INSIDEROMA.COM – MASSIMO PAPITTO – Dieci minuti finali, minuto ottantatrè del secondo tempo, il Bologna ha appena accorciato le distanze con Sansone mettendo paura a tutto lo Stadio Olimpico che voleva scacciare via i fantasmi di una nuova rimonta che sarebbe stata l’ennesima di questa stagione. Ad un tatto allora dal nulla si alza un coro incessante dalla Curva Sud… un coro potente e continuativo come un mantra: “ale ale Roma alè” urlato e cantato fino a fine partita, fino a quando il pericolo era stato disinnescato e la Roma si era portata a casa una partita dannatamente importante in una serata complicata, una serata storta dove il Bologna aveva imperversato per lunghi tratti della partita su una Roma aggrappata ai suoi uomini d’esperienza e alla grande prestazione del suo portiere Robin Olsen.
Un coro che è stata una spinta vera e propria e che ha dato forza ancora di più a chi sostiene che il pubblico della Roma è tra i migliori del mondo e che ha sbugiardato per l’ennesima volta ancora chi sostiene (su quali tesi poi) che il tifo romanista sia pericoloso e poco sano.
I tifosi della Roma avevano capito il momento e sono stati il classico dodicesimo uomo in campo e hanno permesso ai giocatori in campo di triplicare le forze in un momento di affanno fisico e di paura mentale.
La Curva Sud ieri sera è stata decisiva come e quanto i calciatori in campo. Ha dato dimostrazione di maturità e attaccamento alla maglia e alla squadra. L’ha tirata fuori da un momento di paura e di imbarazzo.
Uscendo dallo stadio allora chi è che non ha continuato a canticchiare quell’ale ale Roma alè striminzito ma pieno di significati.
Un coro con un significato di amore e di appartenenza.