Il calcio studia la ripresa, allenamenti dal 4 maggio. Scintille Malagò-Gravina

CORRIERE DELLA SERA - La conferenza stampa di ieri sera del presidente Conte ha confermato l'estensione del blocco delle attività fino al 3 maggio, dando però al calcio italiano una data in cui, probabilmente, poter riprendere ad allenarsi, ossia il 4 maggio. Se la situazione infatti dovesse continuare a migliorare e non si verificassero più imprevisti, come nuovi casi di giocatori positivi, allora la Serie A potrebbe ripartire e portare a termine questa stagione. Intanto però è scontro tra Giovanni Malagò e Gabriele Gravina. Nella giornata di ieri il presidente del CONI ha affermato: "Il rischio è di pregiudicare anche la nuova stagione. Sarebbe significativo per lo sport poter ripartire il primo settembre". Subito è arrivata la risposta del presidente della FIGC: "Il calcio ha la sue specificità, per dimensione e impatto economico. Le conseguenze di una chiusura anticipata sono sotto gli occhi di tutti e rischieremmo la paralisi a causa dei ricorsi".


Allenamenti il 4 maggio

IL TEMPO - CICCIARELLI - Lo sport resta ancora fermo nel tunnel del coronavirus, ma all'orizzonte vede uno spiraglio per la ripresa il 4 maggio. Il prolungamento dello stop, come per buona parte degli altri comparti del paese, è stato ribadito come «indispensabile» dal ministro dello Sport Vincenzo Spadafora nella lettera inviata ieri Giovanni Malagò e Luca Pancalli, rispettivamente presidente del Coni e numero uno del Comitato Italiano Paralimpico, ma lascia speranze per un ritorno alle attività a partire dal mese prossimo.  L'indicazione messa su carta dal ministro è che la ripresa delle sedute di allenamento «non avvenga almeno fino al mese di maggio», ma oltre a sancire il prolungamento della serrata la comunicazione di Spadafora suona come un invito a predisporre gli accorgimenti necessari per tornare il campo contemporaneamente alla battaglia contro il coronavirus, individuando come data di massima per il nuovo via il 4 maggio.

«Vi prego di voler attivare le Federazioni e gli altri soggetti del sistema sportivo - si legge nella lettera - affinché la ripresa degli allenamenti e delle attività avvenga, presumibilmente dal 4 maggio p.v., nel più rigoroso rispetto delle prescrizioni di sicurezza che saranno individuate d’intesa con le autorità sanitarie e gli organismi scientifici. Nei prossimi giorni darò impulso ad un'iniziativa, coordinata dal mio Ufficio di Gabinetto, per riflettere in modo organico su come realizzare specifiche leve di ripartenza, modalità di vero e proprio «adattamento» del sistema sportivo al rischio Covid-19, specie se questo non potrà dir- si del tutto sotto controllo nei mesi a venire».

Un’apertura che detta i tempi alla ripartenza dei campionati di calcio, dove leghe e società da diversi giorni ragionano sulla data del 4 maggio come quella buona perla ripresa degli allenamenti. Queste tempistiche permetterebbero alle squadre di far rientrare gli stranieri tornati a casa dalle famiglie - o impegnati negli allenamenti come Ronaldo e Ibrahimovic - in tempo per allenarsi, lasciando invece con l’amaro in bocca chi come la Lazio spingeva per un tornare al lavoro già dopo Pasqua.  Il calendario sarebbe linea con le intenzioni della Lega Serie A, che permetterebbe di tornare a giocare il 30 maggio o il 6 giugno e di finire il campionato entro la fine di agosto, allontanando il rischio dello slittamento a settembre. «Il calcio vuole andare avanti - aveva spiegato Malagò a Radio Radio - quindi si mette in una situazione diversa rispetto alle altre discipline, questo è sicuramente un fatto ormai acclarato». In serata la risposta del presidente della Federcalcio Gravina: «Tutti si fermano e il calcio no? Non entro nel merito delle scelte che hanno adottato le altre discipline. Il calcio ha una sua specificità».


Dzeko: "Giusto tornare a giocare"

IL TEMPO - BIAFORA - Il 34° compleanno e l'annuncio dell'arrivo di un'altra figlia. Fino ad ora quella di Dzeko non è stata sicuramente una quarantena avara di emozioni, nonostante lo stop alle partite in un momento decisivo della stagione in cui il bosniaco avrebbe guidato la Roma nella doppia sfida contro il Siviglia. Il numero 9 negli ultimi mesi ha preso ancora più in mano le redini dello spogliatoio del club di Trigoria, che nell'ultima settimana si è schierato a più riprese sull'importanza di riprendere a giocare: «E un discorso molto delicato. Sicuramente - ha detto a Sky - la cosa più importante è la salute della gente, di tutti noi. Però tutti noi amiamo lo sport ed è parte della nostra vita. Quando la situazione si calmerà e non ci sarà più pericolo per tutti è giusto finire il campionato. E giusto per tutti».

Il centravanti di Sarajevo ha anche affrontato il tema della fascia, passata nelle mani di uno straniero dopo oltre venti stagioni: «Sono capitano della Bosnia da 6 anni, farlo alla Roma dopo Totti e De Rossi è un grande orgoglio. Questa è una società meravigliosa, mi sentivo anche prima come uno dei capitani. La scelta giusta l’ho fatta per rimanere e non era difficile. Sono orgoglioso di far parte di questo club che fa cose molto importanti per tutti i suoi tifosi e la gente».


Il Siviglia su Florenzi

Alessandro Florenzi ha lasciato la Roma a gennaio per approdare al ValenciaCome riporta il portale spagnolo TodoFichajes il Siviglia avrebbe contattato Petrachi per chiedere informazioni sul giocatore. La Roma lo valuta 12 milioni di euro.


De Rossi: "Penso che allenerò la Roma, ma succederà solo se diventerò un bravo tecnico"

Daniele De Rossi è stato ospite di Casa Sky Sport, rispondendo alle domande da studio e dei tifosi da casa. Ecco le sue parole.

Come stai?
"Bene, sto un po' come stanno tutti quanti. Mi sento un po' stretto, però passerà, dai. C'è gente che sta molto peggio".

Domanda di Adani: citando l'intervista che facemmo tre anni fa, concludemmo davanti al tuo mare, a Ostia. In quella circostanza, ti strappai una promessa, che era quella di poter avere come ambizione quella di allenare la Roma. Qual è l'obiettivo adesso? Che percorso abbiamo in mente?
"Ho fatto un percorso calcistico non unico, ma raro. Giocare 20 anni in una squadra non capita tutti i giorni. NOn posso sognare la stessa cosa se diventerò allenatore, non esistono allenatori che resistono così a lungo. Mi piacerebbe allenare la Roma, ma prima devo diventare allenatore e per farlo c'è un percorso di crescita di cui tutti gli allenatori giovani hanno bisogno. In pochi giorni sono diventato da calciatore vecchio ad allenatore giovane, vedo le cose con una rilassatezza che da calciatore non puoi permetterti. Sedermi su quella panchina mi piacerebbe, ma non ho la fretta di farlo accadere domani. Presumo, spero succeda: succederà se sarò diventato un bravo allenatore e non per essere stato un calciatore grandissimo di questa squadra".

In campo ti sei preso sempre responsabilità, puoi essere definito già allenatore per come parlavi dopo le partite, mettevi sempre la faccia nei momenti difficili.
"Inizierò questo percorso non solo perché mi piacerebbe, ma perché penso di poterlo fare. In Italia lo pensano un po' tutti, ma penso di poterlo fare. Sono sempre stato bravo, mi è sempre stato riconosciuto questo ruolo di leader, sarò un pochino avvantaggiato, ma l'allenatore è tanto altro, è prendere decisioni, è mettere la squadra in campo, scegliere lo staff, subire pressioni che on ho mai rifiutato, ma da allenatore sei solo contro tutti. Prendersele da allenatore... se perdi è colpa tua, se vinci sono bravi i giocatori. I nostri allenatori erano sempre sottoposti a questo tipo di giudizio".

Quali sono state le tue sensazioni durante il giorno dell'addio?
"L'ho vissuta con grande serenità, credo si sia visto. Non ho finto, mi sono emozionato in alcuni momenti, durante il match c'erano alcuni momenti di vuoto. Nelle pause mi trovavo a non dover far nulla, mi giravo e guardavo quella che era stata casa mia, pensavo che non avrei visto più quel posto da quella prospettiva. Ho fatto un percorso negli anni, mi sono detto di arrivarci pronto. Non conta a quanti anni arriva e quello che hai fatto, fa male a chiunque, senti un senso di malinconia, ma era importante per me. Avevo la mia famiglia vicino, volevo far vedere che non era una tragedia e che andavo via col sorriso, perché ero felice di quello che mi avevano fatto diventare".

Il tuo ultimo discorso nello spogliatoio...
"Non preparo niente, ci penso sempre 30-60 secondi prima. Quei bastardi dei miei compagni mi facevano un applauso anche dopo un passaggio di 5 metri (ride, ndr). Dissi loro che non era il derby del cuore, non era una partita d'addio, ma una partita di calcio, volevo giocare una partita vera. Il fatto che sia  finita 0-0 (in realtà finì 2-1, ndr) voleva dire questo".

Avevi qualche rito scaramantico?
"Ne ho avuti negli anni tanti, li ho cambiati. Non servono a niente, partiamo da questo punto. Non funzionano. Quando funzionano è perché funzioni tu o la tua squadra. L'unico che non ho mai cambiato sono i tre saltelli quando eravamo tutti allineati a centrocampo. Facevo questi saltelli e mi piegavo, è iniziata tanti anni fa come a volersi sgranchire, ma non correre come me perché non vinci niente (ride, ndr)".

Domanda di Adani: "Non hai scelto di abbandonare la Roma, mentre hai scelto di lasciare il calcio. La domanda riguarda entrambe le situazioni: hai più sentito i dirigenti della Roma? Che rapporto hai avuto con Riquelme al Boca?".
"Non ho scelto io di lasciare la Roma e ho scelto io di lasciare il calcio. Sono stati due momenti difficili, in entrambi ho dovuto prendere decisioni che non avrei voluto prendere, una volta perché aveva deciso qualcun altro e un'altra perché era la cosa più giusta per la mia famiglia. La mia famiglia ha tratto un grande beneficio dall'essere  tornato a casa, a parte questi ultimi due mesi. Non ho sentito dirigenti della Roma, ne ho incontrato uno una volta, ho incontrato De Sanctis al Tre Fontane, l'altro giorno mi ha scritto un dirigente per sapere come stessi, ma se ti riferisci a chiacchierate per un futuro non mi ha chiamato nessuno. Non chiamerò nessuno neanche io. Il rapporto con Roman è stato semplice e diretto. La prima volta che l'ho visto gli ho spiegato le mie situazioni, mi sono sentito in dovere di dirgliela. Mi disse che volevano che rimanessi, che volevano mettermi a punto fisicamente e che puntavano su di me. A parlarmi era un giocatore che era stato un esempio di come si interpreta il ruolo, mi ha fatto effetto. Mi sono allenato 5-6 giorni con la squadra, mi chiedevano di rimanere. Dissi loro che me ne andavo domani, altrimenti non sarei più andato via. Lì stavo da dio, stavo troppo bene. Ho nostalgia di quel posto, di popolazione, è una nostalgia forte e pesante".

Video di Marchisio: "Volevo mandarti un grandissimo abbraccio, farti i complimenti per quello che hai fatto. Sarebbe stato bello giocare insieme in un club, sarai sempre una delle poche bandiere del calcio italiano. Ti faccio un in bocca al lupo per tutto".
"Intanto mi fa piacere vederlo, ci parliamo. Un ragazzo di una sensibilità differente, è uno che si prende responsabilità sul sociale. Mette bocca su cose che calciatori difficilmente fanno. Lo incontrai per la prima volta in un Roma-Empoli, lui e Giovinco ci misero in difficoltà in un modo imbarazzante. Dissi che sarebbero arrivati in nazionale. In un certo momento della carriera si è trasformato da mediano, per me era tagliato per quel ruolo. Poi ha avuto 2-3 infortuni che l'hanno bloccato, ma parliamo di un calciatore incredibile. L'Italia deve lavorare su questi ruoli, fatichiamo a trovare giocatori come lui, sembra che ora ne stiano nascendo di interessanti".

Quanto è stata fondamentale Sarah nel tuo percorso?
"Sarah ha solo questo difetto, che è molto più social di me, a volte mi giro e vengo ripreso (ride, ndr). Dal punto di vista umano è stata  fondamentale, non trovi calciatore che dice che la moglie sia una zavorra. Ma è una persona che mi ha migliorato molto, come umore, stile di vita, serenità familiare. È stata in quell'unica circostanza in cui ho dovuto prendere una decisione fondamentale, mi ha detto che avrei potuto decidere io. Ovviamente c'erano destinazioni più o meno gradite, ma è stata pronta ad accettare la mia decisione di andare in Argentina. Si è innamorata dell'Argentina prima ancora di me, e non mi ha messo il muso quando ce ne siamo andati. In pochi mesi aveva creato una casa e una famiglia a Buenos Aires. Quando dico che abbiamo fatto fatica parlo di questo. Guardavamo la Casa di Carta, un personaggio ha detto due parole argentine: ci siamo guardati e ci siamo detti quanto ci manca. Ci è entrato nel cuore, ma mi ha dato ragione nel tornare a casa".

Perché il Boca?
"Vorrei sapere se sto parlando con uno dei più grandi opinionisti o quello che fa le rovesciate sul letto (ride, ndr). Ho scelto il Boca da ragazzino, vedendo il tifo, vedendo Maradona, che è stato uno dei miei idoli. Mi sono appassionato a lui, alla squadra e poi è tutto virato per questa tifoseria. Tutti la conoscono, ma nessuno la conosce. Non so chi sia il mas grande, ma chi dà mas amore è il Boca".

Domanda di Federico Buffa: "Cosa hai trovato a Buenos Aires di diverso da quel che ti aspettavi? Cosa vorrai condividere con i nuovi allievi di questa esperienza?"
"L'esperienza è stata meravigliosa, ma non solo dal punto di vista umano. Ho imparato tantissimo e mi sono reso conto di quanto talento, senza organizzazione, vada sprecato. Bisogna organizzarli per farli suonare insieme in campo, altrimenti diventa una sorta di confusione, bella da vedere, ma sempre confusione. Far coesistere queste meraviglie, questi mancini che cantano, questi giocatori ruvidi ma tecnici, sarebbe il primo passo di qualunque squadra. Un allenatore c'è riuscito, Gallardo c'è riuscito, ha giocatori fortissimi e ne aggiunge un altro ogni volta che ne perde uno. Speriamo che l'ultima giornata dell'ultimo campionato sia stata destabilizzante per loro. Se l'Argentina ci riuscisse come nazionale, cambierebbero le sorti del calcio mondiale. Hanno talento esattamente come il Brasile".

Quanto è stata importante la figura di Lippi in Germania?
"Ovviamente l'hanno detto un po' tutti, non posso non ricordare quanto Lippi fu importante. Una nazionale con grandissimo talento, con giocatori mostruosi, ma non era la nazionale più forte: il Brasile era più forte. Vincemmo perché fummo grandi lottatori, ma perché lui dal primo giorno, creò una squadra di club, che in nazionale non è mai facile. Ti vedi una volta ogni 30 giorni, ognuno ha i suoi malumori. Lui creò un gruppo di amici in due anni, poi l'ha gestita bene anche a livello tecnico-tattico, ma ha creato un qualcosa di diverso. Quella nazionale partiva con grande pressione, grande importanza per quel trionfo e per me, se non ci fossero stati 60 minuti e i rigori in finale l'avrei assaporato con un sapore agrodolce. Ho sempre sentito la sua fiducia, anche quando era incazzatissimo, anche quando ero squalificato. Ho sempre sentito che qualora ci fosse stata l'opportunità di rientrare la'vrei potuto fare. Peruzzi mi disse che mi voleva ributtare dentro in finale. Partivo come un panchinaro che doveva fare il suo di lì a poco, così fu e rimane il ricordo più memorabile della mia carriera calcistica".

Domanda di Adani: "Un altro allenatore importante è Heinze. Lavorando sul fatto che andrai a documentarti, quali sono i primi 2-3 appuntamenti che pensi di avere in agenda? La partita con l'Atletico Tucuman l'abbiamo messa in preventivo, campiamo di rendita dal 9 dicembre 2018... (vittoria del River sul Boca nella finale di Libertadores, ndr").
"Gabi Heinze è un allenatore interessantissimo, andando in Argentina e avendo opportunità di vedere partite a ripetizione ho potuto vederlo. Aveva giocatori interessanti al Velez, lui è andato via, parlando con un DS italiano si sa anche in Europa quanto sia bravo. Sarei contento se si riaprissero per lui le porte del calcio europeo. Crespo mi ha impressionato al Banfield, una squadra medio piccola che ci ha messo in grossa  difficoltà. Penso che avrò bisogno di sentire tutti, mille allenatori, di scrutarli, posso imparare da tutti. C'è un proverbio africano che dice che un bambino in piedi non riesce a vedere dove vede un vecchio seduto. E io sono un bambino. Chi si affaccia a questa professione, se può partire dal migliore di tutti e non lo fa sbaglia. E il migliore è Guardiola: se avrò opportunità partirò da lui. Poi ci sono allenatori bravi in Italia, Gattuso, De Zerbi che mi fa impazzire. Tanti, dai quali devo imparare molto. Saranno viaggi professionali e di divertimento. Andrò a vedere allenatori di altri sport, voglio contattare Pozzecco per il rapporto che hai coi giocatori. Le dinamiche penso che siano simili. Avrò un bel giro da fare. Se non imparerò niente perché sono un asino, almeno mi sarò divertito. La terza: chi è del Boca è sempre la festa dopo la partita con il Gimnasia. Ma anche quella dopo la semifinale persa: in piedi, occhi lucidi e saluti. Non mi voglio attribuire il titolo di argentino, ma un amore così è solo da applaudire".

Ci racconti del trucco e parrucco per mimetizzarti in Sud nel derby?
"È nata come una battuta, uno scherzo. Avevo questa grande voglia di andare in curva, ma senza essere preso in braccio tipo Oronzo Canà, volevo passare in osservato. Inizialmente volevo andare a Firenze, ma la Roma arrivava da una serie di vittorie di fila e scaramanticamente non andai. Fu l'unica maniera per poter passare inosservato. Un ragazzo dietro di me mi ha riconosciuto dopo un secondo e lo ringrazio per avermi permesso di godermi lo spettacolo".

Domanda di Giuseppe De Bellis: "Qualche tempo fa mi hai detto che il giorno più difficile sarebbe stato l'ultimo a Trigoria. È stato davvero così?"
"Voglio chiarire una cosa. È stato il giorno più difficile della mia ultima esperienza. Non significa che abbia smesso a Roma, non è stato lasciare la Roma, ma chiudere quella porta per l'ultima volta. È stato difficile, io lì dentro non ci rientrerò più, perché è la camera dove ho dormito di più in vita mia, è un posto che non rivedrò mai più. È stata una bella botta, un momento nel quale mi hanno tremato più le mani".

Domanda di Luca Marchegiani: "Qual è la difficoltà principale che ti aspetti per cominciare la carriera da allenatore? Ho sentito nomi di allenatori che pensi di andare a vedere, tutti abbastanza innovativi. Come giudichi il livello del nostro calcio rispetto alle nuove proposte dal punto di vista tecnico-tattico?"
"Difficoltà ne incontrerò, mi aiuto da solo pensando così. Non so se so fare alcune cose: dovrò organizzare un precampionato, formare uno staff, parlare alla gente da un'altra prospettiva. Tutti ti devono seguire, magari inizierò da un livello più basso di quello che ho vissuto da calciatore e dovrò accettarlo. Difficoltà che spero di superare. Riguardo gli allenatori, ho citato allenatori innovativi, ma devo imparare tanto dagli altri, più pragmatici. Il livello del calcio in Italia si sta direzionando verso lo spettacolo: la sensazione è che anche le piccole squadre abbiano iniziato a proporre qualcosa di interessante. Il Barcellona di Guardiola ha cambiato la percezione del calcio, il pericolo è abusarne, abusare del palleggio e di idee propositive quando la squadra non è all'altezza. Posso citare altri allenatori, come Fonseca. Mi complimentai con lui dopo Roma-Shakhtar, mi aveva fatto una grande impressione".

Da chi rubiamo qualcosa di quelli che hai avuto?
"Non voglio dare risposte paracule, ma devo rubare da tutti, anche da chi mi è piaciuto di meno. Si ruba anche cercando di non ripetere errori gravi. Se penso a chi mi ha segnato penso a Spalletti, insieme a Luis Enrique. Come gestione del gruppo sono un tranquillone, ma un pizzico di atteggiamento à la Capello non guasta mai".

Quale soprannome ti è pesato di più? Capitan Futuro o Nino?
"Questo non è di Roma, è di Ostia! Da piccolo avevo questa scodella bionda, a Roma non c'è nessuno che non abbia un soprannome, ero Nino riferito a Nino D'Angelo, finché non sono diventato Capitan Futuro".

Domanda di Paolo Condò: "Hai avuto modo di pensare ai tuoi progetti tecnici? Puoi raccontare il primo giorno al campo di allenamento del Boca?"
"I progetti sono tutti in stand-by. Pensare a queste cose in questo momento non mi sembrerebbe giusto. Ho grande voglia di fare questo lavoro, ho fretta, smanio, ma mi sento circondato da un alone di tristezza, di difficoltà, di tutto il mondo. Andare a pensare al corso, alle squadre mi sembra un po' ridicolo. Il primo giorno, non ricordo se fosse il primo o il secondo, facemmo questa partitella. Ero abituato ai Primavera della Roma, che tendono a levare un po' il piede. Ci fu questo contrasto con questo torello di 170 cm per 100 kg e mi ha ribaltato, un animale. Si è subito fermato, pensando di fare qualcosa di male, gli dissi di continuare così. Da loro era inverno, campo fangoso, il paradiso".

Domanda di Leonardo Bonucci: "Eicordi quando ti ho tirato la scarpetta? Raccontalo!"
"Questa è lunga. Parliamo di un ragazzo del quale tutti i miei conoscenti mi dicono che è odioso. C'è una percezione di Leo che è totalmente sbagliata. Un professionista incredibile, mi spiace che si pensi che sia antipatico. A volte lo è in campo, ma è frutto della maglia che indossa, quella squadra ti dà quell'impostazione là ed è un motivo per cui vincono sempre. In allenamento lui mi tirò uno scarpino, che slittò e mi prese col tacchetto. La cosa era diventata un po' meno scherzo, poi dopo un minuto passò tutto. È uno dei ragazzi che ricordo con più piacere, quel tavolo era una bolgia. Grandi momenti insieme".

Domanda di Luca Marchegiani: "Hai un rammarico in carriera?"
"Senza entrare nel dettaglio: non aver vinto qualcosa di importante, di strappalacrime, con la Roma. Ieri vedevo uno speciale su Di Bartolomei, o lo scudetto di Francesco. È un rammarico grande. A volte vengo tacciato di aver avuto poche ambizioni, ma ho avuto l'ambizione di provare a vincere dove non si vince mai, in una squadra meno forte delle sue avversarie. Mi sento in pace con la mia coscenza, ma il rammarico c'è. Le cose non vanno sempre come uno spera. Se guardo la mia carriera sono fortunato, se guardo la bacheca è abbastanza vuota e mi dispiace".

Domanda di Paolo Di Canio: "Il calcio inglese? Ci hai fatto qualche pensiero? In che squadra ti saresti visto? Con Roy Keane o con Paul Scholes? O con Gerrard? O con Mourinho, insieme a Lampard?"
"Risposta secca: da quando sono piccolo ho sempre amato molto il Manchester United. Proprio perché mi ha citato loro è giusto che non ci sia andato. Riguardo al Boca, era proprio un mio desiderio. A posteriori era fare un paio di stagioni delle mie, con 50-60 partite in quello stadio, con quella maglia".

Messaggio di Gianmarco Pozzecco: "Potrai prendere tantissimi spunti negativi dai miei allenamenti. Vieni a vedere un mio allenamento, fai esattamente il contrario e hai successo (ride, ndr). È giusto dirti che le porte sono aperte, puoi venire quando vuoi e speriamo che tutto ciò accada presto, in una situazione migliore di quella di oggi".
"Che dire, mi fa un grande effetto. Sono un appassionato di basket, è stato sempre una sorta di punto di riferimento, mi è sempre piaciuto tantissimo vederlo. Da allenatore sta facendo grandi cose, non devo vedere come spiega il pick'n'roll, ma come interagisce con i giocatori. Sarà un bel viaggio, con lui non mi annoierò sicuramente".

Cosa ci lascerà un momento del genere? Come ripartire?
"Penso che porteremo via da questo momentaccio delle cose positive se in questo momento remeremo nella stessa parte. È adesso che dobbiamo sentirci sulla stessa barca, tra nord e sud c'è una differenza gigante. Penso che questo popolo possa risollevarsi, una delle cose più intelligenti la disse Balotelli, prima di politici e dottori: ha detto di avere una madre di una certa età e che non le vuole attaccare nessuna malattia. È facendo le cose normali che ne usciremo, poi ci sono scienziati e politici che si devono occupare di cose più importanti. Siamo una popolazione che ha sempre dimostrato di avere la pelle dura".


Lippi: "La Roma può organizzarsi per contrastare il predominio della Juventus"

Marcello Lippi, ex CT della nazionale Campione del Mondo 2006, ha parlato ai microfoni di soccermagazine.it del calcio attuale e della sua esperienza alla guida degli azzurri:

Tra il 2010 e il 2020 Napoli e Roma sono state le squadre che hanno più dato fastidio alla Juventus. Secondo Lei quale sarà invece la società che terrà testa ai bianconeri nei prossimi 10 anni?
"Penso l’Inter e la Lazio, le attuali due che hanno a parer mio del potenziale, ma anche la Roma effettivamente può organizzarsi per contrastare questo predominio. Le squadre attuali, insomma. Il Milan è ancora un pochettino da ricostruire".

L’ultimo ventennio del calcio italiano è stato caratterizzato dai continui paragoni tra due campioni che anche Lei ha allenato: Totti e Del Piero. Al di là dell’aspetto tecnico, può dirci qual è la principale differenza tra i due?
"Al di là dell’aspetto tecnico non c’è nessuna differenza. Sono due splendide persone, due splendidi ragazzi capaci di legare con tutti i compagni. Non ci sono grandi differenze".

C’è una domanda romantica che facciamo ogni volta che sentiamo uno dei campioni del mondo del 2006: spesso si parla delle emozioni e di cosa si è provato, Lei può dirci invece che cosa o a chi ha pensato quando è diventato campione del mondo, subito dopo il rigore di Grosso?
"È una costante la mia: siccome tutti i sacrifici che ho fatto nella mia carriera li ho fatti insieme alla mia famiglia, nei momenti di grande gioia e di grandi conquiste ho sempre pensato alla mia famiglia. E ovviamente anche ai miei genitori che non hanno potuto provare queste emozioni".

Per concludere: da calciatore Lei è stato una bandiera della Sampdoria, il cui maggior rappresentante oggi è Fabio Quagliarella. Ecco, pensando anche al Sudafrica, non crede che abbiate raccolto entrambi meno di quanto meritavate?
"Lui probabilmente ha raccolto meno e magari sarebbe stato più giusto che lo impiegassi un po’ più frequentemente. Per quanto mi riguarda io non ho nessun rimpianto nella mia carriera, ho avuto degli alti e bassi, ma sono stati talmente tanti gli alti che va bene così".


Dzeko: "Non mi aspettavo quell'accoglienza quando sono arrivato. Contro il Chelsea probabilmente il gol più bello"

Edin Dzeko si racconta. L'attaccante e capitano della Roma è il protagonista di "As Roma Story", lo speciale di Sky Sport in cui il giocatore si è raccontato a 360°:

Sulla foto con la sciarpa giallorossa al collo.
Ero ragazzino, anche io certe cose non le ricordavo. Poi ho visto quella foto e mi sono detto che sono romanista da sempre, non dal 2015”.

Su Sarajevo
Sono nato a Sarajevo, il 17 marzo 1986. Ho una sorella che è più grande di me, di un anno e mezzo. Mio padre giocava a calcio a livelli un po’ più bassi rispetto a me, mi ricordo che da bambino andavo a vederlo. Sicuramente da lì viene la voglia di giocare a calcio, questo amore per il pallone. Ho dimenticato tante cose, avevo sempre il pallone. Giocavamo sempre davanti a casa, lì abitavano due fratelli di mio padre, con le rispettive famiglie. Poi è iniziata la guerra, dovevamo spostarci tutti. Mi ricordo che eravamo in giardino a giocare, poi sentimmo l’allarme di pericolo. Mia madre ci prese subito dentro casa, sapevo che qualcosa non andava bene. Piano piano ho capito, alla fine, anche se ero molto giovane. Più di tutto, avevo paura per loro. Dovevano uscire sempre, per lavorare, portare cibo. Poi i bambini sono così, quando non puoi, vuoi uscire sempre a giocare. Poi dovevamo spostarci, andammo più vicino al centro, abitavamo in 35 metri quadrati, eravamo in 15”.

Interviene la sorella, Merima.
Ci troviamo a Otoka, il quartiere dove ci siamo trasferiti quando è iniziata la guerra. La casa dove siamo nati dista un paio di chilometri. È qui che abbiamo iniziato ad andare a scuola e quello lì è il campetto dove Edin ha fatto i suoi primi tiri in porta. Siamo rimasti qui per le elementari e le medie, i nostri ricordi più belli restano legati a questi posti. Il campetto, il parco, il nostro quartiere sono i luoghi dove abbiamo vissuto le emozioni più intense. Nonostante la guerra è un ricordo gioioso”.

Parola ad Aleksandar Kolarov.
Quello che è successo da parte nostra io e anche lui siamo dell’idea che ci siano uomini buoni e catttivi, non c’entra la nazionalità. Siamo nuove generazioni, che hanno vissuto cose da piccoli. Siamo professionisti e capitani delle nazionali, d’esempio su come ci si deve comportare. Lui è un amico, conosco tutta la sua famiglia, sarebbe da ignoranti parlare di queste cose, di cui la gente come noi non deve parlare”.

Riprende il racconto di Džeko.
La gente ha opinioni strane su cose che non ha mai visto. Posso capire, ma è difficile parlare prima di vedere. Per questo mi piacerebbe che le persone che pensano alla guerra ci andassero, in un’ora ora si arriva in Bosnia, Sarajevo ora è bellissima. È una cosa bella da vedere”.

I primi calci.
Dopo la guerra mio padre mi ha portato in una scuola dove ho iniziato ad allenarmi, era Zeljeznicar. Non ci si poteva allenare fuori, i campi erano distrutti. Il mio primo allenamento era in una scuola”.

Parla Jusuf Sehovic, suo primo allenatore al Zeljeznicar.
Sono stato il suo primo allenatore, ricordo il suo arrivo con piacere. Aveva 8 anni, stavamo facendo le selezioni dei ragazzi classe ‘86. Durante quel periodo, un ragazzo in particolare mi fece pensare che avrei dovuto prestargli maggiore attenzione. Vedevo in lui delle grandi qualità, aveva già un fisico atletico, agile e veloce. Notai subito che aveva una caratteristica importante: l’allenamento non gli pesava mai. Non ha mai saltato un appuntamento, non voleva mai lasciare il campo. Siamo subito passati alla preparazione vera. In quella fase aveva mostrato di essere superiore. Apprendeva in fretta, superando i momenti tecnici difficili che a quell’età sono decisivi”.

Parla Mirza Trbonja, amico di infanzia di Džeko.
Siamo sul secondo campo d’allenamento, a Grbavica, dove Edin ha iniziato a giocare a calcio. Non era così bello a quei tempi. Quando Edin giocava qui, c’erano solo sabbia e rocce, era complicato dopo la guerra. Andavamo a scuola insieme. Era magrissimo, alto, simpatico, il calcio era già la sua vita quando era al liceo. Mi ricordo che ogni venerdì compravamo il giornale per leggere gli articoli su di lui, su come aveva giocato. Divertente, a ripensarci adesso, ma era una star a quei tempi. Giocavamo nella squadra della classe e della scuola, lui era il centravanti e io il portiere. Una volta giocammo una finale, presi 5-6 gol. Mentre Edin ne segnò 7. Dopo la partita mi disse che ero riuscito a prenderne di più di quanti ne avesse segnati lui. Era il migliore della scuola e tutti volevano giocare con lui, per fortuna giocava per la nostra classe, era davvero bello”.

Di nuovo Sehovic.
“lSegue un periodo di lavoro ostinato, nei 4-5 anni successivi Edin spinge veramente tanto, progredisce notevolmente e ha grandi ambizioni. Aveva già deciso quale fosse la sua strada. Quello che fu determinante era questa spiccata voglia di lavorare duro, mi dava l’idea che lui volesse arrivare lontano, traspariva dal modo di lavorare. Qualsiasi fossero le condizioni del campo, Edin non ha mai perso un allenamento. In poco tempo giocava già con i ragazzi più grandi. Dopo neanche un anno era diventato titolare fisso negli Allievi, e stava attirando l’attenzione del campo degli juniores. All’epoca l’allenatore degli juniores era Amar Osim, oggi allenatore del Zeljeznicar. Anche lui aveva notato Edin, gli dissi che era il caso di dedicargli più attenzione e fargli fare allenamenti aggiuntivi. Amar ascoltò i miei consigli e di lì a poco passò agli juniores. Poi qualcosa di straordinario succede allo stadio Grbavica. Quel ragazzetto senza un pelo sulla faccia, appena uscito dalla guerra, entra in campo con la Primavera e mette a sgno 4 gol”.

Džeko parla dello Zeljeznicar.
Da lì è iniziato il mio cammino. Questo video non ce l’ho! Me lo devi mandare, per vedere ancora quei gol. Ero così (fa segno col dito), ero 193 cm ma 75-78 kg. Vecchi tempi (ride, ndr)”.

Le parole di Asim.
Lo conoscevo perché lo avevo visto quando ero tornato a casa dopo un paio d’anni all’estero. Tuttii parlavano di questo ragazzo giovane ma non piccolo perché era già molto alto, un ragazzino capace di segnare tantissimi gol. Io ero un giocatore della prima squadra e andavo a vedere le partite delle giovanili per guardare Edin giocare. Qualche tempo dopo sono diventato l’allenatore della Prima Squadra e un paio d’anni dopo, quando era grande abbastanza per giocare con noi, l’ho convocato in Prima Squadra. All’epoca non era così frequente che un diciassettenne giocasse con la Prima Squadra, ma l’avevamo seguito per i 4-5 anni precedenti e sapevamo che, anche se era molto magro e gli mancavano 15-20 chili rispetto agli altri giocatori, aveva le qualità per competere con loro. Avevamo una squadra molto forte all’epoca, ma ciononostante era abbastanza bravo per competere”.

Di nuovo Džeko.
La prima volta, quando Osim mi ha chiamato, è stata una cosa incredibile. In quel momento lì, quando sei ragazzino, l’unica cosa che pensavo era di giocare per la Prima Squadra. Se avessi potuto fare una partita per la Prima Squadra per me sarebbe stata la fine del mondo”.

Asim torna a parlare.
Voleva diventare un professionista a tutti i costi e faceva tutto quello che poteva nella sua situazione, per provare a farlo. Questo aspetto mi impressiona più del talento. Era molto serio e sapeva cosa voleva ottenere. Questo è il problema dei giovani d’oggi, che non vogliono fare nessun sacrificio. Edin voleva diventare un calciatore ed era davvero disposto a fare tutto il necessario per diventarlo”.

Džeko su una partita.
Perdevamo 2-1, Asim mi disse di entrare, fare due gol e uscire. Lì per lì lo guardai e gli chiesi meravigliato se veramente dovevo segnarli. Purtroppo perdemmo, ma resta una cosa particolare

Il passaggio al Teplice.
Al Zeljeznicar giocavo e non giocavo, non ero titolare. L’allenatore della Repubblica ceca era stato allenatore lì e andò via. Dopo 3-4 mesi mi chiamò e mi chiese se sarei voluto andare da lui. Allenava una squadra in B una sorta di seconda squadra del Teplice, mi disse di firmare per loro, andare 6 mesi da lui. Senza neanche pensarci dissi subito sì, sapevo che potevo migliorare ancora di più”.

Di nuovo la sorella.
Edin ha lasciato casa a soli 19 anni, riguardando indietro mi sembra una cosa così lontana. Proprio l’altro giorno, parlando con lui, abbiamo realizzato che sono già passati 14 anni da quando ha lasciato Sarajevo. Sembra solo ieri, ma in realtà sono passati anni e tante cose sono successe. All’inizio eravamo preoccupati per il fatto che Edin dovesse vedersela da solo in Repubblica ceca, era giovane e non era mai andato via di casa. Ci chiedevamo come avrebbe affrontato le sfide e le tentazioni che avrebbe incontrato sulla sua strada. Siamo rimasti molto sorpresi quando ha iniziato a dimostrare che era perfettamente capace di cavarsela in qualsiasi posto del mondo si fosse trovato. Edin sembra essere nato per fare questo lavoro, così per affrontare tutte le sfide della vita. Sembrava fosse predestinato a compiere grandi cose e di fatto lo sta facendo”.

Il passaggio a Wolfsburg.
Prima di andare lì esordii in nazionale, vincemmo 3-2 contro la Turchia. Già lì sentii qualcosa che c’era col Wolfsburg, mi vidi con Magath e firmai, per rimanere tre anni e mezzo”.

Parla Cristian Zaccardo, suo compagno al Wolfsburg.
Il Woflsburg aveva preso me e Barzagli. Non ho bellissimi ricordi, anche perché con Magath era stato il ritiro più massacrante in carriera, con tre allenamenti al giorno”.

Džeko su Magath.
Gli allenamenti erano duri, ma c’era un allenatore importantissimo che mi ha dato tanto, mi ha aiutato molto per la mia carriera. Alla fine abbiamo vinto il campionato. Una squadra che mi rimarrà nel cuore, lì posso dire di essere diventato un giocatore di un livello superiore”.

Zaccardo su Džeko.
Era giovane, ma si vedeva che avesse qualità. Un giorno fece 1-2 tunnel e un gran gol in allenamento. Ci guardammo io e Andrea e ci dicemmo che era un giocatore da grande squadra”.

Džeko sul gol all’Hannover.
Uno dei più belli. Per il Wolfsburg era come un derby. Vincevamo 3-0 nel primo tempo e avevo ancora paura, sapevo che se avessimo vinto lo scudetto sarebbe stato incredibile, tutti dicevano che alla fine avrebbe vinto il Bayern, non ci credeva nessuno. Volevamo dimostrare che meritiamo di vincere, battemmo tante squadre forti, il Bayern 5-1, il Dortmund 4-0, giocando un calcio incredibile”.

La partita col Bayern Monaco.
Quelle partite non potevamo sbagliarle, eravamo una squadra forte che andava sempre al massimo, che era preparata per tutto”.

Zaccardo sul Wolfsburg.
Il segreto era il gruppo, eravamo molto coesi, con giocatori di qualità. Edin fece 26 gol, 28 Grafite, c’era Misimovic, molto forte. Un mix di giovani e meno giovani. A Natale eravamo noni, col girone di ritorno super arrivammo davanti al Bayern di Toni. Quando eravamo a tavola in ritiro, mi giravo a destra con Džeko e Misimovic, poi c’era Barzagli, un portoghese, un argentino, due giapponesi… si parlava tutto tranne che il tedesco. Ma ci capivamo”.

Il passaggio al City.
Volevo fare un altro passo avanti, era la squadra giusta. Mancini mi voleva tanto, è importante che un allenatore mi voglia. Quando vai in una squadra come il City, con tanti giocatori forti, è importante che l’allenatore ti voglia”.

Parla Roberto Mancini.
L’idea di prendere Džeko nasce dal fatto che stavamo costruendo il Manchester City per portarlo a livelli alti. Cercare di vincere la Premier dopo 50 anni. Cercavamo giocatori bravi. Edin era il profilo perfetto, aveva già esperienza europea, aveva vinto il campionato e fatto tanti gol. Nonostante la sua stazza era un giocatore mobile, tecnico, che ci mancava. Lo volevamo e lo prendemmo”.

Parola di nuovo a Kolarov
Ho conosciuto Edin quando è approdato al Manchester City, parlando la stessa lingua l’ho chiamato e così ci siamo conosciuti di persona”.

Roberto Mancini sull’arrivo di Dzeko al Manchester City
L’impressione su Dzeko era ottima, sapevamo che era un giocatore giovane che sarebbe migliorato”.

Kolarov sull’arrivo di Dzeko al Manchester City
Sapevamo che era un giocatore che aveva vinto la Bundesliga con il Wolfsburg, lui si è inserito molto bene con la squadra, nella città e quindi ci siamo trovati tutti benissimo con lui”.

Dzeko sulla sua avventura al Manchester City
Nei primi sei mesi non è stato facile perché c’era tanta concorrenza, però ho fatto 4 gol al Tottenham nel 5-1 finale. La partita successivamente poi sono rimasto in panchina per 90’… Ho chiesto al mister perché non avessi giocato, lui mi ha risposto che dovevo riposare. Aguero comunque fece tripletta al Wigan, io però non ero contento”.

Mancini sul rapporto con Dzeko
È stato un ottimo giocatore anche se talvolta mi rompeva le scatole quando stava in panchina. Stavamo costruendo una squadra con 4 attaccanti tutti titolari tra Tevez, Aguero, Dzeko e Balotelli ed era difficile scegliere chi schierare, ma sono stati tutti fondamentali per la conquista del titolo”.

Il rapporto di Dzeko con il gol.
Per me è fondamentale, a Manchester giocavo tanto e avevo il numero 10, un numero importante”.

Dzeko ricorda la sfida con il QPR, valida per il titolo.
Non era normale non vincere quella partita, passammo in vantaggio per 1-0 con Zabaleta e pensavo che sarebbe stato poi tutto facile. Nella ripresa ci fu il pareggio, poi Barton fu espulso e rimasero in 10. Loro, però, passano in vantaggio e noi diventiamo nervosi, così come tifosi e l’allenatore Mancini. Entrai a circa 25’ dalla fine, abbiamo provato di tutto per ribaltare il risultato, ci sono state delle piccole occasioni, poi su azione da calcio d’angolo segnai il 2-2 ma pensavo avessi segnato troppo tardi”.

Mancini commenta il pareggio di Dzeko.
Quel gol mi ha ridato fiducia, eravamo già al 90’ ma eravamo ancora in corsa, avevamo un paio di azioni per fare il terzo gol”.

Di nuovo Dzeko.
Non ci credevo nemmeno io, nel calcio poi può accadere di tutto. Mi ricordo che al gol di Aguero feci uno scatto a una velocità massima, impossibile spiegare come abbiamo fatto quei due gol in due minuti, secondo me è difficile che una cosa del genere possa ricapitare in futuro e vincere così lo scudetto”.

Amra Dzeko sul primo incontro con il suo futuro compagno.
La prima volta che si siamo conosciuti è stata una decina di anni fa, ma non parlammo molto. Due anni dopo, Edin è venuto a Los Angeles in ritiro con il City, abbiamo iniziato a parlare e a scriverci ed è nata la nostra storia”.

Dzeko sul rapporto con Amra.
Siamo stati insieme per 5 anni prima di sposarci. Lei era a Los Angeles e io a Manchester, ci siamo sforzati per restare insieme almeno una volta al mese perché eravamo lontanissimi, poi abbiamo deciso di vivere insieme”.

Di nuovo Amra.
Abbiamo vissuto insieme 6 mesi a Manchester prima di trasferirci a Roma. Prima di firmare con la Roma, abbiamo visitato la città per 4 giorni e ce ne siamo subito innamorati”.

Prosegue Dzeko.
Quei giorni abbiamo camminato tantissimo, non so quanti kilometri abbiamo fatto. Amra poi è una che corre (ride, ndr)”.

La scelta di firmare con la Roma.
Sapevo che il mio tempo al City stava per finire, mi convinse Sabatini. Il ds mi venne a trovare in Croazia e mi disse che senza di me non sarebbe tornato a Roma. Non è stato uno che è venuto e ha lasciato in sospeso le cose, lui è stato diretto, ogni minuto si accendeva una sigaretta (ride, ndr). Dopo è stato tutto più facile perché le società già si conoscevano, il resto lo conosciamo”.

L’arrivo a Roma.
Una cosa incredibile, pensavo si vedesse solo in televisione, avevo sentito che i tifosi giallorossi erano calorosi ma non mi aspettavo un’accoglienza del genere all’Aeroporto”.

Il debutto nell’amichevole con il Siviglia.
Abbiamo giocato bene, feci due gol e come inizio era promettente guardando poi la partita contro la Juventus in casa dove abbiamo vinto, abbiamo iniziato bene quel campionato”.

Il primo gol in Serie A contro la Juventus.
Non mi aspettavo di fare gol, Iago Falque crossò e segnai. Purtroppo dopo abbiamo avuto delle battute d’arresto e non siamo più stati noi”.

Il rapporto con Spalletti.
Diceva a tutti che si doveva dare di più, voleva che i palloni andassero in verticale per l’attaccante e quel gioco per me fu importante, altrimenti non avrei mai fatto 39 gol”.

Il primo anno con Di Francesco.
In campionato ci sono stati alti e bassi, ma in Champions League abbiamo fatto un cammino straordinario che nessuno si aspettava. Per prima cosa, nessuno pensava che avremmo superato il turno avendo nel girone Atletico Madrid e Chelsea, tutti pensavano che saremmo retrocessi in Europa League”.

Il debutto contro l’Atletico Madrid.
Alisson ci salvò in diverse occasioni, i Colchoneros avrebbero meritato di vincere”.

Chelsea-Roma 3-3.
Penso che quella sia stata una grande partita per come l’abbiamo giocato, tra l’altro segnai un gol che probabilmente è il più bello della mia carriera”.

Barcellona-Roma 4-1
Quando abbiamo preso il quarto gol ero molto dispiaciuto, sul 3-1 ero più fiducioso. Di Francesco preparò molto bene il match di ritorno ed è stato merito suo se poi abbiamo passato il turno”.

Roma-Barcellona 3-0.
Tutti dicono che sono stati eliminati per demerito loro, la verità è che abbiamo giocato bene noi per tutta la partita. Penso che quella partita sia stata clamorosa, la guardo spesso e ancora non mi capacito di quello che abbiamo fatto”.

Liverpool-Roma 5-2.
Non voglio ricordare quella partita, l’abbiamo buttata perché in semifinale fa male perdere così, quella partita rimane lì nella mia testa”.

Il rapporto con Fonseca.
Gli dissi subito che con me non avrebbe mai avuto problemi, non ne ho mai avuti con i miei tecnici. Iniziai la preparazione e poi sono rimasto a Roma. Fonseca parlava spesso con me e mi diceva di rimanere, mi diceva di essere felice quando mi allenavo”.

Lo spogliatoio della Roma.
Siamo tutti amici, anche da altre parti ti fai degli amici però qui a Roma siamo sempre tutti insieme, siamo un gruppo importante e siamo tutti molti amici”.

Le critiche.
Quando segni sei il numero uno, quando non lo fai devi essere ceduto. Sappiamo come funziona, in tanti parlano. Tutti possono dire quello che vogliono, l’importante è ciò che vuoi ascoltare e sentire”.

Parla il giornalista bosniaco Jasmin Ligata.
Edin è il giocatore più popolare della Bosnia, grazie alle sue avventure al Wolfsburg, al Manchester City e alla Roma in molti qui hanno chiamato i loro bambini come lui. Edin è una brava persona e il popolo lo sa, anche se c’è chi dice che non ha segnato dei gol, è una brava persona. Edin Dzeko è il popolo bosniaco”.

Amra Dzeko parla di come il marito è visto in Bosnia.
Si parla spesso di lui, dove si presenta la gente diventa pazza, i bambini lo adorano”.

Torna a parlare Jasmin Ligata.
Faccio il giornalista da 15 anni, quando mi chiedevano da dove venissi, tutti che parlavano della guerra. Poi, quando Edin ha vinto il titolo con il Wolfsburg, le cose sono cambiate e quando dicevo che venivo dalla Bosnia, tutti pensavano a Dzeko, lui è il nostro ambasciatore”.

Riprende a parlare il tecnico dello Zeljeznicar Amar Osim
Nessuno può dire con certezza che Dzeko sarebbe diventato così forte, iniziando a giocare anche in Repubblica Ceca. Qui a Sarajevo si allenava che non c’erano le infrastrutture, non c’erano gli allenatori, non avevamo nulla. Era difficile immaginare che un calciatore da questo contesto potesse diventare così forte. Sapevamo potesse diventare un buon giocatore, non che diventasse uno dei primi 5 al mondo, che vincesse titoli in Germania in Inghilterra. A Roma, poi, è diventato uno dei più importanti della storia giallorossa, penso che nessuno se lo sarebbe immaginato”.

Kolarov sulla struttura fisica di Dzeko.
È un giocatore completo, ha tecnica, è destro-sinistro, sa giocare a calcio e questi giocatori li adoro, quindi sono pochi i giocatori che hanno la sua struttura. Io non lo vedo come un attaccante, per me è normale che segni. Sono pochi quelli al mondo che fanno quello che fa lui. Per me è un sinistro anche se non lo ammette, prende sempre la porta (ride, ndr)”.

Interviene anche Zaccardo.
Ha il fisico, ha il senso del gol, è bravo tecnicamente

Chiusura da parte di Mancini.
È tecnico, per il fisico che ha è anche veloce”.

 


Pastore: "Già da piccolo sognavo di andare in Europa. Ho avuto la fortuna di giocare con e contro i migliori"

Javier Pastore, giocatore della Roma, ha rilasciato un'intervista tramite una diretta Instagram sulla pagina eeafporteros. Queste le sue parole:

"La quarantena si sta allungando. Con il calcio viaggiamo spesso e siamo poco a casa. Questo periodo ci sta facendo stare molto insieme in famiglia. Lo stiamo sfruttando e ci stiamo allenando al meglio possibile".

Eravamo un bel gruppo al Talleres…
Ricordo sempre con piacere gli anni della mia infanzia. Non avevamo videogiochi e c’era solo il calcio. Anche quando ci vediamo ora è come se non fosse passato il tempo. Ci divertiamo sempre alla stessa maniera. A quel tempo forse non ci pensavo molto a quello che facevo, adesso invece ricordo davvero con piacere e mi emoziono sempre a pensare quanto era importante per me il calcio in quegli anni iniziali”.

Già quando eri piccolo avevi questa caratteristica di giocare tranquillo e a testa alta. E’ questo il tuo modo di giocare?
Me lo hanno sempre detto in molti. Ho questo modo di giocare sempre con molta calma e ho tanta convinzione in quello che faccio. Già da piccolo sognavo di andare in Europa e di giocare con l’Argentina. Per certi versi è stato normale fare la mia carriera, perché già sognavo di farlo. E’ importante fissarsi un obbiettivo e lavorare per quello”.

Come è stato il tuo arrivo all’Huracan? Come hai vissuto l’impatto con un grande gruppo e con il tecnico Angel Cappa?
Non è stato solo passare di categoria dal Talleres all’Huracan. Il primo campionato non ho potuto giocare per un problema al transfer. Per sei mesi mi sono allenato da solo in una struttura per due volte al giorno. Quindi nessun allenamento con la squadra il primo anno. Il campionato dopo ho giocato poco. Alla fine del secondo campionato ho giocato di più, con altri giocatori giovani e furono partite molto importanti contro River, Velez e Lanus. Così arrivò Cappa l’anno dopo e avevamo un rapporto paterno con lui”.

Era un piacere vedere quell’Huracan anche perché Cappa era uno di quegli allenatori che ti convinceva a dare di più. Dall’Huracan sei andato in Europa, al Palermo. Come è stato l’adattamento in Italia?
E’ stato molto difficile, perché all’inizio ero esile fisicamente e non lavoravo molto. Era difficile per me mettere massa muscolare. Nei primi sei mesi ho avuto difficoltà. La gente di Palermo è stata molto calorosa, però in campo non riuscivo a relazionarmi bene con i compagni. Mi costò molto. Avevo un tecnico, Delio Rossi, che mi chiamò il primo giorno con Sabatini e mi disse di aspettare e fare allenamento. Nel primo periodo si fermava con me per farmi lavorare e chiamava alcuni giovani della primavera per farmi vedere i movimenti tattici. Ogni giorno così. Ho iniziato così a intendermi con i compagni e a giocare meglio. Il secondo anno a Palermo è stato il migliore. L’importante è stato darmi convinzione. All’inizio mi avevano detto che non correvo, che non avevo forza, poi invece Delio Rossi in un mese mi insegnò tatticamente come funzionavano le cose in Italia”.

Cosa è stato affrontare grandi portieri come Buffon, Julio Cesar, Dida e tanti altri?
Ho avuto la fortuna in quel periodo di giocare con i migliori e contro i migliori. Avevo piacere nel giocare contro di loro anche perché porto sempre un bel ricordo e tante magliette. Come ad esempio quella di Toldo, che per me era un mito”.

Poi un salto spettacolare, quello al PSG, nel primissimo periodo. Che periodo è stato?
Io sono un tipo molto tranquillo e umile ed entrai in un contesto grandissimo. Ero uno degli acquisti più cari, di una squadra che stava iniziando a costruire una squadra importante. Thiago Motta, Maxwell, Lugano, Menez, Gameiro e poi tanti sarebbero arrivati. L’obbiettivo era entrare in Champions così da attirare altri giocatori foti. Le cose ci andarono bene”.

Ti divertivi anche con questi campioni?
Il primo anno fu difficile, anche il dialogo. Menez mi ha aiutato con l’italiano, poi c’erano Sissoko e Nene. All’inizio era un gruppo molto umano, poi arrivarono personalità incredibili. Lavezzi è stato il miglior compagno che ho avuto nello spogliatoio. Si allenava sempre bene e aveva un aspetto umano incredibile. Ci capitava di tornare tardi da una trasferta e Lavezzi diceva di andare da lui a mangiare una pasta. Quindi io, Ibrahimovic, Maxell e tutti gli altri partivamo per fare questa cena notturna”.

Come si manteneva questa coesione di gruppo con tutte queste stelle?
Non è mai facile in queste squadre importanti, come al Barcellona, al Real o al Manchester. Proprio per questo ci sono grandi rivalità, grande ego che si affrontano. Senza dubbio. Ogni giocatore che viene vuole essere il migliore. Quello però che creammo fuori dal centro d’allenamento era importantissimo ed era molto difficile che qualcuno rimanesse solo. Questo ci porto a vincere tutto in Francia, perdemmo in Champions, ma creammo una grande unione più grande di qualsiasi problema”.

La Selecciòn era il sogno da bambino. Rappresentare il tuo paese…
E’ la cosa più importante ed emozionante per un giocatore a questo livello. Vedere la gente cantare l’inno è qualcosa di unico. Non c’è inno di Champions o altri che tengano. E’ il massimo, soprattutto perché con la Nazionale puoi competere con i migliori del mondo e anche allenarti con i migliori connazionali”.

Hai avuto sempre un buon rapporto con i portiere?
Con Pau Lopez abitiamo vicini, siamo spesso insieme. Sirigu è il padrino di mia figlia. Ho sempre avuto un ottimo rapporto con i portieri. Sono matti!”.

Cosa diresti al Javier giovane?
Potrei dirti cosa direi a un bambino di nove anni, ossia che tutto quello che sogna è possibile e si può ottenere con voglia, impegno e responsabilità. Questo il consiglio che potrei dare”.


Mkhitaryan: "Ho atteso l'esordio con la Roma per due settimane, ero emozionato ed ho segnato"

Henrikh Mkhitaryan, giocatore della Roma in prestito dall'Arsenal, ha vestito i panni dell'intervistatore nella nuova iniziativa della società giallorossa proponendo domande ai tifosi su Twitter e rispondendo egli stesso:

Qual è la vostra maglia preferita di sempre?
"Avendo indossato solo le tre maglie di questa stagione non ho molte opzioni per scegliere la mia preferita. Come vedete indosso quella blu, ma la rossa mi piace un po’ di più".

 

Qual è il mio gol che preferite di questa stagione?
"Per me il mio miglior gol segnato finora con la Roma è stato quello al Sassuolo alla mia prima partita. Perché era il mio esordio ed ero molto emozionato".

Chi sono i vostri giocatori preferiti?
"Ogni giorno io imparo qualcosa su questa grande squadra. Ogni giorno rimango stupito dal club, dal modo in cui dà supporto ai giocatori, dal supporto dei tifosi e da quanto amano il calcio. Io non ho un idolo o un calciatore preferito, penso però che voi l'abbiate".

 

Qual è stata la vostra prima partita all'Olimpico e che ricordo avete?
"L'impatto con lo stadio alla prima partita è stato emozionante. Abbiamo vinto e ho segnato, ho atteso per due settimane ed ero molto felice al termine del match".

Cosa vedete tra film e serie tv ora che state in quarantena?
"Al di là del tempo che passo con i familiari e gli esercizi che devo fare, ho più tempo per vedere serie tv e film".

 

Avete un soprannome?
"Io ne ho uno che è Miki, me lo hanno dato ai tempi del Borussia Dortmund. Klöpp mi chiese se avessi un soprannome e, visto che non l'avevo, lui propose di chiamarmi così. Era più facile per i compagni e io non ebbi problemi". 


Gautieri: "Sono molto legato alla Roma ed ai tifosi. Sogno di tornarci a lavorare"

Carmine Gautieri, ex giocatore della Roma dal 1997 al 1999 ed oggi allenatore della Triestina, è intervenuto ai microfoni di Centro Suono Sport per parlare dei suoi anni in giallorosso:

Ti ricordi il derby dell'11 aprile 1999 (Roma-Lazio 3-1)?
"Certo, è difficile non ricordarsi un derby. È una partita a se, ogni derby è indelebile, chi ha avuto la fortuna di giocarlo deve ritenersi fortunato. Io lo sono per aver giocato il derby e per aver indossato la maglia della Roma per due anni e mezzo".

Era un periodo in cui la Lazio era forte, ma la Roma di Zeman riuscì a vincere in maniera netta quella partita.
"Si, la Lazio che era sempre nelle prime posizioni. erano forti, noi facemmo una partita straordinaria sotto ogni aspetto, mentale, tattico e tecnico. L'aspetto mentale in un derby è fondamentale. In quella partita eravamo carichi al massimo, vincemmo meritatamente e fu una grandissima soddisfazione".

Quella fu una stagione molto travagliata, l'ultima di Zeman.
"Si, fu un'annata travagliata, ma tutto sommato abbiamo fatto un buon campionato, avevamo una rosa con tanti giovani, tanti poi sono cresciuti. Sicuramente si poteva fare meglio, ma in quei due anni Zeman ci ha insegnato tantissimo".

Il lavoro di Zeman quanto è tornato utile poi nelle stagioni successive con Capello?
"Capello ha avuto la fortuna di trovare un'ottima base, poi aggiungici gente come Batistuta, Emerson, Samuel, Montella ed è venuta fuori una squadra straordinaria. Capello ha trovato una squadra abituata a lavorare, che sapeva già cosa fare, poi con questi innesti la squadra è diventata fortissima".

Le battaglie di Zeman fuori dal campo?
"Lui ha espresso un suo pensiero e se all'epoca la Roma pagò quelle dichiarazioni è una cosa preoccupante, spero di no. Parliamo di uno dei giocatori più bravi che il calcio italiano abbia mai avuto".

Contro la Juventus vi fu negato un rigore incredibile per un fallo di Deschamps su di te.
"Si, quello era un rigore incredibile. Poi la partita dopo col Lecce ci diedero un rigore che non c'era assolutamente, forse hanno voluto compensare. Quella partita con la Juve però rimane un rimpianto, ci poteva consacrare".

Hai sempre dato tutto per la maglia.
"Io sono molto legato a Roma e ai tifosi. Per me ogni giorno a Roma era felice, io ho dato tanto alla Roma, ma la Roma ha dato tanto a me. Il mio sogno sarebbe tornare a lavorare con la Roma, verrei anche a fare il magazziniere".

Come vedi De Rossi allenatore?
"Lo vedo bene come allenatore, ha le idee giuste. Ha la voglia di imparare e di capire e sa che deve partire dal basso per arrivare ad allenare la Roma. Se porta avanti il suo pensiero può diventare un grande allenatore, ha le giuste competenze, è una persona equilibrata e con carisma, inoltre ha una grande voglia di imparare".

Lo sapevi che Totti aveva la maglia con la scritta "Vi ho purgato ancora"?
"No. Mi ricordo che quando ha segnato è andato sotto alla Sud e lì abbiamo scoperto che aveva quella maglia".


Stagione 2020, alla ricerca del tempo perduto

INSIDEROMA - SARA BENEDETTI - Scatta il piano di recupero post lockdown: tra campionato, coppe e Nazionale non ci sarà sosta nella stagione 2020/2021. Settembre, ottobre e novembre saranno i mesi più intensi, si giocherà infatti ogni tre giorni. L'11 giugno inizieranno gli Europei, perciò il nuovo campionato dovrà finire a maggio 2021.

COPPE EUROPEE - La situazione continua però ad essere critica e si è ancora alla ricerca di un punto d'incontro. I vertici della Figc, con il presidente Gabriele Gravina, e quelli della Lega di serie A, Paolo Dal Pino e Luigi De Siervo, nonostante non siano d'accordo sul come e quando, insistono sulla necessità di tornare quanto prima sul campo. Nel frattempo la Federazione del Belgio che voleva chiudere qui la stagione, non aiuta affermando che se non si scenderà più in campo non ci saranno Coppe Europee, come dichiarato dal presidente della UEFA Ma se il governo belga decidesse che non ci sono più le condizioni per tornare a giocare, allora Ceferin non potrebbe che adeguarsi. 

LA SITUAZIONE IN EUROPA -  La Svizzera deve ancora recuperare 15 giornate di campionato ma in proporzione alla sua popolazione è quella che ha il maggiore numero di contagiati e di morti al mondo. La Spagna è messa malissimo ma il n.1 della Lega, Javier Tebas, molto stimato da Cairo, farà l'impossibile per fare chiudere la stagione a Barcellona, Real e co.: si stanno studiando varie formule. La Bundesliga ha ipotizzato di riaprire gli stadi verso fine maggio (ha ancora 9 giornate da giocare), ma intanto metà dei club di seconda divisione sono a rischio crac. Nella serie A italiana la maggioranza vorrebbe finire qui anche se gli orientamenti della Lega vanno in direzione diversa. La speranza è di tornare in campo il 20 o 24 maggio, speranza (di Gravina) che però ogni giorno si fa sempre più flebile: più realistico pensare al 6 giugno. 

I NUMERI - Se i campionati davvero non dovessero vedere la conclusione,mettendo automaticamente in dubbio il ritorno delle partite in autunno, i numeri del crac economico sarebbero terrificanti. Per la sola serie A l’ipotesi del buco va dai 700 agli 800 milioni di euro. Discriminante la conclusione o meno del torneo 2019/2020, per finire il quale mancano 124 partite ovvero 12 giornate complete più 4 recuperi. L’advisor della Federcalcio, Open economics, ha immaginato tre scenari. Il primo, ormai da scartare, prevedeva la possibilità che i campionati ripartissero con il pubblico negli stadi. La seconda possibilità prevede la fine del torneo a porte chiuse: danno stimabile in 294 milioni di euro, oltre le perdite previste a eventi normali che ammontavano a 290 milioni (totale, quindi, di 584 milioni di buco). Terzo scenario: campionati chiusi senza essere terminati e quindi serio rischio di un altro -215 milioni (mancato incasso dalle tv) con totale che arriverebbe a 799 milioni di rosso.

Un’enormità per un movimento che genera ogni anno 5 miliardi di fatturato e che versa 1,3 miliardi fra contributi fiscali e previdenziali allo Stato. Soldi con i quali, è bene ricordarlo, vive anche il resto dello sport italiano che incassa i contributi annuali (un tempo dal Coni, ora da Sport e Salute) grazie soprattutto all’indotto calcio.


Fonseca, i guai sono in mezzo: manca un play

IL MESSAGGERO - CARINA - Ciak, si gira. Per la prossima stagione una delle priorità della Roma sarà quella di acquistare un regista. Uno di ruolo, che regali più qualità al reparto. Quest’anno Fonseca ha dovuto adattare nel ruolo Cristante e Diawara, ma adesso chiederà alla società di intervenire sul mercato. Che poi venga acquistato un calciatore come Jean Michael Seri o Lucho Gonzales oppure Luiz Carlos o ancora l’esplosivo Freddipenderà dalle occasioni di mercato. L’identikit però è chiaro: un regista di ruolo con qualità nei piedi. Non è un caso che la Roma, nell’eventualità dell’uscita di Cristante, abbia messo gli occhi su Mandragora.