7 Mar 2019In Breaking News5 Minuti

C’è qualcosa che non Var

INSIDEROMA.COM – MATTEO LUCIANI – Finisce con Alessandro Florenzi in lacrime, distrutto nell’animo per aver causato il calcio di rigore che, di fatto, ha estromesso la Roma dalla competizione, la campagna nella Champions League 2018/2019 della squadra di Eusebio Di Francesco.

Se il numero 24 giallorosso ha commesso un’ingenuità plateale nel trattenere, seppur leggermente, un avversario a pochi passi dalla porta di Olsen, quando questi mai sarebbe stato in grado di raggiungere il pallone per andare in rete, è pur vero che a condannare definitivamente la formazione capitolina ci ha pensato qualcun altro; ad essere precisi, un quarantaduenne di Istanbul corrispondente al nome e cognome di Cüneyt Çakır.

Per sfortuna della Roma, si trattava dell’arbitro del match; in particolare, colui che a pochi minuti dal secondo tempo supplementare decideva di recarsi personalmente a rivedere l’episodio inerente alla trattenuta di Florenzi su Fernando, optando per il calcio di rigore in favore dei lusitani, ma allo stesso tempo, soltanto una manciata di secondi dopo, evitava di consultare la VAR review in merito all’episodio in area di rigore portoghese tra Marega e Schick: incoerenza totale e inspiegabile.

Qualcuno si è affrettato a sostenere che la colpa principale sia da attribuire all’arbitro polacco Marciniak, l’uomo scelto dalla Uefa come VAR per la sfida dell’Estadio Do Dragão, il quale avrebbe dovuto segnalare a Çakır di recarsi presso lo schermo installato a bordo campo per vedere in prima persona il contatto tra l’ex Samp e il centravanti del Porto, proprio come avvenuto nel caso Florenzi-Fernando: di chiunque siano state le responsabilità, posto che è stato più volte specificato come il direttore di gara resti il giudice assoluto per ogni decisione da prendere sul terreno di gioco, la sostanza non cambia.

La Roma è fuori dalla Champions League, nonostante un sorteggio che sembrava essere stato realmente benevolo con i giallorossi.

Detto della controversa (eufemismo) condotta arbitrale, non bisogna comunque nascondersi dietro a un dito. La squadra vista in campo ieri sera a Oporto è stata per larghi tratti della partita realmente impresentabile. Non una novità, purtroppo, in questa stagione e soprattutto nelle ultime settimane.

La scelta di Eusebio Di Francesco, un 3-5-2 ultradifensivo dedito a non prenderle per custodire strenuamente il misero gol di vantaggio a disposizione, non ha assolutamente pagato. Fino al momento in cui ha avuto benzina nelle gambe, il Porto di Sergio Conceiçao è parso viaggiare a una velocità doppia rispetto alla Roma, potendo inoltre contare su un sistema di gioco e di idee collaudato rispetto ai giallorossi, i quali a ormai pochi mesi dalla conclusione della stagione sembrano continuare a chiedersi cosa debbano fare sul terreno di gioco in diversi momenti dei match.

Quale la soluzione, dunque? L’addio all’ex mister del Sassuolo pare la scelta più logica in modo da tentare quantomeno di salvare il salvabile in campionato, ma certo le colpe non possono unicamente ricadere sull’allenatore.

Se rispetto alla passata stagione, conclusa con un buon terzo posto e un percorso in Champions League da incorniciare, ma soprattutto con la sensazione che mancasse veramente poco (solo un paio di innesti mirati?) alla Roma per effettuare il definitivo salto di qualità, si è scelto di continuare a cedere alcune delle colonne della squadra (Alisson su tutti), un allenatore può fare veramente poco.

Probabilmente, l’errore principale di Eusebio Di Francesco è stato quello di accettare in modo troppo passivo le scellerate scelte societarie in sede di mercato al fine di tenersi stretto la panchina della ‘sua’ Roma: uno sbaglio che lui stesso pagherà in prima persona, adesso o comunque a fine campionato.