Ex assessore Caudo contro la Raggi: “Progetto stadio trattato con pressappochismo” (Foto)
Giovanni Caudo, ex assessore all’Urbanistica del Comune di Roma e professore di Urbanistica presso l’Università Roma Tre, tramite il suo profilo Facebook ha pubblicato un post per spiegare “cosa la giunta Raggi ha fatto o non ha fatto fin dall’inizio sulla vicenda stadio della Roma“. Questo il lungo post dell’ex assessore:
Quando si insediò la giunta Raggi, nel giugno del 2016, il progetto era ormai definitivamente approvato?
“No. Come giunta Marino avevamo approvato in Assemblea Capitolina il 22 dicembre 2014 (132/2014) la delibera che dichiarava solo “il pubblico interesse della proposta di realizzazione del nuovo stadio della Roma a Tor di Valle” e che prescriveva 14 “necessarie condizioni” alle quali il proponente doveva attenersi per avviare la fase di esame del progetto e della conseguente conferenza di servizi decisoria”.
Cosa sarebbe successo se il proponente non presentava la documentazione per l’avvio della fase successiva?
“Non sarebbe successo nulla. La procedura si sarebbe esaurita senza che fosse maturato alcun diritto edificatorio per il proponente o qualsiasi altro obbligo per il Comune”.
C’erano diritti edificatori che potevano essere riconosciuti al privato a seguito della delibera approvata?
“No. La delibera Marino non aveva alcuna valenza urbanistica. La condizione numero 3 delle 14 previste prescriveva che solo ad esito della trasformazione l’area di Tor di Valle avrebbe cambiato zonizzazione di piano regolatore e che la variante urbanistica diventava effettiva solo al momento dell’approvazione definitiva, quindi solo alla fine di tutto il percorso decisionale, che si conclude, come previsto dalla legge, con un decreto del Presidente della Regione Lazio”.
Quando è che il privato ha presentato la documentazione per l’avvio della procedura di approvazione del progetto?
“Il proponente ha presentato la documentazione per l’avvio della procedura di approvazione il 15 giugno del 2015, sei mesi dopo l’approvazione della delibera 132/2014. Tutta la documentazione e il plastico del progetto completo con tutte le sue parti, lo stadio, il business Park, il sistema delle infrastrutture e il sistema ambientale venne esposto al pubblico a partire dal 7 luglio 2015 alla “casa della Città”.
La documentazione e il progetto presentato rispettavano tutte le 14 “necessarie condizioni” prescritte per la dichiarazione di pubblica utilità?
“Si, ma era incompleto. Il 20 luglio del 2015 dopo una disamina del gruppo tecnico interassessorile il Comune invia, come prevede la legge, il progetto alla Regione Lazio per gli ulteriori adempimenti. La trasmissione avviene con l’accompagnamento di una nota lunga diverse pagine che in sintesi dice: “il Progetto tiene conto delle prescrizioni dettate dall’Assemblea capitolina per il pubblico interesse ma tuttavia ci sono carenze dovute a una certa fretta nella fase finale di preparazione della documentazione”.
Che successe quindi a quel punto?
“Successe che l’iter si interruppe in attesa che il proponente consegnasse, integrasse e completasse la documentazione mancante. Infatti, il 5 agosto del 2015 la Regione Lazio prende atto di quanto scrive il Comune di Roma e a sua volta scrive al proponente chiedendo di “perfezionare e completare il progetto definitivo di tutti gli interventi previsti così come integrati e modificati ad esito della conferenza preliminare conclusasi in data 4/9/2014 ed in conformità con la Deliberazione dell’Assemblea Capitolina 132/2014”.
Quando è che viene consegnata la documentazione mancante?
“La consegna avviene in piena campagna elettorale per le amministrative, il 30 maggio del 2016, un anno dopo la prima consegna”.
Si poteva quindi dare seguito alle promesse elettorali di Cinque Stelle che era contro lo stadio e cancellare la procedura avviata con la delibera della giunta Marino?
“Si. Ricordo che la delibera della giunta Marino del dicembre 2014 non aveva valenza urbanistica e non costituiva alcun diritto edificatorio sull’area diverso da quello contenuto nel Piano regolatore vigente approvato da Veltroni nel febbraio 2008. Inoltre, a quel momento non era ancora stata avviata la conferenza dei servizi in Regione e per altro il Comune doveva ancora valutare la nuova documentazione consegnata per sanare le carenze denunciate nel luglio del 2015 e richiamate dalla lettera della Regione Lazio il 5 agosto del 2015. C’erano tutti i margini e le condizioni per un ripensamento. anche radicale”.
E invece?
“La giunta Raggi, con la firma dell’assessore all’urbanistica, invia il 30 agosto 2016 (a due mesi dall’insediamento) alla Regione Lazio la documentazione del progetto senza che sia stata accertata la conformità alle “necessarie condizioni” per la dichiarazione di pubblica utilità prescritte dalla delibera Marino, la 132/2014. Si tratta di una mancanza grave (La Regione ne sottolinea con una nota l’assenza) perché un conto è la carenza di documentazione, di relazioni o di alcuni elaborati, decisamente diverso è incardinare una conferenza dei servizi su un progetto che potrebbe essere in contrasto con le condizioni fissate per la dichiarazione di pubblica utilità. Già allora da parte di Roma Capitale si ebbe una gestione quantomeno contraddittoria del progetto e dell’iter amministrativo e procedurale.
Sempre la giunta Raggi a firma dell’assessore all’urbanistica presenta il 16 settembre del 2016 una memoria nella quale vengono elencati tutti gli adempimenti nonché la cronologia per l’approvazione del progetto, compresa la variante urbanistica (prima data per il suo esame come da cronoprogramma il 14 novembre del 2016)”.
Nessuno di questi adempimenti verrà onorato.
La giunta Raggi anche all’inizio era quindi contraria al progetto?
“No, negli atti amministrativi predisposti e approvati no. Anzi, appena insediata aveva la possibilità di decidere diversamente ma scelse un comportamento contraddittorio: comunicare ai giornali la contrarietà e contemporaneamente dare seguito agli atti amministrativi per la sua approvazione incardinando il processo decisionale. Un comportamento contraddittorio che da quel momento in poi ha messo l’amministrazione pubblica in una condizione di debolezza. L’avvio della conferenza di servizi decisoria, il 3 novembre del 2016, e il suo svolgimento avviene nella totale incertezza di indicazioni da parte dei rappresentanti del Comune. I lavori si svolgono ma a volte l’esame tecnico, stante le incertezze di fondo, non appare minuzioso data anche la mole di elaborati e documenti presentati per le diverse parti dell’intervento. Così avviene anche per le valutazioni sui beni culturali, sul paesaggio. Un insieme di incertezze che sarà uno dei motivi per i quali si giungerà a un primo parere negativo sul progetto del 2015”.
E a proposito del parere negativo sulla delibera Marino, è vero che si prevedeva solo il prolungamento della Metro B che però non si poteva realizzare?
“No, non è vero. Nella delibera Marino era prescritto un livello di servizio alla stazione di Tor di Valledi 16 treni l’ora per assicurare il trasporto di circa 20 mila passeggeri. Livello che poteva essere soddisfatto “prioritariamente attraverso il prolungamento della Linea B della metro fino a Tor di Valle” con otto treni l’ora (uno ogni 7 minuti) e otto treni l’ora sulla Roma Lido, potenziata anche grazie all’intervento già previsto allora dalla Regione Lazio che è proprietaria della linea. Era il punto 1 dei 14 elencati nella delibera Marino che prevedeva anche che la decisione finale sarebbe stata presa nella conferenza dei servizi decisoria indetta dalla Regione che come detto era anche titolare della ferrovia Roma Lido e competente per gli eventuali investimenti”.
Si poteva quindi decidere di potenziare anche solo la Roma Lido?
“Si, prevedendo però 16 treni l’ora sulla Roma Lido, uno ogni 3,5 minuti. In questo caso il contributo a carico del privato per il prolungamento della Metro B, pari a 50,5 milioni, poteva essere spostato per contribuire agli investimenti della Regione sulla Roma Lido o ad altre opere di interesse generale o a una riduzione della cubatura; tutte prefigurazioni già previste sempre dal punto 1 della delibera: …minori costi determinati in sede di Conferenza di servizi decisoria, anche a seguito di apporti esterni alla realizzazione delle opere, comporteranno l’integrazione di opere indicate in sede di Conferenza di servizi decisoria ritenute di interesse generale o in alternativa in minore SUL discendente dalla variante ovvero il versamento all’Amministrazione Capitolina della somma equivalente”.
L’accordo del febbraio 2017 tra la Raggi e la As Roma, quello annunciato in piazza davanti ai tifosi, è il frutto dell’incertezza e di un certo pressapochismo con cui venne trattato un progetto complesso e diede il colpo di grazia alla procedura che era stata incardinata durante la giunta Marino. Da quel momento in poi i ruoli si ribaltarono, non c’è più un proponente e un’amministrazione che valuta la proposta, ma un privato che deve cambiare il progetto in virtù di un input politico dato direttamente dalla sindaca. Non si capisce ad esempio in base a quale delibera o atto si avviò una fase negoziale che stravolgerà l’atto votato dall’Assemblea Capitolina e che porterà a #unostadiofattobene concretizzatosi nel dare in pasto alla comunicazione solo la riduzione della cubatura”.
“E’ in queste condizioni di incertezza e di assenza di rigore procedurale che si inserisce il “rito romano” dei facilitatori e degli intermediari che hanno sempre contornato le vicende urbanistiche a Roma. Altro che rispetto delle regole. L’11 settembre 2016, riprendendo un articolo di Vezio de Lucia scrivevo: Sullo stadio “Il vostro parlare sia si si no no, il di più viene dal maligno”. E purtroppo, oggi lo possiamo dire, si è scelto il maligno”.