Agostini: “Sono convinto che la Roma possa arrivare nelle prime 4. Dzeko un top player che deve trascinare la squadra”
Massimo Agostini, doppio ex del match di domenica tra Roma e Napoli, è stato intervistato dall’AS Roma Match Program e ha parlato della sfida tra le due compagini. Queste le sue dichiarazioni:
Roma-Napoli, una partita importantissima per la Roma…
“Sicuramente per la Roma sarà una gara fondamentale perché ha ancora parecchie possibilità per agganciare il terzo o quarto posto. Anche se Inter e Milan sono più avanti, ci sono scontri importanti tipo Inter-Lazio e Sampdoria-Milan. La Roma, gioca in casa, contro un Napoli che ultimamente non sta facendo benissimo. Ha vinto domenica scorsa in una partita dal risultato abbastanza prevedibile ma non sembra essere al massimo della forma. Io credo che la Roma in casa debba fare partita e risultato, altrimenti perderebbe credibilità rispetto a quanto fatto nella passata stagione, una semifinale importantissima e una postazione in campionato di tutto rispetto. Quest’anno le cose non sono andare bene con qualche cessione importante che non è stata ripianata con giocatori dello stesso calibro. È il derby del centro sud, una partita fondamentale sia per Ranieri che per tutti i giocatori, che devono dimostrare che tutto quello che è accaduto in questo periodo non è cosa vera. Sono una squadra forte con giocatori importanti che devono solamente ritrovarsi più a livello fisico che mentale. Roma-Napoli è sempre stata bella, sia in casa che in trasferta. Ho la fortuna di giocarle entrambe e ti prende molto, dopo la Lazio per i romanisti è un altro derby, in più in questo caso, per la Roma i punti in palio sono pesantissimi e non se li deve lasciare sfuggire“.
Il Napoli in che momento è?
“Dopo il derby di Milano la posizione in classifica del Napoli sembra essere più tranquilla, e sono convinto che la Roma mettendo in campo un po’ più di cattiveria di quella espressa in questo periodo, potrebbe uscire fuori con un finale di campionato importante”.
I partenopei avranno in testa l’Europa League…
“Certo, nel mese di aprile hanno i quarti e con il margine di vantaggio che ha Ancelotti sulla terza, potrebbe anche provare giocatori che sono stati meno impegnati e far riposare chi ha giocato di più. La Roma deve, imperativo, deve portare a casa i tre punti”.
Crede che la sosta sia arrivata al momento giusto? Su cosa dovrà lavorare mister Ranieri?
“Per un allenatore che entra in un gruppo dove ci sono state delle dinamiche, ci vuole del tempo per entrare nelle teste dei giocatori. Ognuna delle venticinque teste ha i suoi problemini. Ranieri con la professionalità e l’esperienza che ha, saprà toccare i punti giusti a livello mentale per stimolare e dare le motivazioni che servono ai suoi. Per chi non è andato in nazionale la sosta è servita per ricaricare le batterie. Mancano dieci partite, un tour de force, due mesi e mezzo nei quali devi tirare fino alla fine. Quindici giorni servono per mettere un po’ di benzina e resettare a livello mentale tutto quanto di negativo accaduto nell’ultimo mese. Ranieri dovrà essere un bravo psicologo, ottimo moderatore. Con la sua esperienza saprà toccare i punti giusti”.
Conoscere la piazza di Roma sarà utile per lui?
“È romano e tifoso ed è stato evidente nelle sue prime parole in giallorosso. Parole con il cuore, gonfio di passione, non da allenatore. Le sue sono state esternazioni forti, è andato a toccare punti delicati. Parole che gli danno più forza nei confronti dei tifosi, che quando le cose vanno bene accettano tutto dai giocatori, ma quando le cose non girano e qualcuno corre un po’ meno dell’anno scorso, le questioni spinose vengono a galla. Ha cercato di spronarli facendo capire loro il valore della maglia”.
Crede possa essere un giocatore a prendere in mano la situazione oppure sia il gruppo a dover dare un segnale?
“Di solito in queste situazioni è l’intero gruppo che si mette a cerchio, ma ci devono essere quei quattro o cinque giocatori che si prendono la responsabilità. Magari quelli che hanno più presenze con questa maglia… penso a Florenzi, De Rossi e anche Dzeko, è un top player che deve trascinare i più giovani, quelli che gli stanno dietro. Poi Kolarov, è stato in tante squadre importanti, un giocatore di esperienza, un nazionale. Sono questi i giocatori che devono prendere per mano gli altri. Far capire loro l’importanza della maglia, di quei colori che non possono uscire fuori in questa maniera dalla zona Champions League. Bisogna lottare con il coltello tra i denti anche durante gli allenamenti. Deve essere questa la sensazione che devono dare, di riscossa e voglia di arrivare ad un traguardo che per la Roma è importantissima”.
Dieci finali… insomma la Roma ce la può fare?
“Sono convinto di sì. Ha un buon organico, certamente ci sono alcuni giocatori che non hanno girato al meglio, Dzeko, Schick… Il ceco lo stanno aspettando da due anni, ma fa ancora fatica, forse i suoi gol li ha fatti El Shaarawy… ha risolto un po’ il problema. Anche dietro alcuni giocatori che lo scorso anno hanno fatto benissimo stanno avendo dei passaggi a vuoto, che hanno compromesso dei risultati. Devono tornare quei quattro difensori massicci a cui si faceva fatica a fare gol”.
Juve e Napoli escluse, le altre due che andranno in Champions?
“Bisogna aspettare il recupero della Lazio, ma penso che la corsa sarà a tre, Roma, Milan e Inter. Tre squadre per due posti. Bisogna stare sul pezzo e non mollare nulla”.
Anche nel suo primo anno alla Roma ci fu un avvicendamento tra allenatori, prima Eriksson e poi Sormani fino a fine stagione… Certi periodi sono difficili a Roma…
“Sono arrivato giovanissimo nella Capitale e mi sono trovato benissimo con Eriksson. Purtroppo nel girone di ritorno le cose non sono andate bene e Roma in quel periodo era una piazza abituata a vincere. Abbiamo avuto parecchi problemi, Pruzzo prese cinque giornate di squalifica e io mi ruppi una caviglia, restando fuori due mesi e mezzo. Ci siamo trovati rimaneggiati e dal terzo posto siamo arrivati ottavi. L’anno dopo è tornato Liedholm e io ho avuto un po’ di problemi, due metodi di allenamento differenti, ma alla fine contano i risultati. Quell’anno lì siamo arrivati terzi! Lo spettacolo offerto era inferiore rispetto all’anno prima, ci fu una impressionante riduzione di spettatori. Ma alla fine ci qualificammo in Coppa Uefa”.
Quell’anno il progetto di calcio che cercava Eriksson fallì…
“Il suo era un calcio totale. Sono certo che se avesse avuto il tempo e fosse stato assecondato avrebbe fatto una grande squadra. Purtroppo il calcio vive di risultati e se vengono meno bisogna prendere delle decisioni. Si è optato per Liedholm anche per tenere buono l’ambiente con chi negli anni prima aveva vinto qualcosa di importante, ma si è ritornati due passi indietro. Un po’ come oggi, da Di Francesco innovatore di un certo tipo di gioco con una forte mentalità di lavoro si è ritornati ad un allenatore che si basa più sulle motivazioni. Ci può stare un parallelismo con gli anni miei”.
Qual è il momento più bello vissuto in giallorosso?
“Mi ricordo la doppietta al Pescara che ci fece passare il turno in Coppa Italia e poi l’1-0 all’Olimpico contro il Torino. Passaggio di Ancelotti e corsa sotto la Sud. Il bello in quegli anni era fare gol e andare a prendere l’abbraccio dei tifosi e urlare insieme a loro. Ho tanti bei ricordi, a Roma ho lasciato un pezzo del mio cuore. Ho tanti amici. Sarei potuto rimanere più anni, se solo ci fosse stato più feeling con il mister… ho preferito non dare fastidio e cambiare aria”.
Se tornasse indietro, cosa non farebbe?
“Forse andare via subito, il primo anno. La scelta di tornare a Cesena avrei potuto rimandarla e invece allungare il contratto ancora un anno. Volevo giocarmi le mie carte in A con il Cesena, forse avrei potuto lavorare un anno con Liedholm e vedere cosa sarebbe potuto succedere. Quello forse il mio rammarico legato alla Roma. Altro episodio della mia carriera che mi è dispiaciuto è legato alla maglia azzurra. L’anno di Eriksson venni convocato con l’Olimpica di Zoff, feci il primo raduno a Coverciano ma poi contro l’Empoli in campionato mi sono rotto la caviglia e al mio posto andarono Desideri e Rizzitelli. Sarei andato alle Olimpiadi”.
Al Napoli invece è approdato “da grande”.
“Ero verso fine carriera e avevo passato due anni ad Ancona, un anno in A e uno in B, 30 gol il mio bottino personale. Al Napoli era andato il mio ex allenatore Guerini, io ero tornato al Parma perché l’Ancona non aveva pagato la seconda metà del cartellino. Quando è arrivata la chiamata del Napoli non ho potuto dire di no, e ho accettato. Il primo anno è andata bene: tra coppa e campionato ho fatto 14 gol; l’anno dopo mi sono infortunato ad inizio stagione e sono stato fuori moltissimo. Comunque, a Napoli sono stato bene e non ho nulla da rimproverarmi. È stata dopo Roma un’altra piazza importantissima per il mio bagaglio culturale e professionale”.
Prima di salutarla: lei è stato allenatore di una squadra femminile, ha avuto modo di vedere la squadra giallorossa?
“Ho allenato il Riviera di Romagna in Serie A. Sto seguendo la Roma, ho visto anche la partita contro l’Atalanta qualche giorno fa. L’ho vista su Roma TV la sera in replica, sapevo già il risultato, ma volevo vedere come era andata. Devo dire che per come era partita la Roma con tutte quelle sconfitte adesso è quarta in classifica, e ha un buon margine sull’Atalanta. Sicuramente come primo anno è stato importante per sentirne l’odore. Il prossimo anno potrà giocarsi i primi due posti per andare in Champions”.
Qual è la tua idea sul calcio femminile?
“Sono favorevolissimo. Ho avuto anche una chiamata in Serie B con il Genoa però non si è concretizzato perché c’era la possibilità che andassi al Cesena in D. Ho voluto aspettare e non me la sono sentita… È l’ambiente più favorevole per un allenatore per lavorare, per sperimentare e aumentare il bagaglio di lavoro. Le ragazze sono delle spugne, assorbono tutto ciò che fai vedere loro e lo mettono in pratica. Mi piacerebbe un domani tornare a lavorare con il femminile… è un bel calcio con belle giocate”.
Non si è concretizzato femminile né Cesena, in cosa è affaccendato?
“Sono ancora con il Club Italia, faccio il capo delegazione del Beach Soccer con la nazionale. Però se trovassi una sistemazione da allenatore la prenderei al volo, la mia passione è quella lì, ho tutti i patentini per poter allenare e se posso li voglio sfruttare. Ho ancora voglia di combattere in mezzo al campo, siamo guerrieri da campo, ancora facciamo fatica a metterci dietro alla scrivania”.