Slavia Praga-Roma: male, male, male

INSIDEROMA.COM - FEDERICO FALVO - Ieri sera la Roma è uscita sconfitta dall'Eden Arena di Praga. Una brutta partita da parte dei giallorossi, anzi, bruttissima.

UN RING - Il primo tempo sembra più un incontro di boxe che una partita di calcio. I giocatori dello Slavia partono forte ed entrano duro su ogni contrasto. Ovviamente l'obiettivo non era quello di fare male all'avversario, ma di mettergli paura; fargli capire che loro vogliono vincere e sono pronti a tutto per ottenre il successo. Velocità, aggressività e pressione su ogni portatore di palla mettono in luce il desiderio dello Slavia Praga. Un desiderio a cui la Roma non riesce a porre un freno, vedendosi chiudere tutte le linee di passaggio e trovando una marcatura afissiante sui migliori giocatori. Lukaku, meticolosamente controllato dai difensori cechi, non riesce ad incidere come vorrebbe e per i primi 27 minuti non risultano serie minacce al portiere Mandous. Anzi, è lo Slavia a sfiorare il vantaggio al 27' con un sinistro forte ma alto di Chytil dopo un controllo fortunoso in area di rigore giallorossa. I nervi sono tesi in casa Roma, con Bove e Paredes che ricevono il giallo il primo per un fallo ed il secondo per potreste.

IL CROLLO - Nella ripresa Foti, che siede in panchina al posto dello squalificato Mourinho, sostituisce un quasi assente Aouar con Cristante. Una mossa che dovrebbe dare maggior filtro a centrocampo, ma non è così. Si susseguono lanci lunghi inconcludenti che non fanno altro che creare spaccatura tra i reparti. Lo Slavia, invece, ha le idee chiare e le mette in atto al 50' quando Jurecka si avventa sul pallone come un rapace e lo insacca alle spalle di Svilar dopo una deviazione di N'Dicka. Una carambola, ma che non fa altro che tradurre sul tabellone la voglia dello Slavia. Una voglia che la Roma sembra riacquistare dopo lo svataggio, con il primo vero tiro in porta (52'), un diagonale di Belotti neutralizzato da Mandous. Ma è un raggio di sole isolato tra le nubi che preannunciano tempesta. Lo Slavia attacca ancora e solo Svilar evita il gol al 67' su un tiro dalla distanza di Provod. Ma il secondo gol del padroni di casa arriva al 74' con Masopust che dalla distanza trova l'angolo basso di destra e batte Svilar. Nemmeno gli ingressi di Dybala e Sanches danno la spinta alla Roma, che prova timidi attacchi alla porta difesa da Mandous ma senza risultato.

TUTTO BRUTTO - La Roma perde, viene raggiunta dallo Slavia Praga in vetta alla classifica del raggruppamento e dovrà dare tutto nelle due partite che rimanngono per riprendersi il primo posto. Gli scontri diretti sono pari, si dovrà puntare tutto sulla differenza reti e sperare che lo Slavia commetta un passo falso contro Sheriff o Servette. Ma soprattutto la Roma dovrà fare il suo e non riproporre prestazioni come quella di ieri sera. Lo stesso Mourinho ha criticato duramente la sua squadra: "Abbiamo giocato malissimo. Non ha funzionato niente. Dal punto di vista individuale pochissimi hanno avuto l’atteggiamento giusto e corretto di professionalità come mi piace, tanti non hanno avuto un atteggiamento corretto per una partita seria, con obiettivi". E l'obiettivo era chiaro, vincere o come minimo pareggiare, per mantenere le distanze sullo Slavia e garantirsi il primo posto del girone. Vincere per poter approcciare alle ultime due partite operando un pò di turnover e concentrarsi maggiormente sul campionato.

Ma non è stato così. La Roma ha perso, sia la partita che la vetta solitaria del girone. Ha perso male e deve assolutamente ritrovare la concentrazione e l'atteggiamento giusti. Deve farlo in fretta, perchè domenica sarà ora di Derby.

a cura di Federico Falvo


Roma-Lecce: la paura e l'estasi

INSIDEROMA.COM – FEDERICO FALVO – La Roma ha vinto ieri sera, in rimonta e nei minuti di recupero. Una vittoria che, per certi versi, ha ricordato il 3-2 in casa contro il Torino nel 2016; quando Totti in tre minuti segnò la doppietta che regalò il successo ai giallorossi. Ieri, come nel 2016, è successo tutto in tre minuti, con l’Olimpico in delirio per quella che sembrava, ormai, una sconfitta.

IL MURO FALCONE – Il primo tempo della partita si potrebbe riassumere con un solo cognome: Falcone. Il portiere del Lecce, romano e romanista, quando gioca contro la sua squadra del cuore si esalta e nel primo tempo tiene in piedi i salentini. Già al terzo minuto, quando Baschirotto tocca di mano e l’arbitro assegna il rigore dopo la revisione al VAR, si capisce che Falcone è in giornata. Rigore per la Roma, sul dischetto va Lukaku e non Dybala che, come spiegherà Mourinho in conferenza stampa, sentiva dolore nel calciare forte da fermo. Il numero 90 della Roma prende la rincorsa e prova a piazzare la sfera sulla destra di Falcone, che intuisce e neutralizza. Risultato fermo sullo 0-0 e primo rigore sbagliato in Italia da Lukaku. Ma la Roma non si demoralizza e ci prova, vuole il vantaggio. Ma sempre è sempre Falcone a dire di no: dapprima con una parata spettacolare su El Shaarawy andando a togliere la sfera dall’angolo basso e successivamente mettendo le dita su una conclusione di Bove. Ci prova anche Dybala, con un sombrero e successivo sinistro al volo, ma la palla esce di poco a lato.

LA PAURA E L’ESTASI – Nel secondo tempo si vede anche il Lecce, che prova a impensierire la Roma ma con scarsi risultati. I tiri dei salentini vengono schermati bene dalla difesa giallorossa o trovano un attento Rui Patricio tra i pali. La Roma risponde colpo su colpo, ma è imprecisa sotto porta, sprecando quanto di buono costruito. Non spreca, invece, Almqvist che al 72’ porta in vantaggio gli ospiti grazie ad un tiro preciso nell’angolo basso su suggerimento di Banda. Mourinho mette mano alla panchina inserendo Azmoun e Belotti per rinforzare il reparto offensivo e Zalewski e Kristensen per dare freschezza sulle fasce. Una mossa che paga, ma solo nel finale, quando il Lecce è sulle gambe e costretto a chiudersi per difendere il risultato. Ma questa Roma ci ha insegnato che è proprio nel finale che si esalta, soprattutto in casa dove il suo pubblico incita e canta senza sosta. Un connubio tra campo e spalti unico, un qualcosa che lo stesso Mourinho ha ammesso di non aver mai visto in nessuna delle squadre da lui allenate; e non erano squadrette. Una fusione che ha dato carica ai ragazzi in campo, abili a ribaltare la partita in tre minuti, come fece Totti contro il Torino. Questa volta non c’è il numero 10 in campo, ma c’è comunque un ragazzo di Roma che al 91’ dalla sinistra mette in mezzo e trova Sardar Azmoun. L’iraniano, con un terzo tempo più da giocatore di basket che da calciatore, incorna di testa e mette la palla alle spalle di Falcone che nemmeno ci prova ad arrivare sulla sfera. L’Olimpico esplode, la squadra corre verso il centrocampo convinta che si può fare un altro gol. E la rete arriva, al 94’, quando Dybala scappa per vie centrali e serve Lukaku; il belga controlla e cadendo trova il sinistro vincente che si infila sotto l’angolo alto di destra. L’Olimpico implode, la gente impazzisce, chi è andato via prima amareggiato esulta di gioia ma allo stesso tempo si mangia le mani per non essere stato presente. La Roma vince, alla fine, ma vince.

ESPERIENZA – Una vittoria in “zona Cesarini” a cui ormai la Roma ci ha abituato. Da quando Mourinho allena i giallorossi sono 14 le partite, tra campionato e coppe, in cui si è vinto o pareggiato nei minuti di recupero. Sono 28 i punti conquistati nel finale, non una casualità, ma una vera e propria forza di questa squadra. Come canta Marco Conidi, “mai sola mai”; ma con queste statistiche si potrebbe benissimo cantare “mai morta mai”.

Perché la Roma ci prova sempre, se è in giornata non molla mai, ci crede e lotta. E questa settimana si dovrà lottare ancora più forte, perché giovedì c’è una qualificazione in Europa League da poter ottenere con largo anticipo. Ma ancora di più si dovrà lottare domenica prossima, nel Derby, dove serviranno le urla di incitamento di tutti i romanisti. Dove servirà una Roma cattiva, sul piano agonistico, e desiderosa di non farsi mettere i bastoni tra le ruote in questo suo cammino. Una partita dove le emozioni e le ansie saranno già altissime perché, sembrerà banale dirlo ma è la verità, il Derby non è mai una partita come le altre.

a cura di Federico Falvo


La Roma al Meazza in stile Maginot, ma la storia si ripete sempre

INSIDEROMA.COM – FEDERICO FALVO – La Roma esce dal Meazza con una sconfitta di misura, ma pur sempre una sconfitta. Mourinho, che deve fare a meno di cinque giocatori di cui quattro titolari, schiera la Roma in modo tale da limitare i danni. Una scelta che può far storcere il naso, ma per stessa ammissione dei giocatori la partita è stata preparata così.

ZERO TIRI – Il primo tempo è solo nerazzurro. Gioca solo l’Inter ed attaccano solo loro. La Roma non entra mai nell’area di rigore degli avversari, chiudendosi in difesa quasi fosse la Linea Maginot. Inizialmente questa strategia paga, grazie anche ad un pò di fortuna; infatti il tiro dalla distanza di Chalanoglu sbatte contro la traversa. Nei primi 45 minuti è Llorente l’unico giallorosso a meritare un voto alto, abile nel chiudere su tutte le palle alte e metterci il corpo sui tiri. Sulla destra il duo Kristensen-Mancini fa quello che può contro Dimarco, mentre a sinistra il dislivello tecnico tra Dumfries e Zalewski è troppo ampio, con l’esterno giallorosso che fa molta fatica anche solo a reggere il passo dell’olandese. Fa bene anche Rui Patricio, che viene bersagliato continuamente e riesce e metterci sempre una "pezza". Tante le conclusioni deviate in corner sia da lui che dai compagni, con Lukaku che si vede solo in questi frangenti quando di testa libera l’area.

LA RESA – Nella ripresa lo spartito è sempre lo stesso e la musica non cambia. Inter arrembante e la Roma che mantiene la Linea Maginot. Finalmente al 67’ si vede la prima conclusione giallorossa, un colpo di testa di Cristante su cui Sommer si allunga e mette in corner. La strategia di Mourinho, difendersi e colpire alla prima occasione, stava quasi per pagare. Ma alla fine, passa l’Inter, che riesce ad aggirare la difesa della Roma. Esattamente come successe alla Linea Maginot nella Seconda Guerra Mondiale, quando i tedeschi dopo diversi giorni aggirarono le difese francesi per entrare in territorio nemico e portare la Francia alla resa. Così ieri, con Asslani che lancia lungo per Dimarco per aggirare la linea giallorossa; l’esterno nerazzurro stoppa bene e mette un cross basso in area dove Thuram, per lucidità, brucia in fin qui attentissimo Llorente e deposita in rete da sotto misura. 1-0 Inter all’81’ e Roma sotto con la piccola complicità di Rui Patricio, che qualora fosse uscito dalla porta avrebbe potuto smanacciare la sfera ed evitare a Thuram di spingerla in rete. Un’ipotesi, una speranza, ma che non si è verificata. Nel finale l’Inter colpisce un altro legno con Carlos Augusto.

INERMI – Una Roma passiva quella vista ieri al Meazza. Una squadra che ha pensato solo a limitare i danni ed in parte ci è riuscita, perché il passivo avrebbe potuto essere molto più ampio. Ma allo stesso tempo è stata una Roma che ha rinunciato a giocare, o a provare di giocare. Inerme. La rabbia è per questa mancanza di voglia di giocarsi la partita, anche se sulla carta e con i giocatori a disposizione non sarebbe finita diversamente. Ma non è pensabile che la Roma non sia in grado di affrontare un avversario anche se a ranghi ridotti; soprattutto se la storia recente dell’Inter in casa ci ha detto che al Meazza prima il Sassuolo e poi il Bologna sono riusciti a fare punti (i neroverdi vincendo e i rossoblu pareggiando). Ed il tifoso, che ama questi colori e vorrebbe vedere la Roma sempre lottare, non può immaginare che Sassuolo e Bologna (con tutto il rispetto per le rose ed i loro allenatori) abbiano qualcosa in più rispetto alla loro squadra.

Ieri sera è mancata l’organizzazione, è mancata la Roma. Che tutti noi ci auguriamo si possa rivedere in campo già domenica contro il Lecce, per conquistare i tre punti e rimettersi in carreggiata. Domenica non ci saranno gli alibi dei giorni in meno di riposo o dei fischi contro Lukaku. Quelli lasciamoceli alle spalle, ripartiamo dal coro dei tifosi lanciato ieri sera al 90’: “noi non ti lasceremo mai”. Perché la realtà è questa, la Roma si sostiene sempre, sia nel bene che nel male; ma bisogna ripartire per evitare che i fischi arrivino da gli stessi tifosi che ti sostengono. Perché quei fischi, rispetto a quello del Meazza, fanno ancora più male.

a cura di Federico Falvo


La Roma archivia lo Slavia Praga in 17 minuti. Ora testa all'Inter

INSIDEROMA.COM - FEDERICO FALVO - Bastano 17 minuti alla Roma per chiudere la pratica Slavia Praga e prendersi la testa del girone.

FIAMMATE - La partita della Roma inizia subito con il vantaggio firmato da Bove. Bastano 45 secondi al centrocampista giallorosso per ricevere palla, non trovare opposizione ed avnzare fino al limite dell'area: destro potente ma preciso e palla in rete. 1-0, Roma subito davanti e Bove che si porta a casa la rete più veloce della Roma in Europa League. Un primo tempo giocato ad alta intensità dai giallorossi, che pressano molto lo Slavia, squadra abituata a giocare costruendo dal basso. Dunque la scelta di mettergli pressione paga, con i cechi costretti ad affrettare la manovra e puntare spesso sui lanci lunghi ben schermati dalla difesa giallorossa. Il ritorno di Llorente al centro del terzetto difensivo da più qualità alla Roma, che sfrutta la corsia sinistra con N'Dicka e l'estreo di El Shaarawy per colpire. L'ivoriano, meno "regista" di quanto fatto vedere col Monza, gioca bene e tiene botta contro gli avversari; a volte perdendo la prima marcatura ma recuperando. El Shaarawy è ispirato e lo si vede anche al 17', quando imbecca Lukaku e o mette davanti la porta, con il belga che scarica un mancino di rabbia sotto la traversa per il 2-0. La Roma adesso può stare più tranquilla, ma non sempre è un bene. Infatti lo Slavia prende un pò di campo e prova ad accorciare, con Svilar che si allunga e devia in corner un tiro avversario. Il centrocampo gestisce bene ma non da una prova di altissimo livello, con Bove che subisce anche un colpo e stringe i denti. Li davanti, invece, le idee ci sono ma un pò confuse e portano a passaggi sbagliati proprio sul finale. Palle troppo lunghe o troppo imprecise per i compagni che non possono rendere il parziale ancora più tondo.

ADAGIO - Nella ripresa Bove lascia il campo a Paredes, che dovrebbe dare maggiori geometrie ma non vi riesce a pieno. Principalemente la Roma controlla la partita per evitare situazioni sgradevoli e prova a colpire quando vi si presenta l'occasione. Ci riprova con Lukaku, ma il suo tiro esce di pochissimo alla sinistra del palo. Anche El Shaarawy vuole scrivere il suo nome al tabellino dei marcatori, ma il suo tiro di prima ed a giro viene fermato dalla traversa. Inizia la girandola di cambi, con Karsdorp e Belotti che prendono il posto di El Shaarawy e Zalewski. Cambia molto anche lo Slavia, che prova a sfruttare il calo energetico della Roma per recuperare ma si scontra contro una difesa arcigna e contro uno Svilar non molto impegnato ma attento. Solo una volta si lascia andare ad un eccesso di fiducia, uscendo fino a fuori area per spazzare un pallone e rischiando la figuraccia, evitata solo grazie ad un rimpallo favorevole. Nel finale entra anche Pagano e fa il suo esordio in giallorosso Cherubini.

CONTROLLO - Una Roma che ha controllato la partita, che ha fatto il suo senza eccedere e che si porta a casa la vittoria contro la rivale diretta del raggruppamento. Primo posto nel girone a punteggio pieno e primo vero mattoncino per qualificarsi direttamente agli ottavi di finale.

Una partita tranquilla ed una vittoria importantissima. Una Roma che fa il suo provando a non esaurire tutte le energie a disposizione. Perche si, ieri era determinante vincere ma il girone non è poi così impossibile. Invece domenica ci sarà una partita quasi impossibile, vista la qualità dell'Inter a livello di rosa e di tecnica individuale, ma sarà determinante dare tutto e non risparmiarsi mai. La Roma darà fiato a tutte le sue energie per fare bene a San Siro, lasciando che siano altri a dare fiato alla bocca per parlare di vicende di cui non conoscono la verità o a soffiare dentro 30 mila fischietti. L'unico fischio che dovrà interessarci sarà quello d'inizio dato dal signor Maresca. Poi la testa e la concentrazione saranno tutti sul campo.

a cura di Federico Falvo


Roma-Monza: fatica, tensione e liberazione

INSIDEROMA.COM – FEDERICO FALVO – Ieri, nel primo pomeriggio, la Roma ha vinto contro il Monza. Una vittoria importantissima ma arrivata solo nel finale e con molta fatica, contro una squadra in dieci uomini per tutto il secondo tempo.

DIFFICOLTÀ – La prima frazione di gioco ha visto le due squadre attente dal punto di vista tattico ed in cerca di spazi per colpire. Bisogna ammettere che il Monza ha agito meglio rispetto alla Roma, chiudendo Paredes con la marcatura fissa di Colpani per limitare il regista giallorosso. Una mossa che ha pagato, poiché la Roma è stata costretta ad appoggiarsi su N’Dicka per impostare la manovra. Il difensore ha retto bene il peso dell’investitura, mantenendo la calma e non prendendo fretta nelle decisioni, grazie anche alla marcatura quasi nulla su di lui da parte dei brianzoli. In virtù di ciò la Roma ha iniziato a costruire gioco sulla sinistra, con N’Dicka che il più delle volte si appoggiava su Spinazzola che poi andava in profondità cercando il cross in area. Ma anche il Monza ha avuto libertà di manovra, tenendo palla per diversi minuti consecutivi e non ricevendo un pressing asfissiante da parte degli uomini di Mourinho. Le occasioni, in questo primo tempo, sono state poche; con la Roma che si è resa pericolosa per due volte con Aouar e Belotti ma trovando l’opposizione di Di Gregorio; autoritario e sempre pronto tra i pali. Nel finale di tempo il Monza rimane in dieci uomini per l’espulsione di D’Ambrosio, un doppio giallo per due falli entrambi su Belotti. Il primo, una scivolata da dietro al limite dell’area è netto; il secondo, un contrasto sempre da dietro sulla metà campo, è si fallo ma rimangono dei dubbi sul giallo poiché l’intervento è si duro ma non cattivo. Ma l’arbitro ha optato per la sensazione e la conseguente espulsione. Monza in dieci e la panchina di Palladino si trasferisce dal quarto uomo per protestare.

FATICA – Nel secondo tempo la Roma, grazie anche all’uomo in più, ritrova Paredes libero di agire e si riassesta per segnare e passare in vantaggio. Ma non è un compito facile, perché il Monza non si arrende e da molto filo da torcere ai giallorossi. Gli ingressi di El Shaarawy ed Azmoun danno più spinta offensiva alla Roma che però si sbilancia, crea distacco tra i reparti e apre il fianco alle ripartenze brianzole. Il Monza, infatti, con l’ingresso di Birindelli e Vignato cambia passo e si rende pericolosa in due occasioni; con Rui Patricio bravo a respingere le offensive biancorosse e mantenere la porta inviolata. La partita, tranne qualche fiammata, è molto “ferma” e aizza gli animi. Il Monza, ovviamente e con mestiere, sfrutta ogni occasione possibile per congelare il gioco. Ogni rinvio dal fondo viene eseguito da Di Gregorio con una calma maniacale. Ogni contrasto è l’occasione giusta per rimanere qualche secondo di più per terra. I giallorossi protestano con il direttore di gara che comunica di far recuperare tutto, ma di fatto non sanziona i brianzoli se non il solo Machin che in occasione della sostituzione esce dal campo a ritmo di passeggiata defaticante. In più, oltre al nervosismo, ci si mette anche la sfortuna; con Lukaku ed Azmoun che colpiscono i legni della porta difesa da Di Gregorio. La palla sembra non voler entrare, quei 2,44 metri di altezza per 7,32 metri di larghezza sembrano stregati. Ma alla fine (al 90’ Minuto), dopo tanta fatica, arriva la magia che libera gli urli di tutti i presenti allo stadio. Zalewski dalla sinistra crossa in area ma il suo suggerimento è troppo alto e lungo, per quasi tutti però, perché Kristensen dall’out di destra rimette in mezzo di testa per El Shaarawy che nel tentativo di prolungare la sfera la sfiora soltanto; la palla rallenta e viene raccolta da Azmoun che stoppa e tira trovando l’opposizione della difesa ospite, ma la respinta è corta e rimane a disposizione del faraone che di destro al volo scarica in rete. Un tiro forte, pieno di rabbia per la partita che non si sblocca ma soprattutto pieno di tutte quelle voci e quelle cattiverie che gli sono state sputate addosso nell’ultima settimana. Ma alla fine della sua corsa, quando la palla incontra la rete, ci si lascia andare alla gioia. L’Olimpico esplode in un urlo liberatorio, El Shaarawy corre verso la Sud per festeggiare con la sua gente, circondato dai compagni che lo hanno sostenuto e continueranno a farlo. Anche il faraone si libera, esplode in un pianto che ha il sapore della fatica provata dopo le accuse infondate, della rabbia di essere stato accostato ad un qualcosa che non ha mai fatto. Lacrime di gioia e di amore verso questo sport, il calcio, che alla fine gli ha ridato indietro tutto il rispetto che merita.

LIBERAZIONE – Un pianto, la cui colonna sonora solo le urla di gioia di tutto lo stadio, che libera tutti dal peso di una partita che non voleva sbloccarsi. Si libera anche Mourinho, che nel finale (verranno dati otto minuti di recupero) viene espulso dopo essersi rivolto alla panchina del Monza facendo il gesto prima delle lacrime e poi del silenzio. Un gesto liberatorio, arrivato dopo una partita in cui Palladino ed i suoi hanno protestato platealmente. Un gesto che vuole “vendicare” quanto successo scorsa stagione dopo Monza-Roma, quando lo stesso Palladino aveva criticato Mourinho e la panchina della Roma per le stesse cose che ieri ha fatto lui con i suoi. Un gesto che costerà la presenza dello Special One a San Siro ma che, ne siamo sicuri, il portoghese aveva in serbo da diverso tempo. Un macigno, che Mourinho si è tolto dalla scarpa, anche se poi in conferenza stampa ha parlato bene del Monza che merita davvero tutti gli elogi del caso. Ha speso parole buone anche per Palladino, dicendo di ammirarlo per come allena e mette in campo i suoi, ma il ricordo delle parole di stagione scorsa è ancora vivo; con Mourinho che lascia la conferenza stampa da una porta di servizio per non dover incrociare il collega in arrivo in sala per parlare alla stampa.

Ma alla fine, ciò che conta davvero, è la vittoria. Rimangono i tre punti che avvicinano la Roma alle posizioni di vertice della classica, a tre distanze dal quarto posto. Rimane il pianto di El Shaarawy, un ragazzo ferito ma con la forza di rialzarsi e rispondere con i fatti, un uomo rispettoso ed educato che ha dato tutto per la Roma e siamo certi che avrà ancora tanto da dare. Una persona che alla Roma siamo onorati di avere.

a cura di Federico Falvo


Una Roma a due facce doma il Servette

INSIDEROMA.COM - FEDERICO FALVO - La Roma, ieri sera, ha ottenuto il suo secondo successo consecutivo in Europa League. Dopo lo Sheriff Tiraspol anche il Servette è caduto sotto i "colpi" dei giallorossi, ora primi a sei punti insieme allo Slavia Praga con cui si giocheranno il primato assoluto per la testa del raggruppamento.

IL PRIMO TEMPO - Ma tornaimo al campo, con la Roma che è scesa in campo con il solito 3-5-2. Svilar in porta al posto di Rui Patricio. Solito ed obbligato terzetto difensivo con Mancini, N'Dicka e Cristante riadattato a causa delle molte assenze nel reparto. Si rivede Celik nei cinque di centrocampo, con El Shaarawy che torna titolare occupando la fascia opposta rispetto al turco. Al centro conferme per Bove e Paredes mentre Aouar gioca titolare per mettere minuti nelle gambe. Coppia d'attacco Belotti e Lukaku.
Pronti via ed è subito il Servette a sfiorare il vantaggio con Bedia, che sfrutta un'incomprensione tra Cristante e Mancini e prova di sinistro a piazzare sul secondo palo; ma la palla esce di poco. Dopo il brivido freddo la partita si blocca, con pochissimi spunti e squadre abbastanza statiche. Il Servette pressa bene e prova a riconquistare il pallone ma le maggiori qualità dei giallorossi fanno si che la palla resti in possesso. Un possesso sterile però, che non porta a grossi pericoli fino al 22', quando Belotti riconquista palla e si invola sulla fascia, vede Celik in sovrapposizione e lo serve intelligentemente; il turco serve in area Lukaku che di destro calcia ad incrociare ma in modo sporco, con la palla che si alza e beffa Frick per l'1-0 giallorosso. Un vantaggio fortunoso ma frutto di una manovra ponderata, la prima finora. Una seconda azione manovrata porterà alla conclusione di El Shaarawy che chiuderà, di fatto, il primo tempo.
Un primo tempo poco brillante, con la Roma che è sembrata troppo sicura dei propri mezzi in confronto a quelli dell'avversario e per questo motivo quasi rinunciataria. Fortunatamente si chiude in vantaggio.

IL SECONDO TEMPO - Nella ripresa la Roma rientra in campo con Pellegrini al posto di Aouar. Il capitano si mette subito in mostra con un colpo di testa che libera Belotti, abile a creari lo spazio per colpire Frick in uscita ed insaccare il 2-0. Sei minuti più tardi arriverà il terzo gol, firmato proprio da Pellegrini con un piatto destro al volo sul secondo palo su ottimo cross di Celik.
Un impatto incredibile per Pellegrini, che dopo pochi minuti però sarà costretto a lasciare il campo per un problema al flessore dopo un contrasto con Mazikou. Al suo posto entrerà Pagano.
Ma la Roma, che in questo secondo tempo è entrata in campo con un atteggiamento completamente diverso, non si abbatte e trova persino la quarta rete ancora con Belotti, che di testa insacca sugli sviluppi di un corner.
Con il risultato al sicuro entrano anche Karsdorp e Zalewski per Mancini e Lukaku, farà il suo esordio anche D'Alessio che entrerà al posto di Bove.
Si abbassano anche i ritmi di gioco, con il Servette che prova a creare qualche pericolo per tornare a casa con almeno un gol, anche solo per l'orgolgio. La Roma si limita a difendere e contenere i danni.

VITTORIA IMPORTANTE - Una partita dalle due facce.
Primo tempo giocato a ritmo lento, con poco pressing e troppi leziosismi figli di una sicurezza evidente ma mai concretizzata. Molti gli errori, sia di appoggio che di controllo, così come sono stati diversi gli uno contro uno persi perchè si è cercato più lo spettacolo che l'incisività.
Il secondo tempo, per l'appunto più aggressivo ed incisivo, ha visto una Roma produttiva e concreta. L'ingresso di Pellegrini ha dato più dinamismo al centrocampo; anche se Aouar nei primi 45 minuti non aveva fatto male, cercando spesso lo spazio ma senza venire servito. Paredes, molto più libero di far viaggiare il pallone, ha costruito geometrie e spesso allargato il gioco dando respiro a zone troppe "intasate". Bene N'Dicka, anche se a volte sembra abbia paura di portare palla. Ottimo il rientro dal primo minuto di Celik, presente sia in fase difensiva che offensiva, servendo ben due assist. Una nota di merito a Svilar, che ieri sera non ha corso troppi pericoli ma è stato autoritario in area di rigore, uscendo bene sulle alte alte e sventando possibili pericoli.

In generale bene la Roma, che ha raggiunto il suo obiettivo: i tre punti. Ora la qualificazione passerà dalla doppia sfida contro lo Slavia Praga; che sancirà chi volerà al prossimo turno come primo del girone e chi, invece, dovrà affrontare il turno dei playoff contro le retrocesse dalla Champions League.

a cura di Federico Falvo


Meglio tardi che mai. La Roma cede Ibanez e si prepara all'assalto per la punta

Nella giornata in cui Mourinho si "confessa" sulle pagine del Corriere dello Sport, arriva la tanto attesa cessione che potrebbe sbloccare il mercato giallorosso.
Lo Special One, nell'intervista, non ha nascosto il suo disappunto per il mancato arrivo della punta, dichiarando come ormai sia già tardi.
Ma come si dice in questi casi, meglio tardi che mai.
Infatti solo oggi, 7 agosto, si è smosso qualcosa che possa dare la marcia giusta al mercato della Roma. Questo "qualcosa" sarebbe la cessione di Ibanez, che si è lasciato convincere dall'Al-Ahli a vestire la loro maglia. Una corte, quella araba, che a suon di milioni ha silenziato le sirene inglesi di Aston Villa e Nottingham Forrest. Così Ibanez andrà in Arabia Saudita, con la Roma che dovrebbe incassare 28.5 milioni di parte fissa più bonus (per un totale poco superiore ai 30 milioni) ed il 10% sulla futura rivendita del giocatore.
Un tesoretto, che sommato a quello ricavato dalle cessioni degli ultimi esuberi (circa 6 milioni), potrebbe garantire alla Roma quanto basta per rinforzarsi li dove ne ha più bisogno: il reparto offensivo.
I primi passi da compiere saranno in direzione Brasile, per chiudere la trattativa realitva a Marcos Leonardo. Dopo un lungo tira e molla, la Roma oggi ha presentato un'ulteriore offerta di 12 milioni di parte fissa più 6 di bonus più il 10% sulla futura rivendita. Un'operazione che potrebbe sbloccarsi, sia perchè la Roma ha migliorato le richieste iniziali del Santos (11 milioni), sia perchè Marcos Leonardo (che avrebbe già un accordo con i giallorossi per 1.4 milioni annui) spinge per la partenza. Inoltre l'esonero del tecnico Paulo Turra e le dimissioni di Falcao (per ragioni extra calcio), potrebbero influire sulla scelta del Santos, che in campionato è invischiato nella lotta per non retrocedere.
Ma Marcos Leonardo non è l'unico obiettivo giallorosso. Questa "boccata d'aria" nelle casse della Roma potrebbe sbloccare l'approdo nella Capitale di Morata. Il giocatore, recentemente, aveva chiuso ad un suo possibile trasferimento alla Roma, ma senza chiudere del tutto la porta a Mourinho, che lo allenò già al Real Madrid. Ma se non dovesse arrivare Morata, sicuramente arriverà un altro attaccante di egual livello. Non dovrebbe trattarsi, però, di Arnautovic; che il Bologna ritiene incedibile salvo offerte faraoniche che la Roma non sembra propensa a fare per un giocatore di 34 anni spesso tormentato dagli infortuni.
Sul fronte centrocampo rimane da sciogliere il nodo legato a Renato Sanches, che dovrebbe approdare alla Roma in prestito con diritto di riscatto. Ma sempre dalla Francia c'è da temere per il futuro di Matic, cercato dal Rennes. Il giocatore però vorrebbe prima palrare con Mourinho e poi prendere una decisione sul suo futuro. Futuro che da Trigoria non mettono in dubbio, perchè per la Roma è un giocatore fondamentale.


Tutti contro Mou: ancora una squalifica. Dopo l'Uefa arriva la sanzione anche in Campionato

Dopo l'Uefa anche la FIGC si è espressa sulle parole di Josè Mourinho, squalificandolo per dieci giorni; ovvero due giornate di campionato.
L'inizio della vicenda risale allo scorso 3 maggio, dopo Monza-Roma, quando Mourinho al termine della partita si era espresso contro l'arbitro Chiffi: "Questo risultato si adatta al peggior arbitro che ho avuto in carriera e ne ho avuto tanti di scarsi. Io penso che l'arbitro non ha avuto grandi influenze sul risultato, ma è dura giocare con lui: tecnicamente orribile, dal punto di vista umano non è empatico, non crea rapporto con nessuno, dà un rosso a un giocatore (Celik) che scivola perché è stanco all'ultimo minuto. Doveva dare un rosso, va a casa frustrato perché non dà il rosso a me perché non gli ho dato l'opportunità. È un po' il limite di questa squadra: non abbiamo la forza che hanno altre società di dire 'questo arbitro non lo vogliamo', io ho finito di allenare a venti-trenta minuti dalla fine perché sapevo che altrimenti mi avrebbe espulso".
Non proprio delle parole al miele per lo Special One, non nuovo a dichiarazioni del genere. Anche in Europa, dopo la sfuriata contro Taylor nel parcheggio della Puskas Arena, sono arrivate quattro giornate di squalifica per il portoghese. Parole di "pancia", dette magari con la rabbia di una decisione arbitrare non data nonostante l'evidenza. Parole che forse si potevano evitare o, per lo meno, dire in maniera differente e con l'ausilio della società.

Ma quella contro Mourinho sembra una vera e propria crociata.
Anche lo scorso febbraio, dopo Cremonese-Roma, Mourinho fu squalificato per due giornate dopo essere stato espulso dal direttore di gara Piccinini. Un'espulsione richiesta dal quarto uomo Serra, che dopo un battibecco con l'allentatore della Roma ne avrebbe chiesto l'espulsione. Mourinho ha denunciato l'accaduto immediatamente dopo il termine della gara: "Il quarto uomo Serra gli ha detto di espellermi ma non è stato onesto e non ha detto cosa mi ha detto e come me l'ha detto: parole ingiustificabili. Ora voglio capire se posso fare qualcosa dal punto di vista legale. Mi ha parlato in modo ingiustificabile. A fine partita Piccinini mi ha visto entrare nello spogliatoio di Serra e dirgli: 'Voglio che tu sia onesto e che dici cosa è successo', ma lui ha problemi di memoria e non ricorda. Le sue parole? Preferisco non dirle. Se avesse detto all'arbitro cosa mi aveva detto, era lui che andava via: ma lui è bugiardo".
La Procura Federale, nonostante a Serra fosse contenstata la violazione dell'articolo 4 del codice di giustizia sportiva e deontologico dell'AIA, chiese di archiviare il tutto poichè non sussitevano le prove fondanti e certe contro Serra. La Procura Generale del Coni, però, si oppose e fece partire comunque il deferimento il 17 aprile; con due giorni di ritardo rispetto al termine ultimo. Motivo per cui non vi sono state ripercussioni su Serra, impunito. Mentre Mourinho scontò le due giornate di squalifica.

Squalifiche che, in altre occasioni, non vengono comminate o non vengono scontate correttamente.
Rimanendo in tema di allenatori che si espromono contro gli arbitri, vi sono delle dichiarazioni di Sarri contro Ghersini al termine di Lazio-Torino: "L'arbitraggio è stato discutibile e devo fare un applauso ai miei ragazzi che sono riusciti a non andare fuori di testa. con questo arbitraggio solitamente si finisce la partita in 9 o in 10. Il nervosismo c'è, siamo stati fortemente penalizzati. Se dovessi dire cosa non mi è piaciuto, non si potrebbe fare una puntata ma una serie tv completa. Ha fischiato falli di un tipo, tre minuti dopo ne ha fischiati di un altro tipo, non si è nemmeno accorto che loro volessero sostituire un giocatore. Per non parlare del fallo laterale battuto un metro dento al campo in occasione dell'azione che ha portato al gol. Spero che questo arbitro venga fermato, perché se non lo fermano è preoccupante". Dichiarazioni passate in sordina, con il tecnico biancoceleste che rimase impunito, al contrario di Mourinho che dovrà pagare le conseguenze delle sue parole.
Ma Sarri non è stato il solo biancoceleste a "farla franca". Capitò anche a Lulic nel dicembre 2016 dopo le frasi offensive (e razziste) contro l'allora difensore giallorosso Rudiger. Il giocatore biancoceleste fu squalificato per 20 giorni e multato per 10 mila euro, che scontò quasi interamente durante le vacanze natalizie e dunque saltò solamente il match alla ripresa contro il Crotone.
Andò meglio ad Andrea Pinamonti, attaccante del Sassuolo, che ad ottobre 2022 rivolse parole offensive contro l'incaricato all'antidoping. Circa un mese più tardi, e dopo il patteggiamento, arrivò la squalifica di 20 giorni. Una squalifica mai scontata, poichè il campionato era fermo causa Mondiali in Qatar. Dunque Pinamonti non saltò alcuna giornata di campionato e si continuò ad allenare regolarmente con il resto della squadra.

Tutto ciò, analizzando anche i casi del passato, suona come una beffa per i tifosi della Roma. Poichè sembra che si agisca in maniera diversa in base all'imputato e non in base al reato. C'è chi paga sempre ed anche in maniera pesante, mentre altri vengono puniti in maniera leggera o graziati.
Certo, il comportamento di Mourinho, per quanto sia parte del suo essere, non è sempre corretto. A volte potrebbe ridimensionare le sue parole, ma è anche vero che quando parla lo fa con un motivo ben preciso. Come è vero che a volte, portati all'esasperazione, tutti noi esseri umani possiamo perdere le staffe e lasciarci andare in parole che sarebbe stato meglio non dire.
E Mourinho, come essere umano, può sbagliare.
Pagherà per questo suo errore, come ha pagato in passato. Ma dovrebbe essere giusto che chiunque paghi, senza distinzione alcuna.

Alla prima di campionato Mourinho non ci sarà, così come gli squalificati Foti, Pellegrini e Dybala. Ma ci sarà la Roma, ci saranno i suoi tifosi, ci sarà tutta la sua gente. Pronta a lottare sul campo nel rispetto delle regole anche per il suo allenatore.

Federico Falvo


La Roma e la sua gente. Un legame d'amore dalla Capitale a Budapest

Il legame tra la Roma ed i suoi tifosi è paragonabile ad una storia d’amore.
Perché non si parla di semplice tifo, ma di una passione che nasce dal cuore e si espande per tutto il corpo. Come l’aorta o le arterie sistemiche che pompano sangue ossigenato e ricco di sostanze nutritive dal cuore in tutti gli organi, così è per l’amore verso la Roma. Una squadra che per il tifoso è ossigeno giornaliero o sostanza nutritiva; un amore pari a quello che si prova per la propria compagna o compagno di vita o per i figli (con le dovute proporzioni). La Roma è quel sentimento che o lo hai o non lo puoi capire, a prescindere dall’essere nato all’interno del Raccordo o in una regione diversa. E’ un legame indissolubile, che tra alti e bassi o che sia nel bene o nel male ti porti dietro tutta la vita.
Un filo conduttore anche tra la gioia ed il dolore, perché come tutti i sentimenti ti condiziona le giornate. Se la Roma vince sei felice e vivi il giorno successivo con positività ed il sorriso, ma se perde allora non ti vuoi nemmeno alzare dal letto. Il giorno prima della partita è quell’ansia che ti assale, perché tu la ami a prescindere, ma fino al 90’ non sai se quell’amore sarà pura gioia o come una litigata.
Ed in questi giorni, i pochi giorni che ci separano dalla finale di Budapest, solo tu sai con che sbalzi d’umore stai vivendo le giornate. A lavoro o nei momenti di svago, il pensiero va sempre la; e vivi queste giornate come se fossi sulle montagne russe, toccando picchi di positività per poi in un secondo crollare nel disfattismo.
Ma nonostante questo tu sei sempre convinto del tuo amore e di questo legame.

Un legame che la Roma, sportivamente parlando, sta stringendo anche con questi appuntamenti importanti. Perché dal 2018 a oggi sono quattro le semifinali europee disputate (una in Champions League, due in Europa League ed una in Conference League), con due finali conquistate ed un trofeo già alzato al cielo di Tirana. Due finali, consecutive, con la seconda che si disputerà mercoledì sera. Due trofei in palio, uno già custodito gelosamente a Trigoria ed un altro da conquistarsi in campo. Un legame con i grandi appuntamenti a cui non eravamo abituati, ma “ci stiamo facendo la bocca”; ben consapevoli che potrebbe essere l’ultimo ma anche il giusto prosieguo di una nuova pagina della storia giallorossa. Mettendo in conto che al triplice fischio si potrebbe gioire come rammaricarsi. Sapendo che il Siviglia, l’avversario della finale, è un osso duro e di questa coppa detiene il record di successi.

Il Siviglia, squadra che sul campo è stata affrontata solo una volta e proprio in Europa League, sul campo neutro di Duisburg nel 2020. Quel Siviglia che, in un ottavo di finale inedito giocato in gara unica causa pandemia, ti ha battuto 2-0. Ma è lo stesso Siviglia che segna la fine dell’era Pallotta e l’inizio della “dinastia” Friedkin, perché proprio quel 6 agosto 2020 a poche ore dall’inizio della gara fu firmato l’accordo preliminare con il quale la proprietà giallorossa sarebbe passata di mano. Una data che sancisce l’inizio di un nuovo legame, dapprima con i Friedkin e successivamente con Mourinho e con una nuova mentalità. Ma senza tralasciare il legame più importante, ovvero quello della squadra con la sua gente e la sua città; con quella storia che sportivamente nasce nel 1927, ma che è legata a stretto giro con la storia di Roma.

La storia di un impero che nel 206 a.c., sotto la guida di Scipione l’Africano, sconfisse i cartaginesi proprio alle porte di Siviglia. Al tempo si chiamava Hispalis, legata all’insediamento romano di Italica ed in seguito promossa a colonia dell’impero romano, che ne fece  una delle città più importanti della Spagna.
Un legame tra Roma e Siviglia che negli anni seguenti, tra avvento del cristianesimo ed invasione dei mori, si è affievolito; riproponendosi più avanti vari secoli dopo. Non vi erano più condottieri e legionari, ma giocatori o dirigenti; non si parlava di colonie ma di progetti. A volte si è commerciato come ai tempi di Hispalis, ma questa volta i trasferimenti riguardavano i giocatori. Perché tra Roma e Siviglia esiste anche un legame sportivo, in primis con la figura di Ramon Monchi, che è stato uno degli artefici dei successi andalusi e provò a fare lo stesso nella Capitale, ma senza riuscirvi per poi ritornare li dove tutto era cominciato (ovvero al Siviglia).
Ma tanti sono stati anche i giocatori che hanno vestito entrambe le maglie. Dai più noti Lamela, Fazio e Perotti passando per Keita, Kjaer e Julio Baptista. Senza dimenticare gli italiani Marco Andreolli e Morgan De Sanctis.

Un legame che al suo interno ha varie diramazioni, intrecci, ma che alla fine si ricongiunge sempre nello stesso punto. Perché la storia è il passato ma che a volte ritorna, gli intrecci di mercato o di vite passano alla storia (nel bene o nel male), le partite durano sempre 90’ ed il poi è un futuro tutto da scrivere e vivere.
Ma quello che rimane sempre, sia nel passato che nel futuro ma soprattutto oggi ed ancora di più mercoledì, è quel legame tra la gente e la Roma.

Tra il tifoso e la sua squadra del cuore.
Tra un innamorato ed il suo grande amore, che supera tutte le intemperie.

Perché nel bene o nel male è un legame che non si spezzerà mai.

a cura di Federico Falvo


Roma contro Lecce, una storia dolce-amara

INSIDEROMA.COM - FEDERICO FALVO - Non sempre le partite vanno come si pensa debbano andare, o come si spera.
Il calcio è uno sport bellissimo determinato da diversi fattori, non segue una linea retta e non rientra nella casistica di una scienza esatta. E' puro sport, sentimento, momento, emozione ed a volte anche tanta rabbia.

STORIA PASSATA - Come in quel lontano 20 aprile 1986. La Roma doveva vincere per continuare a reggere il passo della Juventus e giocarsi lo scudetto. Penultima giornata di campionato, all'Olimpico arriva il Lecce, alla sua prima esperienza in Serie A e già retrocesso. Una gara che sulla carta doveva essere già vinta dalla Roma, ma solo sulla carta. Perchè quella partita non va come tutti si aspettavano, o speravano. Apre le danze Graziani, dopo sette minuti, la gara sembra essersi messa in discesa; ma il Lecce reagisce e pareggia con Di Chiara al 34'. Non appagati, i salentini dilagano e prima della fine del primo tempo raddoppiano con Barbas su rigore. Ancora Barbas, nella ripresa, realizza la doppietta personale che costringe la Roma alla sconfitta, con Pruzzo che accorcia le distanze ma senza più speranze per conquistare almeno un punto. La Juventus, intanto, batte il Milan e si cuce sulle maglie lo scudetto.

STORIA RECENTE - Nel 2004, sempre contro il Lecce, succede ancora una volta quello che non ti aspetti. E' la stagione che a Roma viene ricordata come quella "dei quattro allenatori": Prandelli (dimessosi prima dell'inizio della stagione per problemi familiari), Voeller, Del Neri e Conti. Un anno che era inizato con una vittoria ed una sconfitta, ed alla terza giornata arriva all'Olimpico il Lecce. Questa volta passano in vantaggio "loro", con Cassetti. La Roma sul finire di primo tempo conquista un calcio di rigore grazie a Ledesma che atterra Cassano in area di rigore.
Sul dischetto va il capitano Totti, una garanzia dagli undici metri, un cecchino quasi infallibile, quasi, per l'appunto. Quel giorno, 22 settembre 2004, Totti decide di esibirsi nel suo cavallo di battaglia, il "cucchiaio". Stallo alla messicana con Sicignano, sguardo negli occhi, poi sul pallone e rincorsa...Totti calcia, Sicignano effettua un passetto in avanti, il pallone si alza, Sicignano decide di non lanciarsi nè a destra nè a sinistra. Rimane fermo, come tutto l'Olimpico che per pochi secondi trattiene il fiato, come se respirando si potesse influire sulla traiettoria del pallone. Col sennò di poi, sarebbe stato meglio soffiare su quel pallone. Perchè Sicignano non si muove, rimane fermo fino all'ultimo. Alza le braccia come se stesse effettuando lo stretching di inizio gara e blocca la sfera.
Totti non la prende bene e da una spinta all'estremo difensore dei salentini, che però non reagisce perchè sa che in quel momento è diventato l'unico ad aver parato un "cucchiaio" di Totti. Quella partita finirà 2-2, con Sicignano che prova anche a scambiare la maglietta con il capitano giallorosso, sbattendo però contro un secco "no" di un campione colpito nell'orgoglio.

Ma le partite contro il Lecce non fanno tornare alla mente solo ricordi brutti. E' vero, nel 2012 al Via del Mare si è perso 4-2, ma è solo la seconda vittoria del Lecce contro la Roma. Perchè su 33 sfide totali, la Roma ha portato a casa il bottino pieno in 23 occasioni.
Un esito che speriamo possa verificarsi anche domani, soprattutto se prendiamo la famosissima carta in mano e leggiamo che negli ultimi tre precedenti la Roma non ha mai perso contro il Lecce. O se andiamo a ritroso all'anno dell'ultimo scudetto, quando la Roma batte 4-0 il Lecce in trasferta.
Questa stagione non si lotta per lo scudetto, o meglio, lo scudetto della Roma quest'anno si chiama "qualificazione in Champions League", ed all'andata si è vinto 2-1 anche se con un pò di fatica.

Ma tutto questo è sulla carta, è storia, è un punto di vista ma non una verità assoluta. Perchè alla fine le partite non vanno come si pensa debbano andare, o come si spera; ed il calcio rimane uno sport bellissimo, determinato da diversi fattori.

a cura di Federico Falvo


Una serata con Zdenek Zeman: "La bellezza non ha prezzo"

INSIDEROMA.COM - FEDERICO FALVO - Giovedì 1 dicembre è stata una serata ricca di storia a tinte giallorosse e non solo. Una serata ricca di aneddotti, ricordi, sorrisi, momenti di commozione ed anche risate di gusto. E' stata la serata di Zdenek Zeman, che ha presentato la sua autobiografia insieme al giornalista Andrea De Caro.
La Bellezza Non Ha Prezzo, questo il titolo del libro che lo stesso Zeman vuole spiegare: "Mi piace il bello, ma penso piaccia a tutti. Qualche volta per difendere il bello ci vuole anche coraggio, e penso di averlo avuto sempre". Un biglietto da visita che racchiude quasi tutta la carriera del tecnico boemo, che stempera immediatamete la pressione con il suo stile inconfondibile: "Mi sono concesso per questo libro, ma non so se ho fatto bene. Per dieci anni mi hanno chiesto di fare questa autobiografia, pensavo fosse meglio farla post mortem. Poi ci ho ripensato e mi sono detto che era meglio adesso perché potevo evitare ci fossero imprecisioni".
Un allenatore che ha sempre preferito uno stile offensivo rispetto a quello difensivo, come ricorda lo stesso Sinisa Mihajlovic intervenuto nel corso della serata: "Una volta siamo andati con Andrea (De Caro) a vedere gli allenamenti di Zeman a Trigoria nella sua seconda avventura romana. Cinque giorni di allenamenti, mai un esercizio per la difesa, solo attacco".  Ma Zeman non replica, anzi, così come le sue squadre, continua nella sua presentazione: "Penso che sia piaciuto agli zemaniani quello che facevano le mie squadre, anche se non sempre ci siamo riusciti al meglio. Oggi ci si lamenta tanto delle cattive condizioni dei campi d'erba. Ma quanta polvere abbiamo respirato sui campetti di terra. Certe volte c'erano i sassi che spuntavano dal terreno. Però erano bei tempi. Il sud mi piace di più perché fa caldo, perché la gente è più calda e perché vincere lí o a Roma è un'altra cosa. La mentalità vincente non significa vincere sempre, ma  dare tutto per vincere e trasmettere questo concetto anche a chi ha meno qualità degli altri".
Interviene anche Luigi Di Biagio, che con Zeman ha un rapporto speciale avendolo avuto a Foggia, Roma e Brescia: "Si ho avuto il privilegio di avere il mister e l'ho avuto tre volte. Con il mister ho un rapporto privilegiato anche se ci siamo scontrati in tante situazioni. Mi ha aperto un mondo. A volte provavamo a rifiatare e magari facevamo qualche passaggio in orizzontale. E lui allora ti sostituiva. Diceva sempre che c'è passaggio solo quando tagli l'uomo".
Uno Zeman scatenato, che racconta anche un aneddoto sul suo approdo alla Roma: "Squilla il telefono, rispondo pronto e sento 'sono Sensi' ed io replico 'so Napoleone' e metto giù. Poi mi chiama Perinetti e andai a Villa Pacelli da Praga per firmare con la Roma".
Presente all'evento anche Eusebio Di Francesco, che alla Roma vi ha giocato ed allenato: "Mi hanno sempre detto di essere un allenatore zemaniano. Io ne sono fiero, perché per me è stato una fonte d'ispirazione. Ricordo che durante una cena quando ero a Pescara mi disse 'hai delle idee, ma devi trovare la tua strada'. E dopo quell'esperienza andai al Sassuolo e il resto è storia". Replica Zeman da grande maestro ed ispiratore per i suoi ragazzi: "Se tu credi in una cosa e la settimana dopo credi in un'altra ti fai male. Ma non fai male solo a te, anche agli altri". Poi prosegue spiegando il perchè non abbia mai firmato un contratto per più di una stagione: "Ho sempre firmato per un anno perché così poi si poteva valutare. La società se si trovava bene continuava o in caso contrario no".
Non mancano le frecciatine ai suoi ex giocatori: "Di Francesco correva più di tutti. Anche perché se non avesse avuto la corsa, difficilmente avrebbe giocato a calcio". Come non mancano i ricordi ed anche i rimpianti: "Arrivando la seconda volta a Roma dopo Pescara pensavo di poter far bene. Poi le condizioni di interferenza del lavoro mio di  Cangelosi non ce lo hanno permesso. Serviva un esecutore di quello che volevano loro più che un allenatore".
Immancabile anche il capitolo doping, a cui Zeman si è sempre opposto con fermezza: "La salute è la cosa più importante, io sono rimasto a prima. Per me la gente sana non ha bisogno di prendere farmaci. Se una persona fa sport si presume sia sana, si fanno anche le visite di idoneità". Gli fa eco il professor Donati, che nel 1998 lo sostenne nella lotta al Doping: "Che Zeman si sia servito della sua notorietà in maniera generosa è chiaro. Lui ha creato una breccia con le sue frasi. Dopo le due dichiarazioni un giovane tecnico dell' antidoping mi disse che le analisi non venivano fatte e gettate via. Mi disse qualcosa di sconvolgente e Guariniello mandò i suoi ispettori ed i risultati delle analisi non gli furono mostrati. Le analisi sui calciatori non venivano fatte. Cadde il presidente del Coni. Questo ha fatto Zeman, ed ha pagato. Questo è tutto".
In chiusira una frase che spiega il titolo del libro ma anche la filosofia zemaniana: "La bellezza non ha prezzo. Per me il grazie della gente vale più di 100 scudetti".


Duro sfogo di Mourinho. La pazienza è finita

INSIDEROMA.COM - FEDERICO FALVO - La Roma ha pareggiato a Sassuolo, un 1-1 che sta stretto essendo passati in vantaggio e immediatamente raggiunti poco più tardi. Ma nonostante il solo punto raccolto si è visto un barlume di gioco in mezzo al campo. La Roma, rispetto alle ultime partite, ha cercato di far girare maggiormente palla dal centrocampo in su e provato a creare una manovra costruita per arrivare alla conclusione. Ne è un esempio il recupero palla di Shomurodov che lascia la sfera a Zaniolo e poi si butta nello spazio. Un taglio intelligente, poichè l'uzbeko invece di continuare la corsa sulla sinistra e provare un due contro due ha deciso, saggiamente, di andare a destra e crearsi lo spazio per ricevere. Zaniolo intuisce e lo serve perfettamente, con Shomurodov che però calcia su Consigli sciupando una ghiotta occasione.
Ma la partita di ieri passerà alla storia per altri motivi. In primis, per i messaggi che Mourinho ha voluto lanciare ai suoi giocatori. I primi messaggi sono rivolti ad Abraham e Belotti, lasciati fuori dall'undici titolare in favore di Shomurodov. L'uzbeko, da parte sua, recepisce la scelta di Mourinho come un'occasione per dimostrare che questa maglia la può indossare. Lotta, corre, cerca il gol e fa vedere buone cose. Ma il messaggio principale è per Abraham e Belotti, soprattutto per l'inglese che chiamato in causa nel secondo tempo entra in campo con l'atteggiamento giusto di chi ha fame. Un approccio alla gara che viene ripagato con il gol del momentaneo vantaggio, un colpo di testa imperioso che batte Consigli. Mourinho apprezza, ma non esita nel richiamare il suo attaccante: "Poi ad un altro ho chiesto perché non ha sempre questo atteggiamento quando scende in campo. Questo nome non ho problemi a dirlo, è Tammy Abraham e ha disputato sicuramente una buona partita, a parte il bellissimo gol". Lo stesso Abraham a fine partita si scuserà con allenatore, squadra e tifosi per mezzo stampa: "Vorrei rivolgermi ai tifosi, ai compagni di squadra, all'allenatore e in qualche modo scusarmi per non essermi espresso sui livelli della scorsa stagione, non sono stato me stesso. Sono una persona, un ragazzo, in fondo. Ho attraversato un momento difficile, con poca fiducia. Oggi ci tenevo a dimostrare ai tifosi che sono ancora io, che sono pronto ad aiutare la squadra". Messaggio recepito.
Ma il vero messaggio Mourinho lo comunica a fine partita con le sue dichiarazioni. Parole dure rivolte a tutta la squadra ma in particolare ad un giocatore: “Mi dispiace perché lo sforzo della nostra squadra è stato tradito da un giocatore che ha avuto un atteggiamento, non so se posso dire la parola, meglio non dirla, diciamo non professionale, e così ha finito con il tradire lo sforzo di tutti quanti. Gli ho detto di trovarsi una squadra a gennaio”. Non fa nomi Mourinho, ma analizzando gli episodi si può intuire chi sia il destinatario di questo sfogo. Stiamo parlando di Rick Karsdorp, che fin dal suo arrivo alla Roma ha alternato buone prestazioni a partite opache. Ma sul banco degli imputati non è finita la prestazione in sè, ma principalmente gli atteggiamenti di Karsdorp in campo. In passato il giocatore è stato ampiamento difeso da Mourinho, soprattutto nel derby quando dopo la sostituzione non siede in panchina con i compagni ma scende direttamente negli spogliatoi. In quell’occasione fu “coperto”, dichiarando che era andato a mettere il ghiaccio sul ginocchio. Ma ieri ha avuto dei comportanti che allo Special One non sono piaciuti per niente. Iniziamo con l’ingresso in campo, quando impiega troppo tempo per rientrare in panchina dopo il riscaldamento e mettere la divisa da gioco. Si continua con lo sfogo dopo il gol di Abraham, quando invece di festeggiare con i compagni rimprovera Cristante per non averlo servito nello spazio invece di scaricare su Mancini (poi autore dell’assist vincente). Infine gli errori su Laurentiè ed il mancato recupero sul giocatore, soprattutto in occasione del gol di Pinamonti. Karsdorp perde la marcatura su Laurentiè in occasione del lancio lungo ed invece di provare il recupero alza il braccio per chiamare un fuorigioco che non c’era. Dopo il gol subito viene richiamato dai compagni e reagisce in maniera non professionale. Un atteggiamento che Mourinho questa volta non ha perdonato. Già in passato, dopo gli errori contro Juventus ed Udinese, aveva detto di lui “Karsdorp l’anno scorso era una storia, quest’anno non sta bene? Arrivederci amico”. Un chiaro messaggio a spronarlo a fare meglio, ma a quanto pare non recepito.

Mourinho non è nuovo a queste dichiarazioni, lo ha sempre fatto ed in giallorosso successe già la scorsa stagione dopo la debacle contro il Bodo/Glimt: “Abbiamo una differenza significativa di qualità tra un gruppo di giocatori e un altro. Sapevo i limiti di qualche giocatore, non è niente di nuovo per me, ma ovviamente mi aspettavo una risposta migliore”. Un chiaro messaggio a dare di più, recepito alla perfezione da Kumbulla che allenamento dopo allenamento dimostrò di meritarsi un’altra occasione ed ancora oggi è in rosa al fianco di Mourinho. Non reagirono, quantomeno non come si aspettava il portoghese, i vari Villar, Diawara e Mayoral; con gli spagnoli ceduti nel mercato invernale ed il guineano relegato ai margini della rosa.
Un qualcosa che potrebbe succedere anche questa volta con Karsdorp, già invitato a trovarsi una squadra per gennaio. Ma allo stesso tempo un messaggio verso tutti gli altri giocatori che potremmo tradurre con: la pazienza è finita, ora dimostrate che siete giocatori da Roma.