25 Giu 2019In Breaking News13 Minuti

Da Paulo Sergio alla ‘deromanizzazione’, la parabola giallorossa di Franco Baldini

INSIDEROMA.COM – MATTEO LUCIANI – Era l’estate del 1997 e Franco Baldini era ancora soltanto un giovane procuratore di belle speranze. All’epoca, tra i tanti, si trovava a gestire un attaccante brasiliano di ottimo livello: Paulo Sergio. Di sicuro, Baldini mai avrebbe potuto immaginare che quell’esterno offensivo carioca militante tra le fila dei tedeschi del Bayer Leverkusen, di fatto avrebbe dato il via alla sua liaison (ad oggi divenuta ultraventennale) con l’Associazione Sportiva Roma.

Dal canto loro, nell’estate del 1997, i giallorossi del presidente Franco Sensi erano occupati in una faticosa opera di ricostruzione tecnica dopo la tragica stagione sportiva che aveva visto passare a Trigoria il presunto ‘mago’ argentino della panchina Carlos Bianchi. Al fine di riportare nella squadra la cultura del lavoro e del sacrificio, a seguito di un’annata tanto buia quanto surreale, Sensi scelse l’ex laziale Zdenek Zeman come nuovo allenatore della formazione con la lupa sul petto.

Il 4-3-3 diventò il nuovo dogma giallorosso; tuttavia, per poter ammirare lo splendido gioco già proposto a Foggia e sull’altra sponda del Tevere, era necessario fornire al boemo gli elementi adatti al suo credo calcistico. In primis, due esterni d’attacco di buona corsa in grado di effettuare i classici ‘tagli’ verso l’area di rigore avversaria. Il primo era già in casa e rispondeva al nome e cognome di Francesco Totti, che di lì a poco sarebbe stato insignito della maglia numero dieci e poi anche della fascia di capitano. Mancava, però, il secondo.

Ecco allora arrivare Franco Baldini da Reggello in soccorso della Roma. Il presidente Sensi non aveva ancora avviato il periodo di spese folli, che avrebbe condotto nella Capitale campioni del calibro di Montella, Samuel, Emerson, Batistuta e Cassano (solo per fornire alcuni nomi), ma soprattutto un tricolore atteso per diciotto anni e quindi apprezzava il fatto che Baldini proponesse un calciatore dal curriculum interessante e allo stesso tempo dal costo del cartellino piuttosto esiguo.

Alla fine, l’affare si fece: Paulo Sergio diventò ufficialmente un calciatore giallorosso per circa sei miliardi delle vecchie lire. Zeman entrò quindi in possesso virtuale del suo primo tridente offensivo a tinte giallorosse, composto da Totti, Balbo e appunto il brasiliano.

La stagione della Roma si rivelerà avara di trofei, tuttavia carica di entusiasmo e ritrovato amore tra la tifoseria e la squadra, grazie al meraviglioso gioco espresso dalla truppa zemaniana. Arrivò un buon quarto posto, che equivalse alla qualificazione alla Coppa UEFA dell’anno seguente, ma soprattutto la sensazione che si stesse dando inizio a qualcosa di veramente importante. Carlos Bianchi e il suo fedele ‘mastino’ Trotta erano ormai soltanto un lontano ricordo.

Nel frattempo, Franco Sensi aveva avuto modo di approfondire i rapporti personali con l’agente Franco Baldini e iniziava a nutrire nei confronti del manager toscano una stima tanto alta da proporgli di entrare a far parte dei quadri dirigenziali della società di Trigoria. Baldini accettò con entusiasmo, figurando inizialmente come consulente esterno del club.

Si trattò, comunque, dell’inizio di una rapida ascesa, che condusse Franco Baldini a passare al ruolo di consulente di mercato e infine di direttore sportivo del club.

Sullo scudetto del 17 giugno 2001 la sua firma fu tangibile. L’operazione con cui strappò Emerson al Bayer Leverkusen con un anno d’anticipo rispetto a tutte le migliori compagini d’Europa, piuttosto che quella inerente al giovane e non troppo conosciuto Walter Adrian Samuel del Boca Juniors furono realmente da standing ovation.

Con lo scorrere degli anni, tuttavia, i tifosi giallorossi si innamorarono di Baldini soprattutto per le sue dichiarazioni al vetriolo contro i ‘poteri forti’ del Nord al fianco del presidente Sensi, impegnato nel 2002 in una lunga, e alla fine beffarda, lotta per la presidenza della Lega Calcio.

L’inizio della malattia di Franco Sensi pose la figura di Franco Baldini sempre più in risalto all’interno della dirigenza del club giallorosso. Il sodalizio con Fabio Capello, intanto, divenne fortissimo e i due, grazie ai soldi immessi sul mercato dal presidente marchigiano, continuarono a mantenere la Roma ad alti livelli, realizzando nell’estate del 2003 quello che a tutt’oggi può essere considerato l’ultimo ‘grande colpo’ di un certo tipo di mercato giallorosso: il centrale romeno Cristian Chivu.

L’anno seguente, la Roma venne sconquassata da una serie di eventi clamorosi.

Innanzitutto, alla fine della stagione 2003/2004, Capello abbandonò Trigoria per sposare il progetto juventino. Si trattò del preludio al ridimensionamento che il club capitolino fu costretto ad attuare a causa di una profonda crisi economica: Capitalia rilevò il 49% di Italpetroli per favorire il risanamento del gruppo comandato da Franco Sensi, mentre la Roma si trovò costretta a cedere i pezzi pregiati Samuel ed Emerson per rientrare (parzialmente) di una grave situazione debitoria. La stagione sportiva cominciò a rivelare il suo aspetto disastroso già prima dell’avvio del campionato, con il nuovo allenatore Prandelli che scelse di dimettersi per restare vicino alla moglie malata. Arrivò l’ex leggenda Rudi Voeller, che però durò soltanto un mese prima di abbandonare Trigoria sbattendo la porta.

Il terzo allenatore della Roma in tre mesi divenne Luigi Del Neri: fu la decisione che fece traboccare il proverbiale vaso nel rapporto tra Baldini e il club giallorosso. La politica della Roma era infatti completamente cambiata, divenendo assai più ‘morbida’ nei confronti di quei ‘poteri del Nord’ un tempo acerrimi nemici. Il fatto che alla fine si optò per Del Neri, allenatore assistito dalla GEA di Alessandro Moggi, mandò su tutte le furie Baldini, che di fatto si trasformò in un dead man walking all’interno della dirigenza giallorossa fino all’inizio del 2005, quando in un’intervista a Serena Dandini nel programma televisivo “Parla con me” espresse tutto il suo dissenso per le nuove posizioni assunte dal club di Trigoria. La separazione giunse a breve: il 24 marzo del 2004 “l’A.S. Roma S.p.A. comunica di aver ricevuto in data odierna le dimissioni presentate dal Franco Baldini, dalla carica di Consulente di mercato della Società. L’A.S. Roma desidera ringraziare Baldini del lavoro sin d’ora svolto per la società e del contributo dato”.

Bisogna attendere sei anni, svariate voci di cessioni del pacchetto azionario della società, nel frattempo passata nelle mani di Rosella Sensi e un effettivo cambio di proprietà, prima che il legame tra Baldini e la Roma torni a esistere.

L’inizio del Baldini 2.0 rivela subito un clamoroso colpo di scena. In un’intervista al quotidiano La Repubblica, il direttore generale giallorosso in pectore (al momento del colloquio con il giornale, infatti, il toscano è ancora formalmente un dirigente della federazione inglese) definisce Francesco Tottipigro“. Apriti cielo.

La situazione sembra rientrare quando Baldini sbarca ufficialmente di nuovo a Trigoria, con tanto di foto di rito e stretta di mano con lo stesso capitano. Il 21 ottobre del 2011, poi, avviene la conferenza stampa di presentazione nel centro sportivo Fulvio Bernardini e ciò che colpisce di più è la frase “Perché sono tornato qui? Sinceramente non lo so nemmeno io“. Un’affermazione che rappresenta il perfetto preludio al disastro sportivo che sarebbe avvenuto di lì a non molto.

Due allenatori sbagliati in due anni (il “magnifico erroreLuis Enrique e il ‘cavallo di ritorno’ Zeman, ritenuto un anno prima abile ad allenare unicamente la Primavera giallorossa), con il ‘capolavoro’ finale della Coppa Italia persa in Finale contro la Lazio il 26 maggio del 2013.

Arriva il secondo addio alla Roma, naturale epilogo di un biennio senza capo né coda.

Finita qui? Macché. James Pallotta continua ad avere fiducia in “Franco” e nel 2016 si scopre che, in buona sostanza, Baldini sia, come si suol dire, uscito dalla porta per poi rientrare dalla finestra. È lui il grande protagonista del ritorno di Luciano Spalletti nella Capitale, mentre a settembre del suddetto anno pur non avendo cariche ufficiali nella Roma, figura come consulente della Raptor, il fondo del presidente giallorosso.

Il 27 luglio del 2018 va in scena una nuova puntata della storia di amore-odio tra Baldini e la Roma. In un’intervista, James Pallotta dichiara: “Alle 3 del mattino mi sono svegliato e ho cominciato a mandarmi messaggi con Monchi e Baldini. Ora Franco è anche nel nostro comitato esecutivo“. Altro giro, altro incarico.

Stavolta, tuttavia, dura (formalmente…) davvero poco. Il tempo della pubblicazione dell’autobiografia di Francesco Totti “Il Capitano”, nella quale l’ex numero dieci scrive che Baldini gli ha rivelato di essere stato il principale fautore della fine della sua carriera come calciatore e che anche in passato avrebbe tentato in tutti i modi di allontanarlo dalla ‘sua’ Roma. Franco Baldini ritiene che essendo “parola di capitano” non si possa replicare e sceglie di uscire dal comitato esecutivo del club.

Peccato che un mese dopo, al termine della disfatta della Roma di Eusebio Di Francesco in quel di Bologna, sia proprio lui, che non ha un incarico ufficiale in società al contrario del direttore sportivo Monchi, a spingere per l’esonero dell’allenatore e a proporre la soluzione Paulo Sousa.

Il resto conduce agli ultimi avvenimenti: la spinta per portare Maurizio Sarri, poi finito alla Juventus, sulla panchina della Roma, mentre Francesco Totti si prodigava per convincere Antonio Conte, fino alla proposta (accettata) Paulo Fonseca; il mancato rinnovo a Daniele De Rossi e la frattura mai sanata con Totti, che porta all’innaturale addio dell’ex numero dieci.

La ‘deromanizzazione’ tanto cara a Franco Baldini e al suo ‘vecchio amico’ Fabio Capello è ormai stata attuata.

Non resta che la curiosità di vedere quali effetti avrà sulla Roma versione 2019/2020.