Marash Kumbulla: “Ripartiamo dai momenti belli e non dalle delusioni”
Marash Kumbulla ha rilasciato un’intervista a Il Messaggero nella quale ha trattato diversi temi. Di seguito le sue parole.
E così nonostante sia nato in Italia e sia cresciuto nel nostro paese, ha optato per giocare nella nazionale balcanica. Ci spiega questa scelta?
«Fin da quando avevo 15 anni, l’Albania mi ha sempre cercato. Ho iniziato con le loro giovanili, non ho mai avuto contatti con l’Italia fino a quando non ho debuttato in serie A. Quando si sono fatti avanti, era troppo tardi. Tra l’altro io mi sento albanese, ho voluto giocare con l’Albania, la mia famiglia e le mie radici sono li».
Lei è cresciuto a Peschiera, a 15 chilometri c’è Desenzano che ha accolto invece il campione olimpico Jacobs. Avete avuto mai modo d’incontrarvi e conoscervi?
«Sì, ma la curiosità è che lo abbiamo fatto a Roma. Strano, vero?»
La vittoria della Conference a Tirana rappresenta l’apice della sua esperienza alla Roma?
«Certamente, per me è stato il primo trofeo in carriera. Vincerlo nel mio paese è stato ancora più bello».
Tirana, una gioia. Budapest, invece? Una ferita?
«Sì, è stata una gara maledetta. Tanta sfortuna, episodi che non hanno girato dalla nostra parte, altre cose che non sono andate bene. Ora dobbiamo ripartire, ma se dobbiamo farlo, ripartiamo da Tirana, dai momenti belli, non dalle delusioni».
Suo padre venne in Italia 25 anni fa, cercando e trovando un futuro migliore per lei e la sua famiglia. Pochi giorni fa, il Premier albanese Rama ha ironizzato sul fatto che il suo paese sia divenuto meta preferita degli italiani che fuggono dal caro vacanze, mettendo a confronto l’esodo dei migranti con il controesodo dei turisti. Da albanese che effetto le fa?
«Questa cosa la noto da almeno 5-6 anni. Il caro prezzi ha fatto sì che molti italiani abbiano scelto il mio paese come meta turistica. E fanno bene, perché a livello di mare e bellezze paesaggistiche, non abbiamo nulla da invidiare a nessuno. Con l’aggiunta che i prezzi sono ragionevoli».
Negli anni in Italia ha avuto la percezione di pregiudizi nei suoi confronti?
«Fortunatamente no. Ho sempre avuto molti amici, a scuola, sui campi di calcio. Io poi parlo per me, magari a qualche mio connazionale è accaduto».
Tornando al calcio, dopo l’ottima annata a Verona, la sua ascesa si è un po’ frenata.
«Non sono stato fortunatissimo, come conferma quest’ultimo infortunio. Ho avuto delle difficoltà ma grazie a queste sono migliorato e mi hanno reso più forte caratterialmente».
Lo scorso anno in pochi giorni è passato dal gol alla Real Sociedad al ko al crociato.
«Proprio nel momento in cui potevo dare una mano alla squadra, con Mourinho che mi stava dando fiducia… Non ci posso pensare».
Quando pensa di rientrare?
«Il mio augurio è essere a disposizione prima di Natale».
In questo periodo difficile chi le è stato più vicino a Trigoria?
«I ragazzi sono tutti stati eccezionali. Due giorni dopo che mi ero operato mi aiutavano a infilare scarpe e calzini. Se proprio devo fare dei nomi posso indicare Spinazzola, Karsdorp e Bove».
Da queste amichevoli, si nota come la Roma stia puntando sulla costruzione dal basso. Trasformazione che può agevolarla?
«È positivo, ci avevamo lavorato anche lo scorso anno ma giocando ogni tre giorni non era possibile più di tanto puntarci. E un cambiamento che può giovarmi».
Ma lei è migliorato con il piede mancino?
«Ancora con questa storia? (ride) Lo dissi ai tempi di Verona, mi auguro di sì. Anzi per forza, altrimenti non sarei alla Roma. Tra l’altro nei tre dietro preferisco essere il terzo di sinistra perché mi permette di giocare con meno pressioni e spingermi un po’ di più in avanti».
A proposito del passato, un paio di anni fa disse che l’avversario più difficile da marcare era Dybala. Rimasto dello stesso avviso ora che la Joya è a Trigoria?
«Certamente, Paulo è unico, imprevedibile. Pensi di iniziare a conoscerlo, allenandoti quotidianamente con lui. Eppure riesce sempre a stupirti. Ti nasconde la palla, è semplicemente di un altro livello».
Lei è cresciuto con il modello Chiellini. Adesso se invece dovesse indicare un difensore al quale ispirarsi?
«Ruben Dias del Manchester City. Ha personalità, tempismo e cattive ria, quello che serve nel ruolo».
Juric a Verona l’ha plasmata, Mourinho invece?
«Mi ha rinforzato a livello caratteriale e agonistico». Tre aggettivi per lo Special? «Deciso, aggressivo e carismatico».
Da un mese è diventato papà di Matilde. La paternità l’ha cambiata?
«Sicuramente, dormo meno (sorride). A parte gli scherzi, diventata il mio pensiero fisso».
La partita che vorrebbe rigiocare?
«Roma-Milan, quando mi sono rotto il crociato. Tornando indietro eviterei il contrasto con Giroud. Che sfortuna! Io correvo all’indietro, lui stava cadendo in avanti. Era impossibile evitarlo».
Dei nuovi chi l’ha colpita maggiormente?
«Aouar. È un giocatore molto tecnico, penso che ci darà una grossa mano. E poi Ndicka, ci ho parlato l’altro giorno. Sta meglio fisicamente e se sta bene è un grande giocatore».
Che ne pensa dei suoi colleghi che decidono di andare a giocare in Arabia?
«Fa un po’ impressione vedere qualche calciatore di livello lì. Soprattutto quelli più giovani. Magari però giocano un paio di anni e poi tornano…»
Il calcio albanese è in ascesa. Lei, Bajrami, Broja, Uzuni, Asslani. Da cosa è dovuto?
«Dipende dalle nuove generazioni che pur albanesi sono nate e cresciute altrove. E questo mix aiuta a migliorare»
Prima di lei, c’era stato soltanto un albanese nella Roma: Naim Krieziu, soprannominato la freccia di Tirana. Un’ala destra che vinse lo scudetto nel 41-42. Buon viatico, non crede?
«Certamente. Ma anche io ho vinto un trofeo, la Conference. Noi albanesi siamo dei talismani, quindi. Lo scudetto? Sarebbe un sogno».
Il Messaggero