È il terzo k.o. per 7 a 1 subìto dal 2007: una maledizione

LEGGO - La maledizione del 7-1 colpisce ancora. Non era mai successo in coppa Italia dove quello di ieri è il risultato più pesante della storia romanista, ma il tabellino con i due numeri “maledetti” ha già colpito due volte il club giallorosso. La prima volta nel 2007 contro il Manchester United all’Old Trafford durante i quarti di finale di Champions. Poi nell’1-7 dell’Olimpico contro il Bayern Monaco nell’ottobre del 2014 sempre in Champions. Nel 2015 ci si andò vicini col Barcellona, quando al Camp Nou Messi e compagni si imposero 6-1.


Monchi: «Chiedo scusa ma non arriva nessuno»

IL MESSAGGERO - Monchi parla e la sua, visti i tempi, è quasi una minaccia: «la Roma non farà nulla sul mercato». Brivido sulla pelle, una minaccia, per l’appunto. Né Vida né Barrios,per fortuna; né Vida né Barrios, che peccato. Non si sa, lo scopriremo in seguito. Di sicuro, dopo un sette a uno umiliante, la squadra appare demolita e quel “non faremo mercato” (a parte Luca Pellegrini verso il Cagliari, ma qui siamo al dettaglio) suona come un “tanto non serve a nulla, peggio di così” più che “siamo forti non abbiamo bisogno di nulla”.

Monchi definisce questa sconfitta come uno «dei momenti peggiori della carriera da ds». Di sicuro il peggiore da quando è a Roma. Una sconfitta che lascia il segno, sul futuro di DiFra e il suo, che questa squadra l’ha voluta e costruita. «Io devo imparare anche stavolta, per me è una nuova lezione. Devo essere bravo a trovare le soluzioni cercandole nello spogliatoio. La Roma sul mercato non farà niente. Tutti dobbiamo trovare una soluzione. Devo dare forza alla squadra perché anche i giocatori stanno soffrendo. Quelli che soffrono di più sono i tifosi, chiedo ancora scusa, ma è il momento di restare uniti. Questi sono i giocatori della Roma e io gli starò sempre vicino. L’allenatore rischia? No, se c’è qualcuno in discussione è il ds che ha costruito la squadra». E questo ha detto anche a Pallotta.

DIFESA D’UFFICIO Monchi difende tecnico e giocatori,c ome un papà fa con i figli. «Non dobbiamo creare confusione, questa squadra è più forte di quello che ha fatto vedere a Firenze. Io ho fiducia. Il nervosismo? Non è facile da spiegare, siamo professionisti ma anche persone. Soffrono in campo, c’era voglia di fare qualcosa d’importante. Conosco Dzeko e Cristante. Sono cose che succedono, ripartiremo tutti insieme». Tutto resta così, poi in estete si vedrà. Del resto anche il futuro del ds è in discussione, lui stesso ne è consapevole. «Non so che succederà domani. Oggi siamo in debito con i tifosi e penso solo a questo».


DiFra: «Colpa mia, ma non lascio»

IL TEMPO - VITELLI - Quando Eusebio Di Francesco fa il suo ingresso nella piccola e gremitissima sala stampa dell’Artemio Franchi, Pioli è appena andato via, tra i sorrisi e complimenti, dicendo che la partita con la Roma potrebbe essere stata la più bella della sua carriera. L'allenatore giallorosso, invece, ha una faccia che parla da sola. Basta guardarlo per capire il suo stato d'animo. La tensione è forte e si vede tutta, impossibile nasconderla. «Ogni commento è superfluo c'è solo da chiedere scusa ai nostri tifosi, io sono il primo a farlo», sono le sue parole d’esordio, dette con voce forte e convinta, anche se evidentemente agitata dall’adrenalina di una serata totalmente da dimenticare. Poi, come per cercare di risvegliarsi dall’incubo, a fatica, prova ad analizzare la gara. «Una pessima prestazione di tutti, me compreso. Adesso è difficile fare delle valutazioni, devo aspettare perché sono un impulsivo e potrei sbagliare, come mi è successo in passato. Ci sarà modo nelle prossime ore, quando avremo tutti più lucidità e la mente più fresca».  

Il risultato è pesantissimo, a Roma il 7-1 (dopo quelli subiti dal Manchester United e dal Bayern Monaco) sembra una maledizione. Ma Di Francesco, più che sugli errori tecnici e tattici, che sono stati tantissimi, decide di puntare il dito sull’atteggiamento dei suoi giocatori in campo. «Le riflessioni generali le farò in seguito, ora la priorità è cercare di capire il perché di questi errori. Voglio entrare nella testa dei ragazzi, quello che è accaduto è sconcertante». La domanda sulla possibilità che contro la Fiorentina possa essere stata la sua ultima partita sulla panchina delle Roma, che possa decidere di dimettersi, arriva a metà conferenza stampa. «Dentro di me non c'è il pensiero di lasciare», dice a testa alta cercando di scacciare l’idea della resa. «Non vi darò questo titolo», sussurra accennando una smorfia che è ben lontana anche da un mezzo sorriso. Le domande sono diverse, ma Di Francesco sembra non smuoversi dalla sua idea di partenza, quella di voler mettere al centro dei problemi l'approccio dei suoi giocatori alla gara e soprattutto la non reazione quando le co se si sono messe prima male e poi malissimo.

«La cosa che mi dispiace di più - insiste l’ex-allenatore del Sassuolo - è che nei momenti di difficoltà si perde la testa e questo mi preoccupa più della sconfitta in sé perché dimostra che non c'è unione in campo. Quando si va sotto serve restare compatti e concentrati, noi questo non lo facciamo». E allora come si va avanti? «Ora basta, non dobbiamo cercare alibi, su un cambio, su una scelta. Così non va e non ci sono scuse. Il 7-1 ha un peso importante, perché ci sta di perdere, ma non in questo modo. Il portiere delle Fiorentina Lafont ha fatto una sola parata (su un bel colpo di testa di Zaniolo da distanza ravvicinata quando il risultato era ancora sul 3-1, ndr), noi abbiamo preso sette gol. La tattica va a farsi friggere se non ci si mette dell'altro». 

Ci sarebbe molto altro da dire, ma la comprensibile voglia di finire presto la conferenza spinge il tecnico della Roma a tagliare corto. Per Di Francesco sarà una lunga notte, poi inizierà a fare le sue valutazioni. A mente fredda, come ha sottolineato più volte.


Senza difesa

IL TEMPO - CARMELLINI - Più che un pezzo su una partita di calcio, sarebbe da scrivere un necrologio. I poveri tifosi della Roma pensavano di aver visto tutto nella vita, ma mai avrebbero pensato che dopo Manchester United (e ci può stare) e Bayern Monaco (bis), la Roma un giorno sarebbe riuscita ad incassare sette gol anche dalla Fiorentina: non esattamente una corazzata che viaggia attualmente quattro punti sotto in campionato. E invece è tutto vero.

Al Franchi finisce tra imbarazzo e umiliazione l'avventura giallorossa in Coppa Italia: forse il punto più basso di questa gestione, una vergogna. L’ennesima, ormai una sorta di maledizione, anche se stavolta almeno non è stata per mano della Spal. Cambia poco, soprattutto nell’umore dei tifosi romanisti che avevano detto chiaramente alla squadra quanto tenevano a questa competizione. Niente, non è servito, perché ieri hanno dovuto subire un’onta enorme, inspiegabile e che non concede alibi a nessuno. Tutti colpevoli, perché una partita la puoi anche perdere, ma non così. Non puoi lasciarti umiliare in questo modo davanti al mondo intero. Così si butta via anche quanto di buono (poco a dire il vero quest'anno) fatto finora.

Primo colpevole Di Francesco, perché il pesce puzza sempre dalla testa sì, ma soprattutto perché non è ancora riuscito a trasmettere a questo gruppo una mentalità vincente. Oltre al fatto che tatticamente contro la Fiorentina ha sbagliato tutto il possibile. Poi la squadra. La difesa, imbarazzante, sembrava quella di una squadra di terza categoria (ci scusino per il paragone gli onesti calciatori dilettanti): ogni tiro in porta un gol, impressionante. Manolas apre la sagra delle dormite alle quali poi si aggregano tutti gli altri: Olsen compreso che incassa pure un gol tra le gambe. Il primo tempo si chiude «solo» 3-1 perché la Fiorentina tira in porta quattro volte e una la para (con un mezzo miracolo) l'estremo difensore olandese. E la ripresa va pure peggio: la Roma non c'è più con la testa. Lo conferma l'espulsione di Dzeko che fa una cosa non degna della sua classe. Il fallo non fischiato dal mediocre Manganiello di Lorenzo Pellegrini è clamoroso, ma la reazione comunque non è giustificata: non lo puoi fare. Pastore? Sarebbe bello capire cosa gli è successo, altra giornata da dimenticare: un altro giocatore. Si salva di poco solo il giovane Zaniolo, ultimo a mollare, che almeno ha l'alibi dell’età e comunque sembra molto più adulto di tanti suoi compagni in campo.

Ora c’è da capire come intervenire, alla vigilia di una partita che diventa fondamentale in campionato: domenica all'Olimpico c'è il Milan. Mandare via Di Francesco? Forse, ma per prendere chi a questo punto della stagione!? Probabilmente meglio mettere lui e la squadra davanti alle proprie responsabilità. Devono essere loro a rialzarsi e mostrare al popolo giallorosso di essere degni della maglia che indossano. E incassare una contestazione che a questo punto appare inevitabile. Comunque quella contro il Milan diventa una partita da ultima spiaggia per molti di loro: per il tecnico di sicuro perché qualora dovesse finire in tragedia, anche il mea culpa «onorevole» di Monchi, stavolta potrebbe non bastare a una piazza assetata di sangue.Questa squadra così è davvero indifendibile nonostante in campionato viaggi a un punto dalla Champions: incredibile ma vero, è la stessa Roma.

Per la cronaca: va avanti la Fiorentina che in semifinale di Coppa Itala affronterà l’Atalanta autrice dell'altra sorpresa della serata che ha visto la clamorosa eliminazione della Juve. Tre pappine anche a Ronaldo & Co. e tutti a casa.

 

 


Stadio, arriva il verdetto del Politecnico. I timori M5S: «C’è il rischio bocciatura»

IL MESSAGGERO - DE CICCO - «Saremo riusciti a convincerli?». Si gioca tutta su questa domanda la partita del M5S romano sul nuovo stadio a Tor di Valle, operazione calcistico-immobiliare che moltissimo interessa al patron giallorosso, James Pallotta. Convincere chi? I professori del Politecnico di Torino, dipartimento Trasporti, insomma i super-esperti reclutati da Raggi dopo l’arresto di Parnasi per avere conforto e mandare avanti l’operazione stadio, al netto dello tsunami giudiziario. Una sorta di “bollino” tecnico da appiccicare sopra un progetto controverso che, in questi anni, ha dovuto incassare un filotto di critiche. Comprese quelle dei 5 Stelle, che fino al 2016 si dicevano contrari e che poi, una volta approdati al governo di Roma, hanno accettato un compromesso con i privati, sforbiciando un po’ le cubature record per uffici e alberghi, che però continuano a sforare, di molto, i limiti del Piano regolatore. Servirà allora una variante urbanistica, da votare in Consiglio comunale. Pensare che l’atto avrebbe dovuto essere discusso l’estate scorsa, poi la retata per corruzione ha fermato il cronometro.

LA FRONDA La fronda dei grillini contrari o riottosi al progetto si è ingrossata e ha ripreso forza. Tanto da mettere a repentaglio l’esito del voto in Assemblea capitolina. Anche per questo Raggi si era rivolta al Politecnico. La “benedizione” degli ingegneri sabaudi avrebbe dovuto convincere i dubbiosi e portare a dama l’approvazione. Ma a fine 2018, dal Piemonte, è arrivata la doccia fredda: il progetto Tor di Valle avrà un impatto «catastrofico» sulla viabilità nel quadrante Sud della città, si leggeva nella prima bozza del rapporto. Cinque grandi arterie andrebbero al collasso, dalla Colombo al Raccordo. Praticamente inutile l’unificazione dell’Ostiense-Via del Mare o il nuovo ponte dei Congressi, da solo. Si assisterebbe a «un blocco pressoché totale della rete principale». Raggi e i suoi, quando la notizia è trapelata, hanno bollato il documento come «provvisorio». Contatti continui sull’asse Roma-Torino, in queste settimane, hanno provato a smussare i contorni della stroncatura. Per il verdetto finale è questione di ore.

Sarebbe dovuto arrivare ieri (lo attesta un documento del dipartimento Mobilità) ma a Palazzo Senatorio non hanno consegnato alcun plico. «Forse oggi, allora», dicevano ieri nell’entourage della sindaca. «Forse la settimana prossima». A questo punto in Campidoglio sperano di strappare almeno un «sì con prescrizioni». Ma i dirigenti comunali che hanno avuto a che fare con i «professori» torinesi non condividono l’ottimismo: «Se prima hanno detto che era una catastrofe, ora non potranno dire che, in fondo, va quasi tutto bene», ragionava ieri il manager di un importante dipartimento. Lo stesso pensa più di un consigliere pentastellato.Trapela scetticismo anche dai due municipi che dovranno sfornare un parere, entrambi a maggioranza grillina. In tanti, nelle chat interne, si esprimevano così: «Se dal Politecnico, che abbiamo chiamato noi, arriverà una seconda bocciatura, anche se un po’ alleggerita, come facciamo a voltarci dall’altra parte?».

Raggi sta studiando le contromisure. Per esempio, si proverà a dire che la Roma-Lido sarà rafforzata, con più treni, se non si farà il Ponte di Traiano. Ma il potenziamento della tratta dipende quasi per intero dalla Regione, che ha già fatto capire di voler investire su tutta la linea, oggi piuttosto malandata, non solo nella zona intorno all’impianto sportivo.


Tifosi infuriati, contestazione al rientro a Trigoria

IL MESSAGGERO - Rabbia, delusione e sconforto: i tifosi romanisti non hannod igerito l’umiliazione nei quarti di finale diCoppa Italia, contestando la squadra sia alla partenza da Firenze che al rientro a Trigoria.

I 2.500 tifosi che hanno seguito la squadra al Franchi hanno aspettato la squadra alla stazione ferroviaria di Campo diMarte per protestare e manifestare tutto il dissenso. Ma la Roma, prevedendo la contestazione, ha scelto di far tornare con il pullman calciatori, allenatore e staff tecnico (Monchi compreso), mentre gli altri dirigenti e i dipendenti sono rientrati in come da programma treno.

Qualche tifoso, che si è accorto del cambiamento, ha seguito il pullman in auto fino al centro sportivo di Trigoria, dove questa mattina alle 11 riprenderanno gli allenamenti. Al centro sportivo giallorosso, dove si erano portati anche due blindati della Polizia con poliziotti in tenuta antisommossa, c’erano una ventina di tifosi appostati sul piazzale Dino Viola, ai quali è stato impedito di avvicinarsi all’ingresso del centro tecnico.

Il primo ad arrivare è stato il pullman dello staff tecnico a cui sono stati rivolti insulti e lanciati degli oggetti che non hanno recato danni. Poco dopo è arrivato quello che aveva a bordo i calciatori, e anche al secondo mezzo è stata riservata la stessa accoglienza, con l’aggiunta di un lancio di uova. La decisione di non tornare in treno era stata presa anche dopo il ko di Bologna, lo scorso 23 settembre: un 2-0 che spinse Di Francesco a ordinare un ritiro al quale fecero seguito quattro vittorie consecutive. Ma questa volta il ritiro non ci sarà.


Il mea culpa a caldo del ds Monchi: «Il giorno peggiore in carriera ma Di Francesco non si tocca»

IL TEMPO - AUSTINI - «Scusa, scusa, scusa». Monchi lo dice tre volte, con una faccia da funerale e una voce flebile, rivolgendosi ai tifosi della Roma umiliati e inferociti. «Loro sono quelli che soffrono di più», riconosce lo spagnolo, mai così distrutto davanti alle telecamere. «E il giorno peggiore da quando faccio il direttore sportivo, non ho mai visto una partita così», parole che sembra dire sinceramente e spiegano quanto sia grave la situazione ed epocale questa sconfitta.

E adesso che succede? Chi paga? Chi si dimette? Chi decide qualcosa? Il popolo romanista vuole una testa, un responsabile, un gesto, una reazione. Persino un nuovo acquisto, chiunque esso sia, per poter sperare in una faccia diversa. Ma fino a ieri sera non si è mosso nulla, perché la botta è così dura e imprevista nelle dimensioni, una delle peggiori della storia, che qualsiasi scelta necessita delle profonde riflessioni. Quindi nell'immediato niente di niente, neppure il ritiro punitivo già provato due volte con scarsi risultati. La Roma, come sempre, non ha agito a caldo però stavolta qualcuno dovrà assumersi le responsabilità e farsi da parte. Se non subito, a breve o al più tardi a inizio stagione. Intanto c’è da affrontare il Milan fra tre giorni e una sconfitta peserebbe tanto nella corsa al quarto posto.

«Ask Monchi», «Chiedete a Monchi» è l’unico commento che arriva da Pallotta, osservatore distante dell’ennesimo  crollo stagionale, il più duro da digerire. E lo spagnolo non sembra avere in mente strappi o svolte di alcun tipo: «Il mercato si chiude senza che faremo nulla, a parte la partenza di Luca Pellegrini per Cagliari», annuncia. Ieri tutto fatto per il prestito del terzino ai sardi, mentre l'acquisto di Vida è saltato per motivi economici prima della partita: non c’era un euro in cassa da investire e il Besiktas ha rifiutato la proposta di prestito con obbligo di riscatto. «Le soluzioni sono nello spogliatoio - prosegue Monchi - tutti abbiamo portato la squadra a  questo punto e dobbiamo trovare la via d'uscita. Credete che comprando uno o due giocatori si risolve il problema? Il primo pensiero è dare  sostegno alla squadra, ora sarebbe più facile allontanarsi dai giocatori, io non l'ho mai fatto e mai lo farò. Loro portano la maglia della Roma e sarò al loro fianco fino in fondo».

Gli chiedono se quel fondo può essere giugno, inevitabile pensare a un addio del diesse al termine della stagione, ma lui se la cava così: «Non so cosa possa succedere domani, figuriamoci se posso parlare del futuro». Pallotta si fida di lui ma quando la Roma affonda di solito perde le staffe e inizia a chiedere consigli a tutti, da Baldini in giù. Mesi fa, almeno due volte, voleva cacciare Di Francesco ma alla fine ha prevalso la linea di Monchi che anche ieri sera ha difeso l'allenatore. «Se qualcuno è in discussione - ribadisce - sono io che ho costruito la squadra».

Una via d'uscita sarebbero le dimissioni dell’abruzzese, che però ieri ha negato di pensarci. Il nome più papabile per sostituirlo sarebbe Paulo Sousa, pronto in ogni istante a parlare col club. Ma non ha mai convinto Monchi e sarebbe un ripiego. Come Donadoni, Montella e tutti gli altri disponibili. A profili del calibro di Conte è inutile pensare. La verità è che i problemi sono troppi e non c'è soluzione.


Pallotta furibondo, DiFra: «Non lascio»

IL MESSAGGERO - ANGELONI - Certo, proprio a Firenze e contro la Fiorentina, la ex squadra di Paulo Sousa. Si ritorna a parlare portoghese, sì proprio lui e sempre lui. Come sempre in questi casi, quando Di Francesco torna in bilico, e ci torna davvero, dopo una serata come questa, con la Viola. Quando la Roma vuole farsi male, ecco che ricorre l'1 a 7, o il 7-1, fa lo stesso e sempre sette sono. Quando si fa, si fa per bene. Sette sono tanti e invitano Pallotta a porre rimedio, al di là delle smentite doverose. Il presidente ha la sua idea, da Cagliari addirittura, 8 dicembre: via DiFra. Monchi ne ha un'altra, da sempre: resta Di Francesco, senza se e senza ma. E infatti si arriva all'"e sono ancora qua, eh già" del 29 dicembre, Parma-Roma, sembrava la fine di un incubo. E l'incubo è tornato, a Firenze, contro i Viola. Sconfitta incredibile, inspiegabile. Monchi si piazza ancora sulle spalle di Eusebio, come a dire: prendetevela con me. Le riflessioni verranno fatte, fino a quando non si deciderà se continuare o meno. E per ora, trapela, che si va avanti così. L'allenatore può non piacere alla dirigenza o a una parte di essa, ma è evidente come questa umiliante e raccapricciante sconfitta non sia figlia solo di scelte dell'allenatore. I giocatori del resto li abbiamo visti tutti.

DISTRUTTO Di Francesco entra nella sala stampa del Franchi come se avesse preso - nello spogliatoio - un'altra razione di schiaffi. Ma è serio, con la schiena dritta. «Io non mi dimetto, nella mia testa non c'è questo tipo di pensiero». Così, in sintesi. Non si dimette e per ora non viene presa alcuna decisione drastica, c'è il Milan a un passo. Eusebio pensa solo a come uscirne, di nuovo: la Roma è infinitamente malata. E i motivi sono tanti. «Ora c'è solo da chiedere scusa a tutti i tifosi per la prestazione vergognosa che abbiam fatto. La lista degli errori è piena: ma mi dispiace di più che nella difficoltà si perde la testa. Questo non dimostra unione, ma il contrario. Quando si è squadra lo si deve essere anche quando le cose vanno male. Parliamo sempre di una Roma di giovani, ma non possiamo trovare alibi. Basta, basta, basta. Dobbiamo guardarci in faccia bene, per quella che è stata la prestazione. Non esiste puntare il dito su un cambio sbagliato, su una scelta. Siamo noi, insieme, compreso me, che dobbiamo capire che così non va e non può andare». Oggi si torna a Trigoria, con i tifosi molto arrabbiati, anche ieri a Firenze si sono fatti sentire. In questo scenario, Eusebio dovrà ricomporre i cocci e provare a pensare al Milan, sapendo che la sua Roma ha disimparato a difendere. «Il nostro portiere al Franchi ha fatto una parata e abbiamo preso sette gol. Abbiamo difeso malissimo, è una cosa che mi fa impazzire, possibile che una delle migliori difese dell'anno scorso, in questo momento non sappia difendere? Ora dobbiamo capire qual è il sistema giusto, questo modulo sembrava la soluzione. Ma la tattica va a farsi friggere quando non si è accompagnati da altro. Nel calcio se non si tirano fuori determinate cose, determinati atteggiamenti, il resto non conta niente».

RIENTRO IN PULLMAN Intanto, ieri sera, la squadra è rientrata da Firenze a Roma in pullman anziché in treno come inizialmente previsto per ragioni di ordine pubblico.


Verso il Milan: l'allenatore spera in De Rossi, Pastore bocciato

IL TEMPO - MENGHI - Tra nervi tesi e squalifiche, la Roma prepara la sfida alMilan tra mille problemi. L’ira di Dzeko contro l’arbitro Manganiello non avrà conseguenze dirette sul campionato, ma è una magra consolazione: il bosniaco non ha sputato, come alcune immagini cercavano di provare, bensì gridato «vergogna» in faccia al direttore di gara, reo di non aver fischiato il fallo ai danni di Pellegrini (e precedente mente su Zaniolo, contribuendo a creare tensione), e per questo gesto sopra le righe verrà sanzionato con al meno due turni di stop, che sconterà però nella prossima Coppa Italia. L’attaccante se l’è presa anche con Cristante, contro cui si è scagliato pure Fazio. Di Francesco dovrà calmare gli animi mentre studia la strategia anti-Milan, considerando le squalifiche più pesanti dello stesso Cristante e di Nzonzi.

De Rossi ha ripreso confidenza con il campo nello spezzone finale al Franchi, se il ginocchio risponderà bene potrebbe giocare dal 1’domenica. Con lui Zaniolo e Pellegrini, bocciato Pastore. Difficilissimo il recupero di Under, Kluivert non convince e Florenzi potrebbe avanzare in attacco con El Shaarawy e Dzeko


Un gruppo indecente sempre più allo sbando

IL MESSAGGERO - FERRETTI - Considerato che vincere lo scudetto sarà praticamente impossibile, e che conquistare la Champions League sarà molto, molto complicato, il sospetto che anche per questa stagione la Roma sia destinata a chiudere con zero tituli dopo Firenze è diventato praticamente una certezza. Poteva esserci la Coppa Italia a riempire una bacheca vuota da oltre dieci anni, ma Eusebio Di Francesco e il suo gruppo hanno deciso di togliersi il pensiero facendosi eliminare in maniera vergognosa dalla Fiorentina.

Una Roma imbarazzante nella fase difensiva, soprattutto. I tre gol subìti nella prima mezzora abbondante di gioco sono nulla di fronte a quanto di osceno è stato prodotto complessivamente da panchina e giocatori. Un'esibizione così povera, così penosa, così piena di nulla si fa fatica a vederla perfino in Terza Categoria, ma la Roma non si fa mai guardare dietro e, generosa come nessun'altra, si è regalata un'altra prova umiliante. Insultando, oltre che se stessa, i suoi tifosi, in primis quelli che hanno preso acqua a fiumi al Franchi. Tutto doveva fare, la tenera Roma di EDF, tranne che far giocare la Viola di rimessa: invece è accaduto esattamente quello, con i legnosi birilli della difesa saltati sistematicamente in velocità in maniera puerile dagli avversari.

DISGUSTO? NO, DI PIÙ Uno, vista la situazione del primo tempo, ha pensato: ora la panchina interviene e cambia. Magari si aggiustano i reparti, si dà una sistematina alla squadra rendendola meno lunga e meno larga. Invece niente, almeno fino all'intervallo. Poi spazio a due punte e tanti saluti a Pastore e Nzonzi (due perle del mercato estivo del ds Monchi): Roma improvvisata, super offensiva, quindi non equilibrata, e a seguire quarto gol della Fiorentina ancora sfruttando l'ennesimo errore in fase di uscita. Il quinto, sesto e settimo gol (sì, il quinto, il sesto e il settimo) sono arrivati con l'uomo in meno, ma il dato non assolve nessuno. Che povertà. Che tristezza. Non vi resta che vergognarvi. Tutti, nessuno escluso.

La Roma è una squadra (squadra?) che non sa assolutamente difendere, che non sa cosa significa proteggere con tutta se stessa la propria porta. Solo nel 2019 ha beccato 12 gol in tre partite (media 4 a gara), un ruolino di marcia da scapoli contro ammogliati. E che quando attacca ha la forza d'urto di una libellula ferita. Una Roma che non sa giocare, in sintesi. Un solo aggettivo: indecente. Altro che disgusto: di più. La Grande Bruttezza dell'indecenza. Resta da chiedersi una cosa: tutti remano dalla stessa parte, cioè dalla parte della Roma? A giudicare dalla partita di Firenze, no.


Il caso Di Francesco: la Roma brucia e nessuno decide

LA REPUBBLICA - FERRARA - PINCI - Non è stata la prima volta, di certo è stata la più imbarazzante. Un altro 7-1, un’altra figuraccia, anche se davanti non c’erano né il Manchester di Ferguson né il Bayern di Guardiola: la Roma di Di Francesco è precipitata ieri, a Firenze, travolta dai sette gol della Fiorentina, dalla tripletta di Federico Chiesa, che nel 2019 ha già segnato 7 gol in 4 partite, dal quarto gol di Muriel in quattro incontri con la maglia viola.

C’erano in tribuna i volti atterriti di Francesco Totti e del ds Monchi, il presidente americano Pallotta era invece davanti alla tv a migliaia di chilometri dal Franchi. Lascerà proprio a Monchi («Chiedete a lui») il peso della decisione che determinerà il futuro a breve termine della Roma: cambiare o meno l’allenatore. «Il giorno più difficile nella mia carriera di direttore sportivo», diceva Monchi cercando la forza per perseguire la propria idea: «L’allenatore non rischia, se qualcuno è in discussione è il direttore sportivo che ha fatto la squadra, ma non so cosa sarà domani». Di Francesco si scusava per la «prestazione vergognosa» ma non si dimetterà.

Quella di ieri è stata comunque una notte di riflessioni per i dirigenti. Da una parte la linea conservativa del ds spagnolo. Dall’altra quella interventista del consulente ombra di Pallotta, Franco Baldini, che avrebbe seduto Paulo Sousa sulla panchina romanista già a settembre. E pure a Trigoria c’è chi capisce che da un tracollo così si debba uscire con un segnale di discontinuità. Che non passerà per nuovi acquisti: dopo il naufragio del mercato estivo - anche ieri Pastore, Kluivert e Nzonzi sono stati bocciati senza appello dal campo - quello di gennaio chiuderà oggi senza novità.

Non potendo cambiare calciatori, l’idea di mettere mano alla panchina resta in ballo, anche se per la dirigenza i responsabili sono sempre i calciatori. Pure Di Francesco, che 7 gol li prese due volte dall’Inter ai tempi in cui guidava il Sassuolo, aveva puntato l’indice contro la squadra dopo la rimonta subita a Bergamo. «Mi fa diventare matto», disse, e ieri ci è ricascato, pensando più a difendere se stesso che i calciatori: «Quando la squadra è rinata ero sempre io l’allenatore, poi quando si perde così uno si fa tante domande per capire, pur avendo difficoltà a darsi delle risposte».

Insomma, un’altra accusa velata all’atteggiamento della squadra. Che mostra segni di insofferenza, se Dzeko riesce nella stessa partita a mandare a quel paese il timido Cristante e poi a farsi cacciare per una protesta sciocca che a molti, ma non all’arbitro Manganiello, era parso uno sputo. E se Kolarov dimostra ampiamente in campo - e nonostante il gol - un atteggiamento praticamente rassegnato di fronte al modo di difendere. Inevitabile finire per farsi delle domande sulla popolarità del tecnico nello spogliatoio. Anche se in ritardo: nel 2015/16, Rudi Garcia fu risparmiato a dicembre dopo una figuraccia in Coppa Italia con lo Spezia per poi finire esonerato a gennaio. Con Di Francesco la Roma ha scelto ancora la strada della pazienza: ma anche a Trigoria inizia a circolare la percezione di un accanimento terapeutico. I fantasmi dei 7-1 passati - Manchester nel 2007, il Bayern nel 2014 - non rendono meno pesante la situazione attuale: bisogna solo capire chi avrà voglia di decidere. E domenica arriva il Milan di Piatek.

 

 


Dopo la disfatta l’ombrello di Monchi su DiFra: “Colpa mia chiedo scusa ai tifosi”

LA REPUBBLICA - FERRAZZA - Un’umiliazione, una delle più grandi che si ricordino nella storia della Roma. Umiliati e in piena crisi isterica, i giallorossi spariscono a Firenze perdendo la faccia e buttando via l’unico trofeo in cui potevano arrivare fino in fondo. Finisce 7-1, ma più dei gol, pesa la totale disgregazione di un gruppo che crolla in fase difensiva come una squadra di dilettanti, consegnandosi con un’arrendevolezza che disarma. E che porta sull’orlo del precipizio Di Francesco. Il tecnico è ormai arrivato al capolinea e nelle prossime ore i vertici societari valuteranno se sia il caso di esonerarlo. Già in nottata con i dirigenti presenti a Firenze, il tecnico ha fatto sapere di non volersi dimettere e, se glielo chiedessero, andrà incontro alla società discutendo una transazione per rescindere consensualmente il contratto. Pronto, neanche a dirlo, ci sarebbe ancora Paulo Sousa, rimasto in naftalina per settimane in attesa degli aventi. Pallotta, da tempo non troppo d’accordo con la decisione di Monchi di continuare con Eusebio, è imbufalito e si potrebbe arrivare nelle prossime ore a delle conseguenze estreme. Anche perché domenica sera, tra quattro giorni, all’Olimpico arriverà il Milan, per quello che sarà uno scontro diretto e decisivo per il quarto posto. Perdere anche quel treno vorrebbe dire difficilmente riuscire a piazzarsi in zona Champions a fine stagione. I circa 2500 romanisti presenti nel settore ospiti di Firenze, sotto la pioggia che non ha dato tregua al Franchi, intorno all’ottantesimo hanno levato stemmi e bandiere dalle vetrate in segno di protesta, svuotando le gradinate a loro riservate. «Andate a lavorare» e «Solo la maglia» i cori intonati contro i giocatori, per una contestazione che proseguirà domenica prossima.

«Scusa scusa scusa – quasi sussurra con un filo di voce Monchi – è il momento più doloroso da quando faccio il direttore sportivo. Adesso non è il momento giusto per punire, l’allenatore non rischia l’esonero, starò vicino a lui e ai giocatori fino alla fine. Semmai sono io in discussione perché io ho costruito la squadra e dato la fiducia a Di Francesco». E ancora, sul mercato. «Non prenderemo nessuno, per noi è chiuso. Usciremo da questa situazione col lavoro». È la sesta volta che la Roma subisce sette gol nella sua storia – quella di ieri è stata la prima in Coppa Italia – l’ultima delle quali contro il Bayern nel 2014. In più i giallorossi non subivano quattro reti nella coppa nostrana dalla finale del 2003, persa contro il Milan. Numeri impietosi, che appesantiscono uno dei momenti più difficili degli ultimi anni, restituendo la sensazione che sia davvero complicato, a questo punto, trovare una via d’uscita a quello che è un vero e proprio shock. Quarantaquattro i gol presi in 29 partite, 12 in quattro partite del 2019 Nel disastro di Firenze – arrivato a tre giorni di distanza dal disastro di Bergamo – si è rivisto in campo De Rossi, entrato quando ormai la barca era naufragata, per mettere minuti nelle gambe dopo tre mesi di assenza. Il capitano dovrà scendere in campo contro il Milan, viste le assenze degli squalificati Nzonzi e Cristante.