INSIDEROMA.COM – ROBERTO CONSIGLIO – “Se vogliono gettare merda su di me bene, ma io non torno indietro”. E’ questa la frase con cui James Pallotta, presidente della squadra di calcio della AS Roma, ha voluto rispondere alle numerose iniziative di protesta messe in atto contro di lui in questi ultimi giorni.
Il rapporto tra il numero uno giallorosso ed tifosi romanisti si è definitivamente incrinato quando è arrivata la notizia che la società americana non avrebbe rinnovato il contratto al capitano Daniele De Rossi. Molti infatti accusano lo stesso Pallotta di aver distrutto la squadra, da quando ne è diventato proprietario nel 2011, e di aver praticamente cancellato quel concetto di “romanità” che, da sempre, caratterizza i tifosi e la squadra capitolina.
Lasciando da parte le prese di posizione sulla questione riguardante il rinnovo di De Rossi, in questo pezzo vorremmo mettere in evidenza le varie attese disilluse che la gestione americana è riuscita a non rispettare in questi 8 anni. Già pochi giorni dopo aver chiuso l’acquisto del club, Thomas DiBenedetto, primo presidente americano della squadra giallorossa e predecessore dello stesso Pallotta nel medesimo ruolo, ha affermato: “La Roma è una principessa, ne faremo una regina. Vogliamo vincere subito lo scudetto”.
Purtroppo, però, la storia legata ai trofei da esporre a Trigoria è stata ben diversa. In questi anni di presidenza d’oltreoceano, infatti, sono state molte di più le delusioni e le amarezze rispetto alle soddisfazioni che il popolo romanista ha potuto vivere dal punto di vista calcistico.
Tra le delusioni più cocenti possiamo ricordare la sconfitta nella finale di Coppa Italia con la Lazio, vinta dai biancocelesti quel 26 maggio 2013 grazie ad un gol di Senad Lulić, o i 7 gol presi, lo scorso 30 gennaio, durante la partita dei quarti di finale di Coppa Italia contro la Fiorentina.
Per quel che riguarda le soddisfazioni ci viene in mente la semifinale di Champions League, raggiunta lo scorso anno. I giallorossi, in quell’occasione, uscirono più che a testa alta dalla massima competizione europea, contro gli inglesi del Liverpool, dopo due partite giocate a viso aperto e in cui furono determinanti, soprattutto nella gara di ritorno, le decisioni del direttore di gara.
Da quella partita si sarebbe potuto/dovuto ripartire per fare quel definitivo salto di qualità che, a parere di chi scrive, avrebbe fatto diventare la squadra della Città Eterna, col dovuto tempo debito, quasi a livello dei migliori team calcistici europei. Tutto questo, però, non avvenne perchè, per scelte societarie in nome del cosiddetto “flair paly finanziario”, molti giocatori cardine di quella rosa vennero venduti ad altre squadre.
I sostituti che arrivarono purtroppo, per alcuni fin da subito per altri col passare del tempo, non si rivelarono all’altezza di chi se ne era andato. Fatto sta che, quest’anno, la Roma rischia seriamente di dover affrontare il terzo turno preliminare di Europa League: l’altra coppa continentale europea che, però, sotto numerosi punti di vista, in particolare quello del prestigio e quello finanziario, non può minimamente essere paragonata alla Coppa dalle grandi orecchie.
Ma soprattutto James Pallotta è stato il presidente che ha dovuto gestire due patate bollenti che più bollenti non si può: l’addio alla maglia giallorossa di Francesco Totti e Daniele De Rossi. Ma questi due addii, con tutte le similitudini che hanno, presentano anche parecchie differenze.
Infatti, se per il primo è stato un addio “graduale”, che però non ha risparmiato il presidente a stelle e strisce da feroci critiche dai supporter più ortodossi, per il secondo James Pallotta è scivolato su una vera e propria buccia di banana.
Non si capisce come mai l’addio di DDR, da molti visto come un vero e proprio emblema del “romanismo” in campo, sia stato scelto in maniera unilterale negli studi di Boston e in quelli di Londra, dal confidente più seguito di Pallotta: Franco Baldini. La cosa che lascia ancora più di stucco è che, nonostante tutte le critiche arrivate dopo tale decisione, il numero uno giallorosso non si sia fatto vivo e, soprattutto, non sia in procinto di venire a Roma, almeno per il momento, per spiegare questa sua decisione che, agli occhi dei più, è un vero e proprio “suicidio calcistico”.
A tutto ciò lo stesso presidente yankee ha risposto, pochi giorni fa, con la frase citata all’inizio del pezzo. Non proprio un modo elegante per dare spiegazioni a chi lo accusa, oltre che di aver distrutto la squadra sotto più punti di vista, anche di essere interessato solo alla costruzione del nuovo stadio: un’altra patata bollente, per il patron di Boston, visti i numerosi scandali scoppiati al riguardo in questi anni. Insoma, forse la presidenza americana ha sparato un po’ troppo in alto all’inizio della sua avventura romana e poi non è riuscita a mantenere quello che aveva detto. Non proprio un bell’inizio insomma. Se poi ciò lo fai in una piazza calda come Roma, dove sono molte le voci messe in giro e le speranze che si accendono in poco tempo, ecco che la frittata è bella che fatta.
Per chiudere il pezzo vorremo fare il confronto tra Pallotta altri due esponenti del mondo romano attuale: il presidente della Lazio Claudio Lotito e la sindaca di Roma, in orbita Cinque Stelle, Virginia Raggi.
L’inquilina del Campidoglio vinse, senza troppi patemi d’animo, il ballottaggio contro Giachetti e diventò prima cittadina della capitale il 22 giugno 2016. Essa rappresentava un partito che, a detta di molti e per gli stessi slogan scelti, doveva rappresentare un vero e proprio cambiamento rispetto alle precedenti amministrazioni legate a quella che veniva definita “la vecchia politica”.
Anche in questo caso, insomma, come in casa Roma, ci si attendeva una vera e propria rivoluzione. Ed anche in questo caso, nonostante alcune cose buone siano state fatte, le aspettative iniziali sono state abbastanza disilluse.
Non vogliamo fare un pezzo “politico”. Vogliamo però far notare che, a quasi tre anni del suo insediamento, la Raggi non gode più di quel consenso che la fece arrivare a man bassa sulla poltrona principale dell’Aula Giulio Cesare, proprio come accaduto al bostoniano accolto come un salvatore e oggi in “esilio” quasi permanente oltre oceano.
Un esempio positivo, almeno da questo punto di vista, per James Pallotta potrebbe essere, con tutte le precauzioni del caso naturalmente, il presidente della Lazio Claudio Lotito. Il numero uno biancoceleste, infatti, da quando guida la società di Formello dal luglio 2004, non ha mai detto dichiarazioni sensazionalistiche con cui ha fatto crescere aspettative nei tifosi biancoazzurri per poi illuderle come se nulla fosse.
Nonostante questo è riuscito a mettere su una buona squadra che, negli ultimi anni, ha portato a casa qualche trofeo da esporre in bacheca. Sebbene abbia molti altri difetti, sotto diversi punti di vista, almeno da questo lato il numero uno laziale sembra aver capito una lezione che James Pallotta, almeno per il momento, sembra ben lontano da comprendere.
Cosa succederà in futuro non possiamo certo dirlo adesso. Possiamo dire però che il tempo “dirà e vedrà”: almeno di questo, ne siamo più che certi…..