla fine sceglie di iniziare il percorso dirigenziale già prospettatogli anni prima sotto la gestione di Rosella Sensi. “Tutti vissero felici e contenti”? Macché.
Dopo un anno di apprendistato nelle retrovie, l’ex numero dieci reclama più spazio nella dirigenza romanista, stufo di essere unicamente una ‘figurina’ da spedire in giro per il mondo e soprattutto di sottostare alle decisioni del suo ‘nemico giurato’ Franco Baldini, consigliere personale del presidente Pallotta. Si arriva, infine, alla clamorosa rottura e all’innaturale addio di Francesco Totti alla Roma: un’altra bandiera che si separa polemicamente dai colori giallorossi.
Il caso più recente, invece, riguarda Daniele De Rossi. Cresciuto nel settore giovanile del club e lanciato tra i ‘grandi’ sul finire della stagione 2002/2003 da Fabio Capello, il centrocampista di Ostia si afferma negli anni come uno dei calciatori più completi a giostrare in mezzo al campo. Non tardano, dunque, ad arrivare offerte dalle squadre più importanti d’Europa, Real Madrid su tutti. Nell’estate del 2008, in particolare, le ‘Merengues’ mettono sul piatto una proposta sontuosa sia alla Roma di Rosella Sensi sia al ragazzo; la società capitolina avrebbe bisogno di soldi freschi, viste le sue casse malandate, ma declina la proposta perché non se la sente di tradire il proprio popolo con una cessione sentimentalmente tanto dolorosa. Dal canto suo, De Rossi è ben contento di rimanere in giallorosso perché, come ha modo di spiegare in prima persona, “il mio rimpianto è quello di poter donare una sola carriera alla Roma”.
Un amore del genere sembrerebbe non poter avere fine e invece si arriva allo scorso maggio con Daniele De Rossi con il contratto in scadenza alla fine del mese seguente e senza notizie sul futuro da parte della Roma. Il calciatore comprende bene che segnali del genere non siano incoraggianti in merito alla possibilità di restare e infatti il 14 maggio il club annuncia con un comunicato che l’esperienza, anzi sarebbe meglio dire la vita, giallorossa di De Rossi ha fine con la naturale scadenza del suo contratto il 30 giugno successivo. I tifosi giallorossi esplodono di rabbia, ma a nulla servono le proteste verso la società americana con la richiesta di tornare sui propri passi: Daniele De Rossi sceglie di continuare a giocare, ma non può farlo con la Roma. Rifiuta la Fiorentina, perché proprio non ce la farebbe a scendere in campo contro chi veste la maglia della ‘magica’ e sposa il progetto del Boca Juniors, da sempre compagine ammirata dal ragazzo per il calore del suo stadio e dei suoi tifosi.
Finisce, dunque, in modo traumatico, beffardamente per l’ennesima volta, quella che era stata una fantastica storia d’amore tra la Roma, il suo popolo e un capitano romano e romanista.