Kolarov: "De Rossi è fondamentale, Schick ha bisogno di tempo"
Non ama rilasciare interviste, ride poco e prende sul serio anche un'amichevole. Ama il pallone, le sue origini, la famiglia, il lavoro, vincere le partite. Uno dei calciatori più diretti e sinceri si è raccontato in un’intervista con il sito ufficiale dell’As Roma. Ecco chi è Aleksandar Kolarov.
Partiamo dall’inizio. Chi era Aleksandar da bambino?
“Un bambino come tutti gli altri. Ovviamente vengo da un Paese come la Serbia, dove non c’erano molte possibilità visto il periodo in cui sono cresciuto. Per questo il pallone era un’ossessione, non solo per me ma anche per tutti i miei amici. Dopo un po’ è diventato un sogno, già da piccolo ero convinto che sarei arrivato in alto”.
Quando hai capito che avresti fatto il calciatore?
“Gioco da quanto ho sette anni, poi a 17 anni ero al Cukaricki Stankom e sono passato dalla Primavera alla Prima Squadra. Ho cominciato a fare sul serio e dovevo scegliere se continuare a fare il calciatore o continuare la scuola: ho preso la strada del pallone, ma dopo ho proseguito comunque gli studi come potevo. È lì che ho capito che il calcio sarebbe stato davvero il mio futuro”.
C’è un giocatore al quale ti ispiravi o che ammiravi?
“Tutta la mia generazione guardava agli idoli della Stella Rossa, quelli che vinsero la Coppa dei Campioni nel 1991. Io adoravo Mihajlovic e mi ispiravo a lui. In realtà ho sempre ammirato i calciatori offensivi e tecnicamente forti, non mi interessavano i terzini. Mi piaceva molto Lampard, con il quale sono riuscito a giocare al City, e anche Gerrard. Tra quelli della Serie A da noi era molto famoso Ronaldo in Fenomeno, un idolo per tutti, anche Maldini per la classe che aveva. E poi Totti, quando la Roma vinse lo Scudetto”.
Hai sempre giocato come terzino?
“No, principalmente ero ala: da terzino ho iniziato con la Primavera. Per questo ho il numero 11. Da più piccolo ero anche centrocampista o mezzala sinistra. Avevo già un tiro potente e in quelle categorie faceva la differenza questo dettaglio: i portieri erano bassi e bastava tirare forte e alto per scavalcare la barriera”.
Chi ti ha insegnato a calciare le punizioni?
“Mi è sempre piaciuto, fin da quando ero bambino. La potenza ce l’ho sempre avuta, ma le punizioni non si insegnano, si allenano. Io mi alleno tanto. E ogni tanto faccio qualche gol bello. Ma è solo allenamento”.
Qual è il consiglio migliore che hai ricevuto in carriera?
“A un ragazzo puoi dire tutto quello che vuoi, come all’uomo, ma finché non vai contro un muro non le realizzi certe cose, devi capirle da solo. Io credo sempre nel lavoro e nell’onestà. Devi presentarti bene al campo di allenamento, con la motivazione giusta e con la disciplina. Non basta alzarsi una mattina e dire “dai, oggi sono calciatore”, bisogna pensarlo sempre, anche nei momenti meno belli, perché è lì che serve andare più forte”.
Quanti anni avevi quando è iniziata la guerra nel tuo Paese?
“Avevo 14 anni quando è cominciato tutto nel mio Paese e ricordi molto vivi di quel periodo. Dopo due o tre giorni di paura, purtroppo, ti abitui che la guerra resta lì, non se ne va. E tu puoi fare tutto quello che vuoi, ma se quelli da sopra lo decidono sei fuori. Quindi abbiamo iniziato a vivere una vita regolare, non si andava a scuola e per noi era tanto, perché significava avere più tempo per giocare a pallone. Lo facevamo per strada, di sera c’erano le sirene e ci rifugiavamo, era il segnale che gli arei stavano partendo dalle basi. Poi è arrivato il momento in cui neanche le sirene ci facevano più effetto e dopo un mese di guerra rimanevamo fuori a giocare, fino a mezzanotte”.
Quanto ha influito sulla tua vita quel periodo?
“È stata un’esperienza che ha fatto crescere in fretta tutti i ragazzi della mia generazione, siamo diventati uomini prima”.
Qual è la persona con cui hai condiviso maggiormente questa esperienza?
“Mio fratello Nikola. Stavamo sempre con il pallone tra i piedi. E qualche volta ci siamo fatti anche male. Ci piaceva tanto un gioco, partivamo dai due lati opposti della stanza, mettevamo un pallone al centro e gli andavamo contro correndo, per vedere chi vinceva il contrasto e chi era più forte fisicamente. Una volta gli ho rotto la clavicola. Mentre lui mi ha rotto una mano”.
In molti ti descrivono come serio e burbero: vuoi smentire questa voce?
“Non c’è niente da smentire, io sono serio. Sono il primo a scherzare, se serve, ma ci sono i momenti in cui non si può. Non mi piace scherzare in campo. Ovviamente ci sono allenamenti in cui ci si diverte di più, ma quando si lavora si lavora, non mi piace quando uno sottovaluta gli allenamenti: lì mi incazzo proprio”.
Quando torni a casa però un sorriso lo farai…
“Io rido sempre, tranne quando sono nervoso: capita a tutti. La cosa che non mi piace è una: siccome sono un personaggio noto e sono un calciatore, qualcuno si prende troppa confidenza con me se mi incontra per strada. E io mi chiedo: ma ci conosciamo? Sarà anche un mio difetto, ma sono fatto così”.
Il calcio però sembra darti tante emozioni…
“Per me, visto che ti alleni tutta la settimana, non c’è una cosa più bella della vittoria, al fischio finale mi sento volare, mi sento più libero. Quando non vinciamo sono teso e non riesco a dormire. Noi lavoriamo per questo. Sono sempre contento dopo un successo, tutte le volte, mi basta vincere contro una squadra di terza categoria per provare una sensazione incredibile”.
Qual è il campo più difficile sul quale hai giocato in carriera?
“Ci sono tanti campi caldi. Anfield è molto difficile a livello di ambiente. Tutte le partite più importanti le senti da solo, non serve la cornice a ricordarti che sono difficili. E dopo un po’, con l’esperienza, la pressione dei tifosi la senti sempre meno, però”.
Chi è il tuo migliore amico nel calcio?
“Ne ho tanti, con molti di loro ci sono cresciuto. Non vivendo più in Serbia, la vita mi ha diviso con molti di loro. Il mio migliore amico è Dorde Rakic, mi ci sento spesso, ha giocato in Italia alla Reggina, in Germania e in tante altre parti del mondo. Edin (Dzeko, ndr) lo conosco da tanti anni ed è uno dei miei migliori amici. Daniele (De Rossi, ndr) lo conoscevo prima, ma ora che ci gioco insieme e ho approfondito la persona lo ritengo tra i miei migliori amici. Ho un ottimo rapporto anche con Company, del City. Ma la vita è così, spesso ci si allontana”.
Giocare in Premier era un obiettivo importante per la tua carriera?
“Avevo dieci anni e quando guardavo il calcio inglese in televisione già dicevo a mia madre “io andrò a giocare lì un giorno”. Quando poi sono andato al Manchester City l’ho chiamata e le ho detto “hai visto che avevo ragione?”. Lei mi ha risposto “te mica sei normale…”.
Cosa vuol dire per te indossare la maglia della Serbia?
“È un orgoglio, come credo lo sia per tutti i calciatori di ogni Paese. Io ho fatto più di 80 presenze in Nazionale e sono capitano, quindi sono certo della convocazione. Eppure mi sento sempre fiero quando arriva la chiamata, è un’emozione tutte le volte. Quando non sentirò più niente, smetterò di giocarci. È una cosa che devo al mio Paese. Noi non andiamo lì per soldi, non siamo pagati, ma è un orgoglio. E finché provo qualcosa ci sarò”.
Quanti tatuaggi hai?
“Ne ho uno, ma è enorme. Volevo farlo, sette o otto anni fa ho chiamato un mio amico e abbiamo deciso mentre lo faceva cosa aggiungere. Mi chiedeva “ti piace questo?” e inserivamo un dettaglio. Non ha un significato particolare. Ora non lo rifarei, ma ormai è lì”.
Al tuo arrivo a Roma si è parlato tanto del tuo passato alla Lazio: poi è arrivato quel gol a Bergamo alla prima di campionato. Cosa hai pensato dopo aver segnato?
“Quando ho ricevuto la chiamata della Roma non ho mai avuto dubbi, anche perché già conoscevo la piazza e gli eventuali problemi. Ma sapevo che lavorando bene e facendo il mio mestiere non avrei fatto fatica in questa avventura. La punizione segnata alla prima partita è stata una bella spinta. Io non mi guardo mai indietro, so che a qualcuno inizialmente il mio passato alla Lazio ha dato fastidio, da una parte e dall’altra. Questo però fa parte del calcio e dell’ambiente di questa città. Ognuno ha la sua opinione ed è libero di esprimerla".
Che consiglio daresti a un ragazzo che sogna la carriera da professionista?
“Essere onesti con se stessi. Tutti i genitori vogliono bene ai figli, ma alcuni esagerano. Io sono stato fortunato, perché mia madre non capiva niente di calcio e mio padre non giocava. Ho fatto il mio percorso da solo. Oggi appena uno fa un gol a dieci anni, la mamma e il papà sono i primi a dire “questo è più forte di Totti e di De Rossi”. È sbagliato. Se mio figlio domani vuole fare il calciatore ma non è capace, sarò io il primo a dirgli che è scarso, serve la verità. Ce ne sono tanti di ragazzi bravi, ma a quindici o sedici anni non sono diventati già giocatori forti, c’è tanta pasta ancora da mangiare per crescere. Serve onestà con i giovani e loro devono essere bravi a lavorare tanto. Faccio un esempio. Nicolò Zaniolo è un ragazzo dal futuro top. Mi piace come si comporta, è serio e lavora. Lui sì che ha la testa giusta. Ma se dovessi vederlo volare troppo, sarei il primo a tarpargli le ali. Per il suo bene”.
E con i più grandi come ci si comporta, invece? Prendiamo Edin Dzeko, con una grande carriera alle spalle ma in passato criticato spesso per alcune prestazioni.
“Su lui mi sono espresso già e non parlavo dei tifosi della Roma, ma in generale. Magari ne avessimo altri tre o quattro come Dzeko. Per Edin parla il campo. Ci sono i calciatori e i giocatori. Edin è un giocatore”.
Hai pensato la stessa cosa quando hai sentito dei giudizi sui nuovi acquisti?
“L’equilibrio serve sempre, ma in questa città non c’è e lo sappiamo. Ieri era il compleanno di Patrik Schick, sai quanti anni ha? Ventitré! E è arrivato qui ne aveva 21. È giovane, tanto giovane. È un ragazzo. Ora sta bene fisicamente e speriamo che faccia tanti gol. Il tempo serve a quell’età. Non è come uno come me, ho 32 anni, ho esperienza e il giudizio può essere diverso. Come Schick ce ne sono tanti in squadra, che prima erano considerati scarsi, ma che ora si stanno esprimendo al meglio e sono veramente bravi”.
De Rossi è il Capitano di questa squadra: che valore ha un giocatore come lui, anche in questo periodo di assenza dai campi di gioco?
“È fondamentale. In carriera ne ho visti pochi così tifosi e così attaccati alla squadra in cui gioca. Io ora do tutto per la Roma, ma non posso mai dire di essere più romanista di De Rossi. Non ho mai visto uno così attaccato alla maglia. Lui è fondamentale nello spogliatoio, anche quando non gioca. E ora che sta tornando in campo si sente subito”.
È vero che odi rilasciare interviste?
“Sì, è vero”.
Ne facciamo un’altra prima della fine della stagione?
“Questa non mi è dispiaciuta, ma vediamo. Non lo so”.
Allenamento Atalanta, prima palestra e poi tattica. Domani la rifinitura a porte chiuse
L’Atalanta è tornata ad allenarsi in vista del match di domenica contro la Roma. I nerazzurri, agli ordini di Gasperini, hanno sostenuto una seduta d’allenamento a porte chiuse. La squadra ha svolto prima esercizi in palestra, per poi dedicarsi alla tattica e alle partitelle finali. Freuler e Varnier hanno proseguito con i rispettivi programmi di lavoro personalizzati. Domani la rifinitura sarà effettuata a porte chiuse.
Mancini: "Fa sempre piacere l'interesse di certe squadre, ma penso all'Atalanta"
Gianluca Mancini, difensore goleader dell'Atalanta (18 presenze e 6 gol finora), piace molto alla Roma che vorebbe prenderlo già in questa sessione di mercato. Dell'interesse dei giallorossi e di altri club ne ha parlato lo stesso Mancini al sito legaseriea.it. Queste le parole del difensore classe '96: "Sapere che c’è un po’ di interesse da certe squadre fa sempre piacere. Però io ho una visione un po’ strana di questa cosa: per noi giovani, dopo qualche buona prestazione e magari qualche gol, escono troppi articoli e ci sono troppi rumors. Il mio presente è a Bergamo, penso all’Atalanta e a fare bene qui".
Un parere anche su Zaniolo, compagno nelle giovanili della Fiorentina: "Io l’ho visto in fase di sviluppo, quando era un bambino, e rivederlo ora cresciuto 1 metro e 90 e così muscoloso mi ha fatto impressione. È un giocatore molto forte".
InsideRoma Daily News: Emery chiama Monchi all'Arsenal. Schick: "Voglio rimanere e aiutare la squadra". La Spal segue Luca Pellegrini
NOTIZIE DEL GIORNO | 25 GENNAIO 2019
QUI ROMA
La Roma, che domenica prossima affronterà l’Atalanta, si allenata quest’oggi cominciando il lavoro in palestra per poi spostarsi sul campo. Solo terapie per Juan Jesus, Perotti ed Under. Domattina rifinitura alle 11, ed alle 15 è programmata la partenza per Bergamo.
Determinato a fare bene Patrick Schick, che ha parlato della sua avventura nella Roma: “Ci sono stati momenti bellissimi e momenti difficili. Non sono arrivato in condizioni perfette e poi sono stato infortunato per due mesi. Con il Barcellona e in Champions momenti bellissimi. Voglio aiutare la squadra, mi sento bene. Quando fai gol ti senti in fiducia e giochi meglio. Avete scritto solo voi che sarei partito. Voglio rimanere”.
Di Schick ha parlato anche Kolarov, che ha ricordato i suoi sogni da bambino: “Schick ha bisogno di tempo. Ero un bambino come tutti gli altri. Ovviamente vengo da un Paese come la Serbia, dove non c’erano molte possibilità visto il periodo in cui sono cresciuto. Per questo il pallone era un’ossessione, non solo per me ma anche per tutti i miei amici. Dopo un po’ è diventato un sogno, già da piccolo ero convinto che sarei arrivato in alto. Io adoravo Mihajlovic e mi ispiravo a lui. In realtà ho sempre ammirato i calciatori offensivi e tecnicamente forti, non mi interessavano i terzini”.
MERCATO
In chiave mercato non interessano solo i giocatori, ma anche i DS. Infatti il giallorosso Monchi piace molto all’Arsenal dove l’avrebbe richiesto l’ex Siviglia Emery. Ma il DS ha ribadito di voler rimanere alla Roma.
In uscita la Spal ha messo nel mirino il terzino Luca Pellegrini, come ammesso dal DS Vagnati: “Luca Pellegrini è un profilo che ci interessa, ne stiamo parlando con la Roma, ma prima dobbiamo cedere Costa”.
Deciso e piccato Ziyech, cercato in passato dalla Roma e tornato di moda. Ma il giocatore rimanda al mittente qualsiasi segnale di interesse: “Potevano pensarci l’estate scorsa! Non sono arrabbiato, questa è una stagione diversa, sto facendo meglio rispetto allo scorso anno e l’unica cosa a cui sto pensando in questo momento è a finire la stagione con l’Ajax, poi si vedrà”.
Deciso a chiudere la sua stagione all’Atalanta anche il difensore Mancini: “Fa sempre piacere l'interesse di certe squadre, ma penso all'Atalanta”.
Schick: "Provo a fare il possibile, voglio aiutare la squadra"
De Rossi: "La nostra squadra deve riprendere ad essere continua durante la gara"
Kolarov: "De Rossi è fondamentale, Schick ha bisogno di tempo"
La Rai conferma i diritti della Champions League anche per la prossima stagione
Nella giornata di ieri si è tenuto il CDA della Rai, durante il quale su proposta di Fabrizio Salini si è deciso di rinnovare l'acquisto dei diritti della Champions League per l'edizione 2019/2020. Quindi la Rai, come riferito da ilmessaggero.it, trasmetterà ogni mercoledì una partita in chiaro.
Miccoli: "Zaniolo sta dimostrando di essere un grande giocatore, ma troppo presto accostarlo a Totti"
Fabrizio Miccoli, ex gioatore tra le altre di Juventus e Fiorentina, è intervenuto ai microfoni di RMC Sport a cui ha parlato anche del giallorosso Nicolò Zaniolo: "I settori giovanili vanno curati. Ci sono però persone che di calcio ne capiscono poco. Zaniolo sta dimostrando di essere un grande giocatore, difficile dire se con questa Inter poteva giocare. Magari Spalletti aveva più bisogno di un giocatore come Nainggolan. Può solo crescere Zaniolo, accostarlo a Totti però mi sembra troppo presto. Ma le qualità ce le ha. Prima un ragazzo come lui, per fare la Serie A, doveva fare almeno tre campionati al massimo con una squadra di media classifica. Oggi invece magari esce dalla Primavera e già si parla di qualche grande".
Il Totti vacante
INSIDEROMA.COM - ILARIA PROIETTI - “Vorrei fare il vicepresidente. Non perché tenga particolarmente alle cariche, ma a Trigoria vorrei essere il più alto in grado”.
“Non ti serve, Francesco”.
“Perché?”
“Tu sei Totti, e lo sarai sempre. La gente ascolta te, crede a te, vuole bene a te. Noi dirigenti siamo percepiti come noiosi passacarte, la Roma vera sei tu. Ed è sempre come Totti che potrai ricominciare a renderti utile”.
Queste sono state le parole di Franco Baldini a Francesco Totti, riportate nel libro Un Capitano, scritto insieme al giornalista Paolo Condò. La conversazione è avvenuta poche settimane dopo il ritiro di Totti, in un incontro a Londra con l’alta dirigenza della Roma per definire i termini del nuovo rapporto di lavoro che avrebbe portato l’eterno numero 10 ad entrare nell’organigramma dirigenziale della società capitolina. È da ormai un anno e mezzo che abbiamo familiarizzato con il nuovo Totti in giacca e cravatta, nel ruolo, forse un po’ impacciato, di dirigente generico, a svolgere un compito imprecisato. Per questo motivo molti sono rimasti sorpresi quando ieri, all’annuncio dei cambiamenti ai vertici della Roma, il ruolo dell’ex capitano non sia stato ancora chiarito.
La società ha nominato Guido Fienga nuovo Chief Executive Officer, più di un semplice amministratore delegato. Fienga ricoprirà il nuovo ruolo con effetto immediato e riporterà direttamente a James Pallotta e al Consiglio di Amministrazione del Club. È proprio il presidente giallorosso a fare luce sui compiti del nuovo CEO:
“Guido condurrà la Società verso la prossima fase del nostro percorso di crescita e di sviluppo. Sarà lui il responsabile delle attività quotidiane e dei progetti a lungo termine del Club, nel processo che sta portando l’AS Roma a diventare una Società economicamente sostenibile e di successo, dentro e fuori dal campo”.
Il vicepresidente esecutivo, invece, sarà Mauro Baldissoni, l’uomo più longevo della Roma americana.
“Il nuovo ruolo consentirà a Mauro di dedicarsi maggiormente alla visione d’insieme del Club, portando a termine il progetto legato allo Stadio della Roma, step fondamentale per consentire alla nostra Società di competere sul campo ai più alti livelli possibili”, le parole di Pallotta.
Inizialmente il ruolo di Francesco Totti sembrava dovesse essere una sorta di collante tra gli allora nuovi arrivati Monchi, direttore sportivo ed Eusebio Di Francesco, nuovo tecnico dei giallorossi ed ex compagno di squadra ma, a tutt’oggi, il ruolo di Totti continua ad essere imprecisato. Alcuni passi avanti potrebbero verificarsi al termine della stagione in corso, in quanto sembrerebbe già fissato un incontro tra la bandiera giallorossa e il presidente Pallotta, pronto ad affidargli una posizione specifica.
Stadio, passi avanti. Il Governo verso il sì al Ponte di Traiano
LA GAZZETTA DELLO SPORT - (...) Le parole del ministro Danilo Toninelli, in attesa del parere finale del Politecnico di Torino sui flussi di traffico, rappresentano una buona notizia sia per Pallotta sia per la sindaca Raggi: «Se fosse necessario costruire il Ponte di Traiano questo Governo lo farà». E questa rappresenta un’apertura importante in vista dei prossimi passi.
La tabella di marcia non è ancora ben definita. (...) La relazione finale del Politecnico (non vincolante, ma che potrebbe avere in ogni caso un impatto politico) attesa a breve e poi, entro la primavera (con possibile slittamento all’inizio dell’estate, già messo in conto dalle parti), è attesa l’approvazione della variante urbanistica (dopo la valutazione delle circa 60 osservazioni presentate e delle controdeduzioni) e la stesura della convenzione, il contratto che regolerà il rapporto tra l’anima pubblica e privata.
A quel punto dovranno passare altri mesi, almeno sei se non qualcosa in più, per la bonifica del sito, la stesura dei contratti e i bandi europei necessari per le infrastrutture. Poi si potrà iniziare a scavare. Pallotta spera che si cominci a fine 2019, massimo gennaio 2020, ma su questo non ci sono certezze. Così come non ci sono certezze sui tempi di costruzione dell’impianto: due anni, reperti storici permettendo.
L'ultima tentazione di Monchi: Barrios, colombiano del Boca
IL MESSAGGERO - CARINA - Il tentativo è in atto. Monchi s'è mosso concretamente per WilmarBarrios, mediano classe 93 del Boca Juniors. Un'indiscrezione che circolava dall'inizio del mercato di gennaio e che ieri ha trovato conferma dalla testata argentina Tyc Sports. L'offerta giallorossa è un prestito di sei mesi con obbligo di riscatto in estate pagando la clausola di 24 milioni di dollari, l'equivalente al cambio attuale di 21 milioni di euro. Il club argentino ha preso tempo, ma è costretto a cedere uno straniero, avendo superato il limite consentito. Per una volta, anche a Trigoria non possono smentire l'interessamento per il colombiano, utilizzando tutte le cautele del caso. Barrios ha una storia molto particolare da raccontare. Abbandonato dal padre alla nascita, la madre emigra in Venezuela per cercare lavoro. Il ragazzo è quindi cresciuto con la nonna, Dona Celia, che lo ha avvicinato al calcio. Quando tredicenne, Wilmar ha capito che la nonna non poteva più permettersi di pagare l'autobus per andare agli allenamenti, si è inventato un mestiere, trasformandosi in venditore di cubetti di ghiaccio per strada. Scoperto da Humberto El TuchoOrtiz, talent scout famoso in Colombia, a 16 anni si trasferisce al Deportivo Tolima che diventa il trampolino di lancio per il Boca, avvenuto nel 2016 (per 2,5 milioni). Ora, dopo aver vinto due campionati in Argentina e sfiorato la coppa Libertadores (ko in finale con il River Plate), è forse arrivato il momento di trasferirsi in Europa. La Roma, però, lavora anche per il futuro. Il trasferimento di Riccardi al Brescia è il primo passo per Tonali. La concorrenza è fortissima (Juventus, Inter e Milan) ma il ds spagnolo si sta muovendo concretamente sul calciatore del Brescia. Il ko di Caprari (frattura del perone) invece rischia di cambiare il destino di Defrel che a questo punto potrebbe rimanere a Genova e non essere più girato all'Atalanta in ottica Mancini. Per quanto riguarda Sanabria, la Roma attende l'evolversi della trattativa tra Genoa e BetisSiviglia come spettatrice interessata. Dalla formula dell'operazione dipende un incasso immediato o futuro del 50% del valore del cartellino. Stesso iter per Machin, ora al Pescara. Intanto il portiere Romagnoli si trasferisce in prestito alla Pistoiese.
TAVOLATA DI GRUPPO - Daniele De Rossi è tornato ad allenarsi con la squadra sul campo. Il capitano giallorosso, fermo dallo scorso 28 ottobre, ha preso parte alla seduta con il pallone. Un primo passo che avrà bisogno di ulteriori conferme. In serata, la squadra a cena in un ristorante del quartiere Flaminio.
Monchi forza per Mancini. Belotti e Ziyech sono nella lista
LA GAZZETTA DELLO SPORT - Nella testa di Monchi il mosaico giallorosso ha tre tasselli più in evidenza di altri. Per la prossima stagione il d.s. spagnolo ha messo in preventivo un grande acquisto in attacco. La candidatura di Andrea Belotti è nota agli addetti ai lavori. Certo, quella clausola da cento milioni è uno spauracchio, ma c’è la convinzione di poter lusingare il Torino con un’offerta intelligente: magari con delle contropartite tecniche adeguate.
Preso atto della valorizzazione dei giovani centrocampisti a disposizione di Di Francesco, resta un desiderio lì in mezzo. La scorsa estate il feeling con Hakim Ziyech era stato forte, ma alla lunga la resistenza dell’Ajax ha appannato quella trattativa. L’impressione, però, è che la Roma ci riproverà. (...)
(...) Non è un mistero che Kostas Manolas potrebbe trovare acquirenti facoltosi. È il motivo per cui la Roma si è già mossa con l’Atalanta per mettere le mani sul più che promettente GianlucaMancini, il difensore-goleador (già 5 reti in campionato, è quello che ha segnato di più nel suo ruolo) che con Gasperini sta bruciando le tappe. Anche su questo versante siamo solo agli approcci (...).
Ottavio Bianchi: “È la Roma che avrei voluto”
IL MESSAGGERO - TRANI - «Sono stanco, allo stadio non vado da 2 anni. Il calcio, dalla tribuna, non mi interessa più. Andare non è più una passeggiata. I tornelli e altro: basta. Meglio la tv, non mi perdo nemmeno una partita». Figuriamoci se Ottavio Bianchi, bresciano che vive a Bergamo, buca la prossima dell'Atalanta che domenica ospita la Roma. «Non parliamo, però, di sorpresa in questo torneo: contesto subito la definizione». A 75 anni, compiuti il 6 ottobre, è quello di sempre. Nella personalità e nello spirito. Con il carattere portato in campo da calciatore, l'autorevolezza usata da allenatore e la lucidità mostrata da dirigente.
Ok, la realtà Atalanta. Gasperini o il club, di chi il merito?
«Mettiamoci pure la città: pubblico del Nord che trasmette il calore del Sud. L'Atalanta ha sempre avuto una bella tradizione per il vivaio. Prima, però, con alti e bassi. Ora non più. C'ero 3 anni fa quando Gasperini, a rischio esonero, superò il Napoli. Vittoria meritata con diversi ragazzi al debutto. Da lì, il ciclo».
Vota, dunque, Gasperini?
«Il suo lavoro. Non è integralista, sa cambiare. Completo. Il gioco è ben definito. Si sminuisce l'Atalanta chiamandola provinciale. Fa ovunque la partita. Fisicamente sempre al top».
Gasperini fallì all'Inter. Piccolo se guida una grande?
«Non sono d'accordo. Uno deve avere garanzie dalla società. Poi sa dove usare un sistema e dove un altro. Ma se trova i lavativi, o li affronta o gli va dietro. Se i giocatori vanno però a cercare l'appoggio dai dirigenti, il tecnico si ritrova solo. E fine. L'Atalanta, comunque, è grande quanto le altre. Anzi, ha fatto meglio dell'Inter, del Milan e della Roma, pur stando sotto. Loro, partite con grandi ambizioni, sono lontanissime dal 1° posto. Big, da 60 anni, solo la Juve».
Definitivo?
«La maggior parte delle squadre vive sull'improvvisazione. Gasperini no. Non segue una moda. Non s'inventa niente. Pratico. C'è chi chiede solo calciatori pronti, lui riparte ogni anno con nuovi e gli insegna cosa fare in campo. Non con Messi e Ronaldo. Ma passa da Petagna a Zapata come se niente fosse. Da un centravanti che fa salire i centrocampisti a uno che va in profondità. Gomez da esterno lo accentra. Parte Caldara e lui lancia Mancini. Fa segnare i difensori come gli attaccanti».
Anche la Roma vende i migliori e si rinnova in ogni stagione. La squadra, però, non è sempre competitiva. Conosce bene la Capitale: dov'è il problema?
«L'ambiente. Se a Bergamo vendono qualcuno bravo, la gente non dice niente. Roma è Roma, non puoi sbagliare una partita. Ai giovani vanno concessi gli errori, li fanno pure i vecchi. E invece se non giochi bene una gara, sei bocciato. Pazienza zero».
La Roma adesso è più giovane. E più italiana.
«Come piace a me, è il mio calcio. Poi il campione lo vai a prendere all'estero. Ma la base deve essere indigena. Ora tutti si stupiscono di Zaniolo. Io, conoscendo la Capitale, mi preoccupo. Non va esposto mediaticamente. Se ha una calo, possibile per un giovane, può andare in panchina. Senza, però, aprire dibattiti in radio o televisione».
Come valuta Di Francesco?
«Bene con il Sassuolo. Con la Roma meglio in Europa: squadra più libera. È fondamentale che non si faccia condizionare e porti avanti il suo calcio. Io venni a Roma solo perché c'era Viola. Mi disse che ai tifosi e ai giornalisti avrebbe pensato lui. Io feci solo l'allenatore. Grande persona l'ingegnere, mi chiese la salvezza: per questioni politiche, la Roma avrebbe faticato. Mi fece nomi, cognomi e indirizzi. Arrivammo in finale di Coppa Uefa e vincemmo la Coppa Italia. Peccato lui non ci fosse più, sarebbe stato orgoglioso. Alzò la coppa la signora Flora, fu la mia stagione più bella».
Come si rinforza una squadra che vuole sfidare la Juve?
«Ok i giovani, ma poi per vincere serve Batistuta. A Trigoria ne sanno qualcosa. ok Florenzi, Cristante, Pellegrini e Zaniolo. Poi, però... il colpo grosso. Ricordo che cosa mi spiegò invece Tapie, l'ex presidente del Marsiglia, invitandomi a Parigi da dirigente del Napoli: il campione puoi venderlo, ma due anni prima devi prendere il sostituto per farlo crescere accanto al big da cedere. E chiari con chi vuole partire: via a fine anno solo se fai una grande stagione. Ci guadagnano il club, il tecnico e il giocatore».
Batistuta, dunque. O Ancelotti, come ha fatto il suo Napoli. Giusto?
«Mossa perfetta: per sfidare la Juve, l'allenatore vincente. Con Sarri grande calcio, ma non è bastato. Ancelotti non ha sprecato quanto fatto dal collega. Ha, però, portato le sue idee. E sfruttato bene la rosa. Male che va ottiene quanto fatto dal predecessore...».
Dietro alla Juventus che ha pure Cr7 in più.
«Ronaldo ha cancellato ogni mio dubbio con il professionismo e l'umiltà, nonostante i privilegi economici e di prestigio».
Gattuso è 4°. Promosso?
«Sì, bravo. La sua stagione mi ricorda la mia carriera. Da navigatore solitario. Come lo capisco... Quando non sai se la società c'è o no. Solo al Como ho vissuto tranquillo. Poi, mai più. E a Napoli ho vinto da solo contro tutti. Urlando ai migliori».
Dal Gambia alla Roma Primavera. Ecco la favola del migrante Darboe
IL MESSAGGERO - Il gambiano Ebrima Darboe, ieri a Zingonia, ha coronato il suo sogno: diventare un calciatore vero. Anzi, un calciatore della Roma. Darboe, classe 2001, ruolo mezzala, fisico ancora da costruire ma – assicurano – buona tecnica, è entrato in campo a venti minuti dalla fine della partita Atalanta-Roma di Coppa Italia Primavera. La pesante sconfitta (4-0) e l’eliminazione dalla Coppa non hanno attenuato l’emozione, la gioia di un ragazzo arrivato in Italia, ormai diversi anni fa, come migrante minorenne non accompagnato. E, per questo, trasferito a Rieti in virtù dello Sprar (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). Darboe nel capoluogo sabino ha cominciato a studiare e a giocare a pallone insieme ad altri ragazzi nella sua stessa condizione. Dopo l’espletamento di una serie infinita di atti burocratici, alcuni osservatori della Roma lo hanno messo presto nel proprio mirino, lo hanno prima valutato e poi portato a Trigoria per allenarsi nel settore giovanile. Eravamo nell’estate del 2017. Da quel momento, Ebrima non ha cominciato a far altro che attendere di poter indossare la maglia della Roma in una gara ufficiale, cosa accaduta ieri a due passi da Bergamo