11 Giu 2019In Breaking News7 Minuti

E alla fine arriva la ‘baldinata’. Storia e tattica del nuovo mister Paulo Fonseca

INSIDEROMA.COM – MATTEO LUCIANI – In principio fu Antonio Conte. Erano i primi giorni di maggio, quando la Roma giallorossa aveva iniziato a sognare l’avvento dell’ex tecnico di Juventus e Chelsea; un paio di settimane di tam-tam mediatico, coronato da un’isteria collettiva che lo vedeva un giorno sì e l’altro pure in qualunque angolo della Capitale per mettere nero su bianco l’accordo con il club di James Pallotta, poi la più classica delle ‘docce gelate‘ con l’intervista dell’allenatore leccese a La Gazzetta dello Sport che, di fatto, ufficializzava il proprio passaggio all’Inter.

Si passò, così, a Maurizio Sarri, che dello stesso Conte aveva preso il posto appena dodici mesi prima sulla panchina del Chelsea; una soluzione fortemente caldeggiata dal consulente personale di Pallotta ed ex dirigente giallorosso Franco Baldini, ma in quella fase comunque considerata un brutale ripiego rispetto al totem Antonio Conte. A metà maggio, Sarri era ancora impegnato nelle ultime giornate di Premier e nelle battute finali di quell’Europa League che avrebbe successivamente conquistato contro l’Arsenal nel capitolo conclusivo a Baku. Dal canto suo, il club londinese era ancora tutt’altro che certo di confermare il mister toscano, quindi l’approdo in giallorosso pareva poter essere soluzione tutt’altro che improbabile. Tuttavia, dopo aver conquistato la già citata coppa europea in Azerbaigian, il Chelsea inizia a riflettere sull’effettiva correttezza della decisione di esonerare Sarri; come se non bastasse, la Roma si ritrova a dover fronteggiare l’imbattibile Juventus, nel frattempo separatasi da Max Allegri, per accaparrarsi l’ex Napoli, che dunque sfuma definitivamente. Un altro, pesante, no.

A questo punto, una volta terminato il campionato di Serie A, la Roma si tuffa con prepotenza su Gian Piero Gasperini, l’artefice della ‘Atalanta dei miracoli’ giunta incredibilmente terza in classifica e in Finale di Coppa Italia (poi persa) contro la Lazio. Per il club di Viale Tolstoj appare compito non impossibile raggiungere un accordo con l’ex mister genoano, il quale dal canto suo sembrerebbe desideroso di tornare ad allenare in una grande piazza dopo l’esperienza negativa con l’Inter nel 2011. Abbastanza a sorpresa, però, arriva il terzo rifiuto, stavolta ancor più duro da digerire per i tifosi, poiché trattasi di un allenatore con un palmarés non esattamente ricco di trionfi e impegnato sulla panchina di una compagine teoricamente non di pari blasone rispetto a quella capitolina.

Inizia a regnare la confusione, con i vari ‘poli’ (Boston, Londra, Roma) presenti nella società giallorossa focalizzati su obiettivi differenti: entra in gioco la figura di Sinisa Mihajlovic, reduce da un’ottima seconda parte di stagione sulla panchina del Bologna, grazie al ds in pectore Gianluca Petrachi, che con il serbo ha già lavorato a Torino, oltre a quelle di Roberto De Zerbi, assai gradito al resto della ‘ala italiana’ della dirigenza romanista e di Paulo Fonseca, l’esotico nome baldiniano secondo il dirigente di Reggello perfetto per ripartire senza alcun condizionamento ambientale.

Alla fine, la spunta proprio il portoghese, che in tre anni allo Shakhtar Donetsk è stato in grado di conquistare altrettanti campionati e coppe nazionali, oltre a una Supercoppa nel 2017.

Fonseca si guadagna la panchina della Roma grazie ai risultati raggiunti, ma anche per la sua capacità di far esprimere un bel calcio alle proprie squadre.

Il 4-2-3-1 come marchio di fabbrica del suo calcio: su Paulo Fonseca c’è innanzitutto da affermare questo aspetto, che lo accomuna a un grande ex come Luciano Spalletti. Il tecnico lusitano predilige, inoltre, una formazione in grado di mantenere il possesso palla per la maggior parte dei novanta minuti di gioco, elemento che è stato possibile notare anche nel doppio confronto di inizio 2018 in Champions League tra la Roma di Eusebio Di Francesco e il suo Shakhtar.

Un ruolo fondamentale nel calcio di Paulo Fonseca viene ricoperto dai due terzini difensivi, atti più a offendere che a difendere, ma soprattutto tenuti costantemente molto ‘alti’ anche durante la fase di non possesso palla della squadra.

Proprio da questo aspetto, nasce il più grande limite sin qui mostrato dall’allenatore di Nampula: la fase difensiva.

Se nel massimo campionato ucraino il notevole vantaggio tecnico rispetto alle avversarie non ha portato a grossi problemi da tale punto di vista (sono state, ad esempio, soltanto undici le reti subite nell’ultima stagione), lo stesso non si può affermare per la Champions League, dove la compagine di Paulo Fonseca è spesso andata in sofferenza in difesa, mostrando delle lacune organizzative talvolta preoccupanti.

Sarà necessario migliorare il proprio bagaglio tattico per non soccombere contro gli assai preparati avversari delle panchine di Serie A.

Infine, riguardo alla storia di mister Fonseca, bisogna dire che il suo ingresso nel cosiddetto ‘calcio che conta‘ è piuttosto recente.

Era il 2013, infatti, quando con il piccolo Paços de Ferreira l’allenatore portoghese concludeva la Primeira Liga addirittura al terzo posto, al termine di una stagione contraddistinta da grande calcio, oltre che da ottimi risultati.

Un’annata che valse a Fonseca la chiamata del Porto. Dopo aver vinto il suo primo trofeo da allenatore, la Supercoppa portoghese, tuttavia, l’allenatore classe 1973 affrontò diverse difficoltà sulla panchina dei ‘dragoni’, culminate con l’esonero a marzo del 2014.

Il ritorno al Paços de Ferreira, poi un buon quarto posto con il Braga ed ecco l’esperienza ucraina allo Shakhtar Donetsk,con il quale, come già detto, Fonseca ha vinto praticamente tutto, oltre ad aver ben figurato in Europa.