Il ponte pagato dal governo torna possibile
IL TEMPO - MAGLIARO - Era il 5 dicembre 2017, ultimo giorno della Conferenza di Servizidecisoria bloccata dai veti incrociati sulla questione del Ponte di Traiano. Da una parte il Campidoglio, convinto che l'intera opera potesse stare in piedi anche senza questo ponte. Dall'altra, la Regione convinta che questo Ponte fosse essenziale. Due relazioni a supporto della posizione della Regione: il Ministero delle Infrastrutture che scriveva nella sua relazione preliminare che il Ponte di Traiano era fondamentale e non si poteva sostituire con quello dei Congressi. E la Città Metropolitana, a guida 5Stelle, che in una prima relazione esprimeva la necessità di una seconda via di accesso allo Stadio, cioè il Ponte. Per uscire dall'impasse, intervengono gli allora ministri dello Sport, Luca Lotti, e alle Infrastrutture, Graziano Delrio, entrambi Pd. Con una telefonata (procedimento decisamente irrituale) Lotti annunciò la possibilità che fosse il Governo a finanziare il Ponte di Traiano qualora l'opera fosse stata fondamentale. Caduto il Governo Gentiloni e arrivato quello gialloverde, è il premier, Giuseppe Conte, a riprendere l'idea. Alla conferenza stampa di fine anno, rispondendo ai cronisti, il Presidente del Consiglio afferma: «se (Il Ponte, ndr) è un asse strategico essenziale il governo non si sottrarrà dopo tutte le necessarie valutazioni». In Campidoglio questa frase è stata presa molto sul serio: se la relazione del Politecnico di Torino non fosse perfetta, sarà la via d'uscita.
De Rossi fatica. Monchi lo aspetta
IL TEMPO - AUSTINI - Niente vacanze, addio spiagge delle Maldive, solo tanto sudore, voglia, speranze e, inevitabile, un bel po' di frustrazione. Sono giorni non semplici per Daniele De Rossi, il capitano della Roma che non riesce a giocare una partita da fine ottobre, quando lasciò il campo prima dell'intervallo a Napoli. Da allora tocca a Cristante far coppia con Nzonzi, senza neppure una pausa per rifiatare perché il biondo di Ostia deve combattere con un ginocchio usurato. Ha rinunciato al viaggio esotico con la famiglia per continuare a curarsi a Trigoria, dove in questi giorni, compreso ieri, lo segue esercizio dopo esercizio il fisioterapista di fiducia Damiano Stefanini. Fino ad ora De Rossi ha lavorato solo in palestra, niente corsa, niente campo né pallone. E questo già dice molto sulle condizioni di un ragazzo che per una ventina d'anni non si è mai risparmiato e ha messo a dura prova un fisico che sembrava irresistibile. Ma il conto con l'età e gli acciacchi si è presentato puntuale, la lesione alla cartilagine è un danno con cui non si può scherzare e l'intervento chirurgico di pulizia non è detto possa essere risolutivo. Per questo il centrocampista ha scelto un'altra via, ugualmente dura, ma non ha affatto perso la speranza. Anzi, è motivatissimo a rientrare quanto prima. La Roma lo aspetta, ha bisogno della sua leadership per riconquistare un posto nella Champions e provare a far strada in quella attuale. Non solo Di Francesco e i compagni, pure Monchi attende con ansia di capire i tempi effettivi di recupero di De Rossi. Per questo il diesse spagnolo ha messo in stand by il mercato, prendendosi qualche giorno di vacanza in Spagna: ieri ha «postato» una foto da Cadice.
La Roma prenderà un centrocampista, l'obiettivo resta immutato, ma per lanciare l'assalto definitivo vuole capire se e quanto potrà contare sul capitano. Anche in chiave futura, essendo in scadenza a giugno il suo contratto, con tutti i ragionamenti del caso da fare. De Rossi ha deciso di voler proseguire la sua strada nel calcio da allenatore, ma non aveva programmato di cambiare mestiere già alla fine di quest'anno. Adesso deve solo pensare a guarire, il resto verrà da sé. Nel frattempo Monchi ha scandagliato i possibili obiettivi per gennaio e giugno nel ruolo, focalizzandosi non a caso sul centrocampisti «difensivi», più bravi a rubar palla che a giocarla, con un passo diverso rispetto a quelli attualmente in rosa. Non c'è ancora un favorito, la lista è lunga e comprende una serie di mediani della Serie A. Ad esempio quel Bennacer indicato da Di Francesco come giocatore rivelazione del campionato nel sondaggio tra i tecnici pubblicato daIl Tempo, giudizio condiviso con Monchi ma oltre alla Roma tutte le big hanno chiesto informazioni all'Empoli. Risposta? Costa 20 milioni. Piace anche il suo compagno Traorè, mentre Donsah è un vecchio pallino giallorosso ma viene da un brutto infortunio e quest'anno deve ancora esordire a Bologna. Dove gioca Pulgar che fa parte del listone. All'estero occhio a Ozyakup del Besiktas. E ha una richiesta dalla Turchia Marcano: lo vuole il Galatasaray. Solo se partisse lo spagnolo la Roma prenderebbe un difensore a gennaio. Altrimenti tutto rinviato all'estate, quando nel mirino potrebbe finire l'atalantino Mancini, che ha lo stesso procuratore di Zaniolo.
Maidana o Kabak al centro
IL MESSAGGERO - CARINA - È il cliché preferito dei ds in questo mese gennaio: «Mercato? Stiamo bene così». Monchi non fa eccezione. Eppure la Roma si muoverà. Lo ha annunciato Di Francesco in tempi non troppo lontani («Inevitabilmente faremo qualcosa», 21 dicembre), lo esige la classifica. Non c'è però da aspettarsi il grande nome: in primis perché il budget a disposizione del ds è pari allo zero. E poi perché nel modus operandi dello spagnolo, la sessione invernale non è stata mai foriera di grandi innesti. Lo scorso anno, anche a fronte di una partenza importante come quella di Emerson, arrivò Jonathan Silva dallo Sporting Lisbona. Infortunato, il difensore racimolò appena 2 presenze per tornare poi a fine anno nel club lusitano. Operazione che fotografa in generale la linea guida di Monchi: a gennaio, uno esce e uno entra, senza grandi spese e pretese. Anche a Siviglia, più o meno la stessa storia. L'unica eccezione nell'ultima sessione prima di approdare alla Roma con il tris Jovetic, Lenglet e Montoya per una spesa complessiva di una decina di milioni. Una semplice deroga. Perché poi, poco o nulla. Per due stagioni (2014 e 2015) addirittura nessun acquisto. Negli altri anni, acquisti di contorno.
LA VIA MEDIANA Il giochino del prima vendere e poi comprare è ormai arcinoto. Se in difesa l'addio di Marcano (Siviglia e Galatasaray i club interessati) vede nel toto-sostituti uno tra Iago Maidana e Kabak in pole, è a centrocampo che Eusebio si attende un innesto. Le condizioni di De Rossi non regalano certezze. La cisti meniscale al ginocchio destro, sommata alla lesione della cartilagine, sono troppo delicate per azzardare prognosi certe. Al ritorno del campionato, il capitano toccherà il triste traguardo dei tre mesi di stop. L'iper-impiego di Nzonzi e Cristante, fa dunque sì che la Roma stia cercando un altro centrocampista. Monchi non ha fretta, in attesa della migliore occasione possibile. L'identikit è quello di un centrocampista che possa ricoprire più ruoli. In quest'ottica, è stato offerto Obiang ma è un profilo che al momento non interessa. Dendonckerinvece appare in ribasso. Il preferito di Eusebio sarebbe Duncan la cui esplosione con De Zerbi ha però attirato diversi club, tra cui il Milan che ha un'offerta del Tottenham per Kessie. Proprio dal club di Pochettino, si libera un giocatore che piace a Monchi. Si tratta di Wanyama, 27enne capitano della nazionale keniota, finito negli ultimi tempi in disgrazia per noie al ginocchio. In stagione ha racimolato appena 4 presenze. Doveva tornare ieri in Fa Cup contro il Tranmere ma ha preferito non rischiare. Rientro comunque imminente. Come quello di Donsah. Anche nel caso del centrocampista del Bologna, le perplessità sono dovute al fatto che il ghanese è reduce da un infortunio al perone che gli ha fatto saltare la prima parte della stagione. Discorso che se non decollerà adesso è da tenere in considerazione per l'estate quando la Roma ci proverà anche per Traoré dell'Empoli. Club toscano dove gioca quello che per Di Francesco è la rivelazione di questa prima parte del campionato: l'algerino Bennacer. In ottica futura, sguardo anche in porta: Monchi studia Brazao del Cruzeiro. Sul brasiliano è forte l'interesse dell'Inter e del Braga. Intanto è pronto il rinnovo del giovane Bouah, classe 2001.
Di Francesco "consiglia" la sorpresa Bennacer
GAZZETTA DELLO SPORT - CECCHINI - Chissà che un giorno non lontano si segga al tavolo delle conferenze di Trigoria, prenda il microfono e dica: «Chiamatemi Ismaele». Verrebbero i brividi a tutti coloro che pensano come l’incipit di «Moby Dick» di Herman Melville sia tra i più belli della storia della letteratura. Ma siamo convinti che Ismael Bennacer, 21 anni da poco compiuti, sia più interessato ad entrare nella cronaca del calcio d’élite, ed è per questo che l’investitura concessagli da Di Francesco sulle colonne de «Il Tempo» («è la rivelazione della prima metà del campionato») a Roma ha fatto rumore, tanto più che la squadra giallorossa cerca proprio uno con caratteristiche simili a quelle del centrocampista dell’Empoli, nato in Francia ma di origini marocchine e naturalizzato algerino, per la cui nazionale ha già disputato 7 partite. Ovvio, però, che l’Empoli – in piena corsa salvezza – difficilmente potrebbe cedere Bennacer in questa sessione e così questo desiderio, che fa il paio con l’altro legato ad Hamed Traoré (anche lui in forza al club toscano), pare più indirizzato all’estate che al presente. D’altronde, in parecchi reparti sarà l’estate a portare cambiamenti, e se per Mancini dell’Atalanta – così come per Rugani della Juve – l’interesse è chiaro e certificato, non è una sorpresa che il d.s. Monchi guardi anche ad altri reparti. Ciò non toglie che Di Francesco abbia chiesto rinforzi anche per l’immediato, visto tra l’altro che Karsdorp, Marcano, Bianda e Coric paiono in uscita. E così in mediana si cerca un rincalzo di valore, e tra le idee c’è anche quella del ghanese Godfred Donsah, 22 anni, del Bologna, che è appena guarito da una frattura al perone occorsagli ad agosto. Il problema è che finora in questa stagione non è mai sceso in campo, anche se tutti giurano su di lui.
RINNOVO BOUAH
Tanta stima, poi, a Trigoria hanno per il baby Bouah, 17 anni, che ha rinnovato il contratto. Detto che piovono smentite da Trigoria per i centrocampisti Objang (West Ham) e Thiago Maia (Lilla) e il difensore Maripan (Alaves), oltre al portiere Brazao (Cruzeiro), un altro giocatore polivalente che viene monitorato è Victor Wanyama, 27 anni, keniano del Tottenham, con cui in questa stagione ha giocato solo 7 partite. Anche per lui i problemi non mancano, visto che è ai box per un infortunio al ginocchio. Passiamo poi alla difesa in senso stretto (anche se Wanyama sa giocarci), dove si monitorano diversi profili.
TESORETTO DEFREL
Dall’Austria, perciò arriva il nome di Igor Julio dos Santos de Paulo – al secolo calcistico solo Igor – 20enne brasiliano del Salisburgo (ora all’Austria Vienna). Come si vede, per il momento tutti movimenti «low cost». A meno che non riesca la cessione di Defrel in Premier (in pole Fulham e Watford), in grado di portare un tesoretto da utilizzare parzialmente. Istruzioni per l’uso? I giochi devono ancora cominciare.
Dieci, ma senza lode. È Dzeko il re del gol in Champions League
GAZZETTA DELLO SPORT - CECCHINI - Il fascino di essere il numero uno. Tramontata l’era Totti, alla ROMA non capita molto spesso, e così brilla come una gemma il tweet della Uefa che incorona Edin Dzeko re del gol in Champions League, a pari merito con una stella (almeno) di pari grandezza, che risponde al nome di Robert Lewandowski del Bayern Monaco. Entrambi i centravanti, infatti, sono risultati primi per reti segnate nell’anno solare 2018. Cifra tonda: un bel 10 senza lode, visto che poi la Coppa l’ha alzata il Real Madrid di Cristiano Ronaldo. Quanto basta per provare a rifarsi già a partire dagli ottavi di finale alle porte. Per quello che riguarda Dzeko, poi, occorrerà darsi una mossa anche nei campi meno nobili (rispetto alla Champions) della Serie A e della Coppa Italia. Se infatti il bosniaco in questa prima fetta di stagione ha segnato solo 7 reti (5 in Europa e 2 in campionato), di tutt’altro tenore per il momento è il cammino di Lewandowski, giunto già a quota 22 gol, dieci dei quali solo in campionato, nonostante il Bayern non stia vivendo una stagione scintillante. Morale: occorre che Dzeko si rimetta in marcia.
L’età dell’oro: Skriniar e Chiesa guidano il gruppo delle stelline in A. E i prezzi volano
GAZZETTA DELLO SPORT - LAUDISA - Anche il 2019 ha la sua corsa all’oro. E i giovani talenti della serie A animano le trattative d’inverno, con vista per l’estate. Il Cagliari ha alzato l’asticella per Nicolò Barella a 50 milioni, come la Fiorentina non scende da quota 70 per Federico Chiesa e per Piatek il Genoa non si accontenta di 60 milioni. Sono i nomi più in vista di un mercato caratterizzato dall’esplosione dei prezzi. È vero che in estate la Juve ha speso ben 105 milioni per CR7 e altri 40 per Cancelo, ma in genere la soglia critica è stata sempre quella dei 40 milioni, appunto. Tanto erano stati pagati, ad esempio, Bernardeschi e Schick, o lo stesso Dybala. Adesso, invece, la concorrenza per gli under 23 più in vista sta determinando aste con rialzi di decine di milioni. E all’orizzonte si profilano anche le grandi d’Europa. La scorsa estate una sorta di pax interna alla Premier ha evitato che i costi dei trasferimenti seguissero la «pericolosa» scia-Mbappè. Ma l’impressione è che quella sia stata solo una tregua.
ITALIA O ESTERO?
È esemplare la vicenda di Barella. L’Inter lo coccola, il Napoli lo lusinga e il presidente del Cagliari gongola, facendosi forte anche delle ambasciate di United, Arsenal e adesso anche Chelsea, disposto a pagare cash quei 50 milioni considerati indispensabili per la cessione del nazionale di Maran. I nostri club intendono sedersi al tavolo proponendo degli scambi che evidentemente alleggerirebbero l’onore economico. Si apre, quindi, una fase lunga, con le immancabili schermaglie e la concreta possibilità che entri in gioco un acquirente straniero. Sempre che a Barella piaccia l’idea di lasciare l’Italia. Ad esempio Chiesa ha fatto intendere che lascerà la sua Fiorentina solo per indossare una nuova maglia italiana. Per la sua maturazione considera importante, infatti, proseguire il suo percorso in un contesto già noto. Questa sua determinazione ha per certi versi tappato la sua quotazione, ferma a 70 milioni. E ciò indirettamente avvantaggia i soliti noti (Juve e Inter) decisi ad assicurarsi l’ambita preda.
Boutique Genoa L’andata-show di Piatek ha incuriosito mezza Europa. Così i sondaggi di Juve e Napoli, soprattutto, hanno indotto Preziosi a chiedere un time out: 60 milioni «rischiano» di essere pochi per il goleador polacco, anche perché in agguato ci sono come al solito le potenze straniere. Al contrario il dialogo con De Laurentiis per Kouame procede con alti e bassi: il Napoli punta ad inserire dei giocatori nell’affare ma il presidente rossoblù evita quegli argomenti. Ad esempio con le immancabili Inter e Juve per Romero si parla solo di soldi. E per il debuttante argentino il Genoa considera 30 milioni solo un punto di partenza. Più fluttuante la valutazione del sampdoriano Andersen, accostato anche lui a Inter e Juve per 25 milioni. L’affermazione del vicino di casa Romero ha un po’ distratto gli acquirenti... È strano in questa fase pensare che Milinkovic valga «appena» 60 milioni: in estate la Lazio non lo ha venduto per più di 100 milioni, ma è chiaro che il futuro del serbo dipenderà molto dalle prestazioni nel ritorno. Invece in casa Roma gode di particolari attenzioni Lorenzo Pellegrini che ha in dote una clausola bassa di questi tempi: 30 milioni. Juve e Milan sono pronti. E’ nota anche la simpatia rossonera per l’altro azzurro Stefano Sensi, che il Sassuolo valuta 20 milioni. Molto dipenderà anche dal destino di Gigio Donnarumma, che assicurerebbe una bella plusvalenza se andasse via per 40 milioni. Nel suo caso, però, si vedono solo destinazioni estere. A maggior ragione questa osservazione vale per lo slovacco Skriniar. La scorsa estate l’Inter ha detto no ad offerte da 70 milioni, ora l’asticella si è alzata a 90 milioni. E la Premier anche per lui bussa con argomenti molto convincenti. Abituiamoci all’idea che le prossime settimane ci portino nuovi rialzi e trame sempre più fitte.
Agguato a San Siro, accusa di omicidio volontario per un ultrà del Napoli
IL MESSAGGERO - Per la morte dell’ultrà Daniele Belardinelli un tifoso napoletano venticinquenne è indagato per omicidio volontario: alla guida della Volvo station wagon intestata al padre, tuttavia, non c’era lui bensì lo zio e ora gli inquirenti stanno definendo le responsabilità. I quattro a bordo dell’auto sono stati convocati in questura e oggi saranno ascoltati dagli agenti della Digos in trasferta da Milano. Ieri, interrogato per tre ore dai pm che hanno dato parere favorevole alla sua scarcerazione, l’ultrà interista Luca Da Ros ha ripetuto che Dede è stato travolto «dalle prime auto che sono passate: erano berline, non suv, e una si è spostata dalla colonna portandosi sulla sinistra». Belardinelli, ferito gravemente, è stato consegnato ai compagni dai napoletani: due di loro sono stati identificati e indagati. Da Ros ha ribadito le accuse al capo dei Boy Marco Piovella come organizzatore dell’attacco e, da alcune foto che gli sono state mostrate dai pm, ha anche riconosciuto i capi degli altri gruppi interisti che hanno partecipato all’agguato.
San Basilio, aggredì l'arbitro arrestato il calciatore-ultrà
IL MESSAGGERO - ALLEGRI – MARANI - Il colpo alla testa sferrato «con ferocia immotivata» e «furia incontenibile sproporzionata alle futili ragioni» da Simone Di Pio, 34 anni, giocatore-tifoso della Virtus Olympia, contro l'arbitro Riccardo Bernardini l'11 novembre scorso al Francesca Gianni di San Basilio, «avrebbe potuto cagionarne la morte e tutto ciò per una partita di calcio». Il gip Giulia Proto nel disporre gli arresti domiciliari per il 34enne, operaio incensurato di San Basilio, non ha dubbi: «La condotta dell'indagato, che è uno sportivo tesserato con la squadra di casa e non un semplice tifoso, deve essere ritenuta particolarmente violenta e grave per il luogo in cui è stata perpetrata». Aggiungendo che «la furia del Di Pio e del complice (a cui i carabinieri di Montesacro danno la caccia, ndr) è stata determinata da futili motivi connessi all'esito di una partita di calcio» e che se lasciato in libertà, Di Pio «possa commettere nuovi reati, con esiti persino più gravi». L'arresto del 34enne è scattato giovedì. I carabinieri guidati del tenente Marco Zavattaro hanno bussato alla sua porta ai lotti di San Basilio e lui ha provato a difendersi: «Non c'entro niente, mi sveglio alle 5 per andare a lavorare». Ma le testimonianze del custode le descrizioni di altri teste («capelli corti rasati, barba ben definita, occhiali da sole») e le immagini riprese dalle telecamere di zona (nell'impianto non c'erano) lo hanno incastrato. Di Pio è il terzo portiere del team e quel giorno era in tribuna perché non convocato. Le indagini dei militari di San Basilio, coordinate dal pm Eugenio Albamonte, erano partite tra molte reticenze, subito dopo l'aggressione avvenuta al termine del match Virtus Olympia - Atletico Torrenova. Il lunedì la squadra aveva anche preso le distanze dai fatti con un comunicato. Ma già durante l'incontro erano volati insulti dagli spalti verso la giacchetta nera della sezione Aia di Aprilia e dei suoi due assistenti, bersagliati dalle minacce: «Voi da qui non uscite». Frase che era stata rivolta dai giocatori espulsi anche a un guardialinee. Dopo il fischio finale, mentre la terna guadagnava lo spogliatoio, in quattro hanno scavalcato il cancello che isola l'area tecnica e in due hanno colpito Bernardini: il primo gli ha sferrato uno schiaffone a mano aperta sul volto all'altezza dell'orecchio destro che lo ha fatto barcollare; il secondo - identificato in Di Pio - lo ha colpito un'altra volta, allo stesso modo, facendolo cadere e sbattere con la nuca al suolo.
SALVATO DALL'EX ULTRÀ
Riccardo sembrava morto, è stato soccorso salvato da un dirigente dell'Atletico, l'ex ultrà della Lazio Yuri Alviti, che «si piegava sul ferito e gli inseriva le mani nel cavo orale per evitare che, privo di sensi, inghiottisse la lingua», scrive il gip. E poi dall'ambulanza. Tra i primi ad accorrere anche la mamma, Fiammetta, e la fidanzata, Beatrice. Il ragazzo, che è uno studente di Ingegneria Gestionale a Roma, ha riportato una prognosi di 60 giorni, poi allungata a 90. «L'arresto di uno degli aggressori è una bella notizia - afferma la signora Fiammetta - ma Riccardo è ancora provato. Ha dovuto fermarsi con gli studi e per quest'anno di arbitrare non se ne parla anche se ha sempre gli scarpini pronti. Ha mal di testa e capogiri. Non provo rancore per gli aggressori, ma quell'immagine di mio figlio a terra non si cancella. E se è vero che chi lo ha ridotto così faceva parte del contesto sportivo, allora, chiedo che le Leghe calcio, dalle maggiori alle minori, insieme con la Figc, adottino misure drastiche anche nei confronti delle squadre, altrimenti non cambierà mai nulla. Le aggressioni agli arbitri continuano, un altro tifoso è morto a Milano: il ministro Salvini ha convocato una riunione ad hoc lunedì al Viminale, servono provvedimenti radicali». Gli inquirenti sono convinti che tra chi ha minacciato e chi ha scavalcato, ci siano persone orbitanti nella sfera della società. Uno sarebbe stato in panchina perché infortunato. L'altro che ha colpito l'arbitro - tra i 25 e i 30 anni - potrebbe appartenere all'entourage del team.
Regole e patti di sangue: quei violenti delle curve che si atteggiano a boss
LA REPUBBLICA - BERIZZI - una rosa rossa posata sull'asfalto, la data "27-12-2018" e la runa "algiz", nella mistica nazista l'onore ai caduti che torneranno in vita. L'ultima immagine in ricordo di Daniele Belardinelli è la metafora dell'ultrà 2.0. L'epitaffio, il manto che silenzia nell'omertà tutto quanto sta dietro le curve. Gli affari sporchi sotto la coperta del tifo. I legami con il crimine organizzato. Le falde, le cupole e le gerarchie. Un modello italiano copiato dai supporter all'estero. Perché tiene insieme due pezzi: la parte "manageriale", che cura i guadagni e i rapporti coi club, e il braccio armato che fa il lavoro in strada. La fotografia della rosa rossa per Belardinelli l'hanno posata ieri mattina i nazionalsocialisti della Comunità dei dodici raggi, sotto inchiesta a Varese per tentata ricostituzione del partito fascista. Quelli tatuati con la scritta "cut one and we all bleed" (“tagliane uno e scappano tutti") che con "Dede" condividevano gli spalti neri "Blood&Honour". Gli stilemi della retorica ultrà. L'epica guerresca. «Noi siamo così, ultras nella vita non solo alla partita», ricorda un vecchio capo tifoseria lombardo. «Adesso ne dasperanno un po'. Interisti e napoletani. Ma poi la storia continua e noi ci saremo. Anche dopo i tavoli di governo...». Nel mondo rovesciato delle curve c'è sempre un morto ancora caldo da elevare a martire. Uno che se ne è andato per giusta causa: era lì a farsi avanti, a tendere una trappola con mazze e bomboni, «vedrai alla fine gli renderanno omaggio anche i napolecani» -antico insulto della Nord fascio-interista che non dispiaceva ai leghisti di Pontida. Curve pericolose e codice: onore, fratellanza, rispetto. Di che cosa, però? Lunedì al Viminale da Salvini e Giorgetti “loro” non ci saranno. Per prudenza e opportunità i vertici del calcio e del governo gli ultrà non li hanno voluti (ci saranno solo referenti dei club di tifosi scelti dalle società). Fossero andati avrebbero mandato qualcuno "pulito": teste di legno, nomi spendibili per un'operazione politica sulla cui reale efficacia c'è chi non ha solo certezze. Non ci saranno i Boys e i Viking interisti, i padroni della curva Nord di San Siro nei cui drappi si identificano gli assalitori della notte di sangue di via Novara (a partire dal capo e coreografo Marco Piovella detto il "Rosso"). Non ci saranno i "cugini" della “Curva Sud" rossonera: il leader Luca Lucci, spacciatore e mazziere salutato cordialmente dal ministro dell'Interno, il ministro-ultràSalvini che ancora due giorni fa posta la foto di un selfie insieme ai poliziotti del soccorso alpino e sul cellulare è visibile l'adesivo "Curva Sud". Il gruppo in mano agente come il "Toro" - il pregiudicato Lucci - il fratello Francesco e gli amici Giancarlo "Sandokan" Lombardi, Marietta Diana, il "Barone" Giancarlo Capelli: tutti già inquisiti. Al tavolo "sportivo" del Viminale non siederanno nemmeno, per fortuna i Black Devil, altra sigla della curva milanista. Sono capeggiati da Domenico Vottari, detto Mimmo, originario di Melito Porto Salvo: diversi anni di carcere (anche per omicidio) e contatti con la ‘ndrangheta nel nord Italia. Coi fiduciari delle cosche calabresi (clan Sergi e Papalia) ha rapporti anche Loris Grancini, capo dei Viking della Juve, 13 anni per un tentato omicidio. Grancini è amico di 'Sandokan" Lombardi: capi di due tifoserie rivali. A loro volta acerrime nemiche degli ultrà napoletani della Curva A. Il bacino dove gli investigatori stanno cercando gli "autisti" che hanno tirato sotto Belardinelli.
La Curva A del San Paolo è il regno dei Mastiffs il cui boss era uno già balzato agli onori delle cronache e ora in carcere per droga: Gennaro De Tommaso, Genny 'a carogna, il mediatore (con le forze dell'ordine) che il 3 maggio 2014 allo stadio Olimpico di Roma placa la sua curva per dare il via libera alla finale di Coppa Italia Fiorentina-Napoli dopo il ferimento di Ciro Esposito (che morirà in seguito agli spari dell'ultrà romanista e neonazista Daniele De Santis). Dei 420 gruppi ultrà italiani, circa 45mila tifosi, con il 75% delle curve politicamente orientate a destra, quelli della Curva A sono tra i più temuti: e anche tra i più infiltrati dalla camorra. «Controlla il tifo e i clan si dividono i posti in curva», disse l'anno scorso il pm della Dda di Napoli, Enrica Parascandolo. Come non ricordare l'inquietante presenza a bordo campo, al San Paolo, del figlio del boss Salvatore Lo Russo, Antonio, alle partite del Napoli otto anni fa. Il modello della cosca, regole ferree e patti di sangue, e poi capi, emissari, gregari. Direttivi che decidono gli scontri e si spartiscono la torta dei guadagni (spaccio, biglietti, bar e parcheggi intorno agli stadi). Leader che stoccano cocaina e intanto si accreditano con calciatori, dirigenti e personalità politiche. Esempi da non imitare? Anzi. In Europa il modello italiano è ammirato. A dicembre i tifosi della Torcida verde dello Spoiting Lisbona hanno omaggiato con una coreografia le curve italiane: "Diversi nei colori, uniti nei valori. Ultras da sempre aggregazione e fonte di ispirazione'', era scritto su uno striscione accompagnato dai leghi di 34 gruppi ultrà italiani. Un tempo si sarebbe detto "all'ultimo stadio", Oggi, forse, siamo oltre.
Adesso il giocatore rischia la radiazione
IL MESSAGGERO - BAL. – Il 34enne tesserato con la società Virtus Olympia finito ai domiciliari per aver colpito l’arbitro Riccardo Bernardini rischia la radiazione da parte della Figc. Lo prevede il codice di giustizia sportiva, che lascia pochi spazi per un’eventuale difesa. La società, invece,non può essere imputata di una responsabilità diretta, ma solo oggettiva e rischia una pesante sanzione. La Procura Federale della Federazione Italiana Gioco Calcio acquisirà nei prossimi giorni gli atti direttamente degli inquirenti e aprirà un fascicolo che si concluderà quasi sicuramente con un deferimento, sia del giocatore che della società al Tribunale Territoriale del Lazio. La Virtus Olympia, per quanto accaduto, era già stata penalizzata dal Giudice Sportivo con 5 punti in meno in classifica, l’ammenda minima di 5mila euro e l’obbligo di giocare in casa a porte chiuse. Misure contro cui ha presentato ricorso. La Virtus Olympia subito dopo l’aggressione si era dichiara estranea ai fatti, dicendosi profondamente rammaricata per la vicenda: «Un episodio – citava il comunicato- che con il calcio non ha nulla a che vedere. Le reti sono state scavalcate da individui totalmente estranei al nostro club».
Agguati e risse lontani dagli stadi. Gli intrecci internazionali tra ultrà
CORRIERE DELLA SERA - L’ultimo «censimento» relativo ai campionati 2017-2018 fornisce numeri un po’ più bassi rispetto alla stagione precedente: 386 gruppi ultrà tra i tifosi delle squadre che militano nelle serie professionistiche (dalla A alla Lega Pro C) che raccolgono circa 38.200 persone. (…).Se di recente si sono sciolte più formazioni di quante se ne sono costituite, possono essere aumentati i «cani sciolti», soggetti non affiliati ad alcuna sigla ma ugualmente attivi sia nelle curve che fuori; sempre impegnati a sostenere la «mentalità ultrà». Tuttavia il tifo estremo organizzato continua ad aggregarsi in bande che si alleano e si fronteggiano non più solo dentro i confini nazionali, con gemellaggi e conseguenti ostilità trans-frontaliere che comportano anche nuove dinamiche negli scontri. Compresi quelli milanesi del 26 dicembre, in cui è morto Daniele Belardinelli. L’ultima tendenza è di pianificare agguati e risse in zone distanti dagli stadi, o addirittura lungo le autostrade, per evitare intromissioni delle forze dell’ordine, ed è una pratica mutuata dalle tifoserie europee spesso coinvolte al fianco di una fazione contro un’altra. A Santo Stefano è accaduto che insieme agli interisti ci fossero i francesi del Nizza pronti ad aggredire i napoletani, dopo che il 2 agosto 2015, prima di un’ amichevole tra Nizza e Napoli, avevano subito un’imboscata da un cavalcavia. (…).per modalità ricorda quanto avvenne il 22 aprile 2017 a Lisbona, quando morì l’ultrà della Fiorentina Marco Ficini, 41 anni, andato ad assistere al derby tra lo Sporting e il Benfica. La tifoseria viola è gemellata con quella dello Sporting, a cominciare dal gruppoSettebello di cui faceva parte Ficini, che peraltro non era mai stato segnalato per episodi di intemperanza. (…).La logica delle alleanze internazionali s’è svelata anche a Roma, il 13 dicembrescorso, quando gli ultrà dell’Eintracht di Francoforte sono sbarcati nella capitale, per la sfida con la Lazio, insieme ai «colleghi» gemellati dell’Atalanta; in quel caso gli scontri ci furono soprattutto con le forze dell’ordine, impegnate a evitare che i tedeschi entrassero in contatto con i laziali (…).La solidarietà con i tifosi amici all’estero si manifesta anche con stendardi e scritte che inopinatamente compaiono nelle rispettive curve: dall’effigie censurata di un dirigente della Dinamo Zagabria(contestato dai suoi sostenitori) comparsa tra vessilli romanisti durante una partita con il Chievo , agli striscioni in lingua italiana in favore del tifoso catanese condannato per l’omicidio dell’agente Raciti nel 2007, comparsi nel 2017 in occasione della sfida nel campionato tedesco tra Bayern e Schalke 04. (…).A volte il collante è l’estremismo politico che da qualche lustro ormai s’è infiltrato nelle curve; soprattutto di destra, ma non solo. (…).Nella geografia (anch’essa variabile) dei gruppi ultrà, 68 (il 17 per cento) sono catalogati come politicamente estremisti. Tra questi più della metà sono di destra (in serie A ci sono supporter di Bologna, Juventus, Lazio, Roma, Sassuolo, Torino e Udinese), il 28 per cento di sinistra (ancora Bologna, Empoli, Fiorentina) e il 17 per cento misti, nel senso che sotto la stessa sigla militano estremisti sia di destra che di sinistra (Fiorentina, Genoa, Roma e Torino). Altri 73 gruppi sono politicizzati senza posizioni estreme (43 di destra e 30 di sinistra), ma la grande maggioranza, (245, cioè il 63 per cento) sono considerati apolitici. (…).
Politano: "Roma è una piazza pesante, la pressione si fa sentire. Il mio idolo? Totti"
GAZETTA DELLO SPORT - STOPINI - Il meccanico calciatore adesso ha invertito l’ordine dei fattori, probabilmente migliorando il prodotto finale. Matteo Politano è un calciatore perfettamente meccanico, ingranaggio indispensabile se è vero che rovistando nell'officina di Appiano ti accorgi che non c’è altro giocatore di movimento dell’Inter ad essere sceso in campo come lui in tutte le partite, 25 su 25. «Non me l’aspettavo, l’Inter mi sembrava un salto così grande...».
Non faccia il modesto. Piuttosto, che anno è stato il 2018?
«Il più bello della mia vita, magico: il matrimonio, il passaggio all’Inter, l’esordio in Champions, il gol in Nazionale...».
Li metta in fila.
«Beh, la maglia azzurra e la Champions sono emozioni strepitose. Ma il matrimonio mi ha reso un uomo felice».
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Dica una cosa in cui è diverso Spalletti dagli altri allenatori.
«Parla tanto con noi calciatori, la sua idea di calcio ti entra in testa e non esce più. Ho sentito subito la sua fiducia, è uno che ti fa pensare “per questo darò sempre tutto”. Ho vissuto la sua prima Roma da tifoso, per me era un punto di arrivo, è stata una delle Roma più belle di sempre, mi fermavo a vedere di nascosto i suoi allenamenti, erano uno spettacolo».
A proposito di tecnici, lei ha avuto anche Di Francesco. Sorpreso dalle sua difficoltà?
«Roma è una piazza pesante, la pressione si fa sentire e non è facile da gestire. E poi ha perso 4-5 giocatori simbolo, ripartire con tanti giovani non è facile».
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E’ vero che il suo idolo era Vucinic?
«No, è sempre stato Totti. Poi Vucinic mi piaceva tantissimo, alla Roma era fantastico. Anche se a livello personale ho sempre guardato a Robben come punto di riferimento».
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