10 Giu 2024In Rassegna stampa5 Minuti

Non un centimentro di meno

Abbiamo trascorso una giornata con Daniele De Rossi alla Coach Experienze di Rimini. A 400 allenatori entusiasti ha raccontato come vive la sua nuova professione, a noi come vuole costruire la sua Roma. Con l’esempio delle notti magiche.

“Io lavoro nella stessa maniera. Sempre alle 7 e mezza al campo andavo (a Ferrara). Lì ci mettevo sette minuti con la bicicletta, adesso 40 minuti, così dormo meno perché mi sveglio alle 6.
Però preparo l’allenamento nello stesso modo, i rapporti con i giocatori, i dirigenti, con lo staff, è tutto uguale. Cambiano le percezioni degli altri, magari.
In panchina alla Spal mi mettevo le mani in tasca e mi dicevano che sembravo un coglione. Lo faccio nella Roma, e i primi tempi vincevamo tutte le partite e mi dicevano “Guarda che sicurezza che ha, addirittura tiene le mani in tasca”.
La percezione che lasciamo negli altri dipende dai risultati.
A Roma dopo quattro partite sembrava dovessimo riprendere l’Inter. Poi se vinci sei più bello e puoi apparire più umile. Ma è anche un po’ di atteggiamento. Ecco, la differenza è che a Ferrara ho avuto problemi di natura umana, niente di gravissimo, per carità, ma insomma non ero a mio agio, e un paio di volte non sono rimasto sereno perché anche io ho un carattere spigoloso. A Roma invece per fortuna mi trovo benissimo con tutti”.
“Nella tesi sostenuta con Ulivieri (il presidente dell’Aiac che gli è sempre stato accanto durante l’incontro, ndr) ho scritto che non amo alzare la voce. Ma tutto parte da quello che penso di essere. Io cerco di essere autentico, di essere me stesso.
Ad esempio: i discorsi che fanno gli allenatori all’inizio di un rapporto sono sempre gli stessi, no? ‘Io do rispetto e in cambio voglio rispetto, bisogna andare forti in allenamento, per me siete tutti uguali ecc. ecc. ‘. Ma io a volte diventavo matto perché poi nei fatti non si comportavano così. Tanti erano forti con i primavera, e deboli con i grandi. E i giocatori se ne accorgono dopo un minuto.
Ecco, io vorrei essere autorevole senza strillare, come quando ero calciatore. Non ho mai attaccato al muro nessuno, pochissime volte ho litigato con qualcuno. Vi faccio l’esempio di Conte: quando si arrabbiava, era vero, non era posticcio. Vedevi dentro che era lui, ti sputava il suo dolore addosso e tu ne ricevevi carica. Sbroccava dopo una partita andata male o un brutto primo tempo. Se io lo copiassi sarei ridicolo. Non lo saprei fare, anche se in lui lo apprezzavo.
Io preferisco parlare senza urlare e mi è capitato magari di andare dal giocatore forte a dirgli ‘Hai fatto cacare, devi vergognarti, devi correre di più’. Non serve urlare, gli altri venti lo capiscono. E nello stesso tono lo dici al primavera. Poi mi è capitato di sbroccare e magari lì l’ho fatto anche per presentarmi un po’ meglio ai miei ex compagni di squadra.
Vi racconto l’ultimo episodio, relativo al derby. Io ho rispetto per la Lazio. Ma in preparazione della partita volevo spiegargli quanto fosse importante per noi battere la Lazio, oltretutto non vincevamo da tanti derby… Però vedevo che il messaggio non arrivava. Allora ho cambiato strategia: al portoghese ho chiesto ‘tu che squadra odiavi quando eri ragazzino? Lo Sporting Lisbona’. Al turco: ‘E tu?’ ‘Il Fenerbahce’. Al tedesco, al francese e agli altri ho fatto la stessa domanda e li ho caricati: ‘Ora pensate che dovete giocare contro la squadra che odiavate da ragazzini e rompetegli…’ “

Il Romanista