I tifosi ci sono, ma i loro diritti? Serve un "sindacato": ecco perchè

(INSIDEROMA- Avv. Marco Valerio VERNI) - Un ringraziamento ai “cugini” biancocelesti è d’obbligo: come riportato giorni fa dal Corriere della Sera, infatti, sembrerebbe che, ad Aronzo di Cadore, luogo attuale del ritiro della squadra di Sarri, i tifosi laziali abbiano fatto apparire il cartonato della sagoma dell’arbitro Taylor, noto alle cronache per aver malamente diretto la finale di Europa League, lo scorso 31 maggio, tra la Roma ed il Siviglia, vinta da quest’ultima ai rigori.

Già si è scritto su queste pagine  dell’assurda direzione di gara che ha privato i giallorossi di Mister Mourinho dell’ambito trofeo, unitamente alle migliaia di tifosi che, tra Roma e Budapest, avevano seguito con passione ed affetto la squadra: innegabile che, al netto delle pessime decisioni del fischietto inglese, i capitolini avrebbero certamente potuto alzare al cielo la coppa.

Ebbene, è encomiabile che i tifosi d’oltre raccordo, passato lo spauracchio che li ha evidentemente accompagnati, tra indicibili sofferenze e patemi d’animo, a ridosso di quella finale (in realtà, il malessere è andato crescendo nel tempo, man mano che la squadra dello Special One superava, tra indicibili difficoltà, turni su turni), riconoscano sportivamente il ruolo decisivo assunto dall’arbitro proveniente dalla perfida Albione, a cui, peraltro, un club di tifosi della stessa società biancazzurra pare aver addirittura regalato la tessera di socio onorario.

Insomma: i nostri stessi “cugini” ammettono che, senza di lui, la Roma avrebbe vinto quella maledetta finale. Chissà che non decidano, in un prossimo futuro, di dedicargli anche un settore di Formello o di farlo entrare nella Hall of Fame del club. Nel frattempo, sulla sponda giallorossa, non vi è stato alcun fremito ulteriore, da allora, dopo la fin troppo pacata conferenza stampa di Thiago Pinto: un maltrattamento che pare quasi esser passato inosservato agli occhi della dirigenza romanista, da cui forse il mondo dei relativi tifosi si sarebbe aspettato una reazione più veemente.

Ma forse, come sostengono anche molte glorie del passato, il calcio romantico di un tempo è davvero finito ed oggi è solo un mondo di freddo business: non a caso, il mondo arabo sta facendo incetta di giocatori del nostro campionato (si vedano, ad esempio, proprio i 40 milioni ricevuti dalla Lazio per la partenza in direzione Arabia Saudita di Milinkovic-Savic)- e non solo- con proposte faraoniche, oltre che con sponsorizzazioni che, al di là della gioia dei tifosi, subito incantati dalle prospettive di acquisti stratosferici, hanno certamente altre logiche.

Un calcio sempre più votato agli affari, dove la cura ed il rispetto dei tifosi è sempre più relegato al ricordo di un qualcosa che non c’è quasi più. Ed il “quasi” lo si mette solo perché si ama mantenere viva la speranza che non sia davvero così o che un giorno possa invece tornare tra le priorità delle varie società.

Per tornare alla Roma, quasi verrebbe voglia, ancora a distanza di settimane, di raccogliere il grido di protesta delle migliaia di tifosi giallorossi, ancora scossi- è inutile negarlo- in una lettera, da firmare in massa, come si suol dire, da inviare all’Uefa, per fare ciò che sarebbe stato compito di altri fare: manifestare il proprio sdegno per quanto accaduto quella fatidica notte, perché non si può subire sempre e comunque. Soprattutto quando il torto è oggettivo, nonostante le varie difese d’ufficio che, pure, si sono avute, con tanto, addirittura, di promozioni.

Forse, ancora, sarebbe il caso di pensare ad un sindacato dei tifosi, perché al dunque, gli unici ad essere davvero danneggiati, nel cuore e nelle finanze, sembrano essere solo loro. O, quantomeno, paiono gli unici a soffrirne ad oltranza. Con tutto il rispetto, si intende, per gli altri attori del proscenio calcistico, allenatore e calciatori in primis.

E, nel caso della Roma, perché non sfruttare anche l’(involontario) endorsement fornito dagli stessi “cugini”?

Avv. Marco Valerio Verni


22 luglio

INSIDEROMA.COM - ALESSANDRO CAPONE - Il sole che tramonta portando con se il giorno. Le luci dei lampioni si accendono su una serata che non è come le altre. Come ogni anno questa è la notte del richiamo della passione li, dove tutto è nato. Il senso di appartenenza a questi colori, a questo popolo ti spinge nel luogo in cui lo stesso giorno del millenovecentoventisette ebbe inizio un sogno. Lo stesso sogno che novantesei anni dopo portiamo ancora avanti con orgoglio e vanto tenendo in alto nome e colori della nostra città. Tutto racchiuso in quella maglia, che è quella che tiene il sudore. Per chi come te ci crede non è mai stata una questione di nomi o vittorie, di campioni o soldi. E’ sempre stato (e sempre sarà) arrivare in porto dopo aver combattuto contro la tempesta con tutto il resto dell’equipaggio. E’ sempre stato essere tutti fianco a fianco in qualsiasi luogo o circostanza. Si può gioire o essere tremendamente delusi, ma comunque tutti insieme. E anche stasera saremo li, fra brindisi e sorrisi a ricordare il momento che ha cambiato la storia di tutti quelli che ne fanno parte, che da una generazione all’altra ha portato avanti e trasmesso la voglia di stringersi un po’ e di credere in qualcosa che ancora oggi, se non lo vivi, a parole non si può far capire fino in fondo.

Ed è così che uscendo di casa percorri le vie della città. Hai l’impressione che tutto sia calamitato verso quel posto che in questa notte è come se sprigionasse una particolare magia. In quella stretta via, nel centro della Città Eterna, si concentreranno sentimenti ed emozioni. 

Un passo dopo l’altro i pensieri vanno agli anni passati e a quante ne hai passate mentre  calpestando i sanpietrini immagini quel che potrà riservare il futuro. La meta si avvicina avvolto dalla storia millenaria e dallo scenario che solo la tua città può offrire. Le bandiere colorano ogni via e in lontananza i primi cori rimbombano fra i vicoli. L’andatura lenta come a voler prolungare questi momenti e goderti a pieno ogni istante. Lì in fondo dei fumogeni riempiono con i nostri colori l’aria smossa dalle bandiere sventolate con fierezza e con l’energia che fra poco, a mezzanotte, raggiungerà il suo apice. 

E poi…eccolo…civico 35 di Via Uffici del Vicario. Dietro a questo portone nacque un’idea, di quelle che diventano valore. Nacque il sogno, da cui nessuno mai ci sveglierà . Nacque una speranza a cui delle volte tutti ci aggrappiamo.  Nacque… forse nascemmo noi, o comunque una parte di noi. Nacque la Associazione Sportiva Roma. Trovi il tuo spazio mentre il conto alla rovescia ti avvicina al momento. Poi l’urlo come ad un gol e subito dopo bottiglie che si toccano illuminate dai sorrisi e dalle luci delle torce che si riflettono nel fumo che si alza verso il cielo dell’Urbe Immortale andandola ad avvolgere del suo tempo  del nostro giallo e rosso. La tua voce che diventa un tutt’uno con le migliaia di voci che intonano canti e caricano corpo e anima. 

Battute, sguardi e poi qualche passo di nuovo verso il portone. Lo guardi e lo sfiori con le dita. Ti scappa un sorriso, come a tutti. Ed è in quei sorrisi che è racchiuso tutto il senso. In questi cuori che battono per qualcosa che è parte di ciascuno di noi. Ed è per questo che Roma nostra brillerà… ancora e ancora. Tanti Auguri Associazione Sportiva Roma 1927. Tanti Auguri a te…noi.

a cura di Alessandro Capone


Pi— voglia che certezze: Pellegrini forza per il derby

Poche rotazioni possibili a Praga, si scaldano Belotti e Celik. Pellegrini punta domenica. 

Il capitano era allo stadiocontro il Lecce. La curva sud lo ha abbracciato con uno striscione.  

Corriere dello Sport


Due gol oltre il novantesimo, per la Roma Š una cosa inedita

I giallorossi hanno segnato 9 reti dal 76esimo in poi, più di qualsiasi altra squadra di serie A ma non avevano mai realizzato due gol oltre il novantesimo minuto di gioco.    

Opta Paolo


Il finale Š davvero Special

La Roma esce alla distanza. 9 gol arrivati oltre il 75esimo minuto.

In Italia la differenza reti di Mourinho dal 90' in poi è di più 23. E per il derby è tornato a Roma anche Friedkin. Domenica un'altra intuizione dello Special One: Belotti in fascia a difendere.  

Corriere dello Sport


Calciomercato Roma: l'attacco necessita di un innesto. Non tramonta l'idea Sabitzer

La Roma ha svolto il suo secondo giorno di lavoro a Trigoria, in vista della ripresa del campionato.
Non si è mai fermato, invece, il lavoro di Tiago Pinto, che deve allestire la rosa da consegnare nelle sapienti mani di Mourinho.
In primis c'è da registrare il "no" di Karsdorp ad un'eventuale cessione. Un rifiuto che avrebbe potuto bloccare un arrivo di Kristensen dal Leeds, ma sembra che così non sarà. Il danese, infatti, potrebbe vestire il giallorosso grazie ad un prestito secco; indipendentemente da Karsdorp.
Una scelta che potrebbe garantire a Mourinho abbondanza sulla corsia destra, ma bisogna dare precedenza all'attacco. Il reparto ad oggi è privo di alternative, con Abraham fermo ai box ed il solo Belotti abile ed arruolabile. Piacciono Scamacca e Morata, ma entrambi presentano delle difficoltà in sede di trattativa. Per Scamacca, nonostante si sia promesso ai giallorossi, c'è distanza col West Ham tra domanda ed offerta. Gli inglesi, infatti, vorrebbero inserire nell'accordo di prestito l'obbligo di riscatto a circa 35 milioni; mentre la Roma vorrebbe solamente un diritto di riscatto. Sul fronte Morata lo scoglio da superare riguarda l'ingaggio, con l'attaccante che percepisce circa 9 milioni all'Atletico Madrid, cifra insostenibile dalla Roma ad oggi. Qualora Morata decidesse di abbassarsi l'ingaggio all'ora l'affare potrebbe andare in porto per la cifra di 12 milioni di euro per il cartellino.
Sempre dall'Atletico Madrid, ma stavolta per il centrocampo, piace De Paul. Il centrocampista ha un ingaggio minore rispetto a Morata, ma la cifra per poterselo assicurare è di più del doppio (25 milioni). Quindi, ad oggi, De Paul è più un'ipotesi che una certezza, così come anche Fred del Manchester United. Il giocatore, già allenato da Mourinho, non rientra più nei piani dei Red Devils ed è dato in partenza. La Roma ha sondato il terreno, ma il Fulham sta muovendo passi concreti per portarlo tra le proprie fila. Rimane viva la pista Sabitzer, che vede Roma e Bayern Monaco trattare per trovare la soluzione migliore per entrambi. I tedeschi hanno rifiutato la proposta di prestito al momento, perchè vorrebbero cedere il giocatore a titolo definitivo; ma non è ancora detta l'ultima parola.
Intanto il giovane Baldi, ex portiere della Primavera, è stato ceduto al Giugliano a titolo definitovo; con la Roma che manterrà un diritto di recompra a 300 mila euro.


La Roma Š sotto schiaffo dell'Uefa

I paletti del Fair Play Finanziario e i pochi ricavi hanno costretto la società a vendere i giovani senza però poter reinvestire. 

Solo prestiti e parametri zero in questa sessione di mercato, il club ha avuto le mani legate tra conti da mettere in ordine e giocatori da regalare a Mourinho. Il saldo finale è però in positivo grazie a 58 milioni di plusvalenze. Il costo della rosa attuale continua comunque a rimanere molto alto. 

Corriere dello Sport


Lukaku Š caldo. In Nazionale fa scintille

Aspettando di sbloccarsi con la Roma, il centravanti belga sta tornando in forma. Romelu ha segnato un gran gol in allenamento in Belgio: sabato giocherà uno spezzone di gara con l'Azerbaigian.  

C'è anche Azmoun. Con l'Empoli, Mourinho avrà a disposizione tutti gli attaccanti.   

Corriere dello Sport


Paulo Dybala: "La vittoria del Mondiale Š stato un momento indimenticabile"

Paulo Dybala, attaccante della Roma, è intervenuto al programma di Television Public, chiamato Llave a la Eternitad, parlando dell'infortunio che gli è capitato prima del Mondiale: "All’inizio non era chiara la gravità, quando ho fatto gli esami e i medici mi hanno comunicato l’entità dell’infortunio mi è caduto il mondo addosso. È stato un momento duro. Il dottore mi ha detto che la lesione era al limite e lì ho capito che avevo ancora una possibilità. Mi sono detto che dovevo lavorare tranquillo, fisicamente e mentalmente. I dottori mi hanno aiutato tantissimo e i risultati sono pian piano arrivati. Poi è arrivata la settimana della sfida contro il Torino: io mi sentivo bene, già mi stavo allenando con la squadra e quindi ho detto a Mourinho: 'Devi farmi entrare, devi farmi entrare'. 'Sì, ho capito che vuoi giocare', la sua risposta. Per me dipendeva tutto da quella partita, dovevano vedere che stavo bene. La lista dei convocati era uscita qualche giorno prima di Roma-Torino, Mourinho mi ha chiesto quanto volevo giocare e io ho risposto: '20-30 minuti'. Stavamo perdendo e lui mi ha comunque fatto giocare 30 minuti. Ho giocato e mi sono sentito bene".

Com'è stato tirare un rigore in una finale Mondiale?
"Sono stato molto freddo dal dischetto, quando la palla è entrata ho perso 10 kg dalla tensione. Appena ho visto la palla entrare in rete mi sono girato a guardare e a festeggiare con la mia famiglia che era in tribuna. Il primo che ho abbracciato dopo il rigore è stato Messi, poi dopo il rigore di Montiel hanno iniziato a correre tutti da una parte e dall'altra, abbiamo esultato tutti insieme, è stato un momento indimenticabile".

Che emozione è stata?
"Ero già tornato in Italia. Stavamo guardando un film con Ori ed è stata la prima notte in cui ho pianto pensando al Mondiale e a mio padre, che non era con me mentre alzavo la Coppa. Mi sono tornati in mente molti ricordi, perché penso che se qualcuno meritasse di essere lì quella notte fosse mio padre, per tutto lo sforzo che ha fatto per farmi realizzare il mio sogno".

Che significato può dare alle lacrime dopo la vittoria?
"Il film è finito e abbiamo cominciato a parlare un po', e all'improvviso è arrivato tutto. Era da tanto tempo che non piangevo così tanto, davvero tanto. Oriana non capiva cosa mi stesse succedendo e io non riuscivo a spiegarle perché stavo solo piangendo. Quando sono riuscito a dirle, sono caduto un po' da tutto ciò che era successo ed è stato il non aver potuto condividere qualcosa di così grande (intende con suo padre, ndr), perché ho avuto la fortuna di vincere titoli, alzare trofei e ognuno è speciale per qualche motivo, ognuno mi ha lasciato qualcosa, ma questo è qualcosa che non ha paragoni con nient'altro. Credo che se qualcuno avesse meritato che ci scattassimo una foto o alzassimo la Coppa, o gli dessimo un bacio a quel trofeo, sarebbe stato lui, perché ha fatto di tutto affinché realizzassi il mio sogno, ogni capriccio. Sarebbe stato unico, ma comunque c'era anche mia madre, che è incredibile".

E durante i festeggiamenti che ha pensato?
Nella fase a gironi ero al 50%. Durante i festeggiamenti Samuel è venuto e mi ha detto ridendo: 'Sei un figlio di p****na..., non stavi bene, abbiamo visto le prime partite dell'allenamento e non potevi muoverti'. Sono onesto, non potevo muovermi".

Television Public


Rebus Arnautovic. Marcos Leonardo c'Š e segue la Roma sui social

I due centravanti vogliono vestire la maglia giallorossa. Mistero sull'offerta di sei milioni avanzata da Pinto per Arnautovic ma non ricevuta dal Bologna. Saputo intanto lo blinda. Il brasiliano Marcos Leonardo invece segue la Roma anche sui social: pressing sul Santos.   

Corriere dello Sport


JosŠ Mourinho al CorSport: "Siamo in ritardo, ma niente guerra a Pinto"

Josè Mourinho in una intervista fiume concessa al Corriere dello Sport traccia le linee guida per la prossima stagione sportiva della Roma. 

“Firmai per la Roma perché quando incontrai i Friedkin mi piacque molto il loro modo di parlare. Quelle parole mi toccarono nel profondo, di questo avevo bisogno. “Pensiamo che tu sia la persona giusta per aiutarci a rendere la Roma un club più grande”, aggiunsero. Trasmisero il loro entusiasmo, mi piacque la prospettiva di un progetto diverso, tre anni di contratto, una crescita progressiva, qualcosa che in precedenza non avevo mai preso in considerazione».

 

Spiegati meglio.

 

«Ad esempio, i tanti giovani, che ho fatto esordire, giovani che con me sono cresciuti in questi due anni. Quando lavori in un club come il Real Madrid, il Manchester, il Chelsea, se lanci un giovane a stagione hai già fatto il massimo. In questa fase della carriera avevo bisogno di stabilità, sentivo che qualcosa in me era cambiato. Prima volevo e dovevo arrivare, fare, spostarmi, vivevo uno stato di costante irrequietezza. Ero in un posto, facevo il mio lavoro, vincevo e mi spingevo oltre, volevo andare a vincere da un’altra parte»

 

Ha rischiato parecchio, però. I paletti del Financial Fair Play, il mercato a zero, la condanna ad adattarti all’emergenza. Anche questa è la Roma. oggi.

 

«Real, Inter, United, Chelsea due volte, a quei livelli il profilo è molto, molto chiaro. Gli investimenti, la storia del club, gli obiettivi tutti altissimi: arrivi per vincere e vincere subito. Quando ho firmato con la Roma sapevo perfettamente a cosa andavo incontro».

 

Fatico a crederti.

 

«Devi farlo. Ovviamente per me tornare in Italia non significava andare incontro all’ignoto, questo è un Paese che conosco bene a livello culturale, storico e sportivo. Sapevo che sul piano sociale la Roma era un dub assolutamente fantastico, ma anche che dal punto di vista della storia calcistica aveva vinto poco, nonostante tantissimi bravi allenatori e tantissimi giocatori di prima fascia, e investimenti anche. Quando conosci la realtà romanista ti chiedi perché si sia vinto così poco. Possibile che tu non possa fare qualcosa di diverso per aiutare il club, la nuova proprietà? Se adesso mi domandi se sono pentito della scelta, rispondo di no. Assolutamente no».

 

Beh, in questi due anni qualche attimo di sconforto l’hai vissuto.

 

«Frustrazione si, momenti di frustrazione».

 

Nel secondo anno le cose sono peraltro peggiorate, in termini di risorse a disposizione.

 

«Il primo anno conoscevo la situazione, percepivo la voglia della proprietà di crescere e ho pensato: ok, questo è perfetto per me. Un profilo come Il mio, uno che ha vinto tanto, di solito non accetta facilmente un progetto potenzialmente minore. Mi viene in mente solo Ancelotti all’Everton».

 

E prim’ancora al Napoli.

 

«Quando uno come noi accetta questo rischio, la gente pensa “è finito”, poi Carlo va al Real Madrid e vince tutto quello che c’era da vincere. Questa esperienza a Roma è stimolante, ricca, di una ricchezza su più piani. Oggi ho un rapporto con i miei giocatori che non è facile instaurare in un top club».

 

C’è chi pensa che tu abbia accettato la Roma soltanto perché, dopo tutte le esperienze fatte, ti sei ritrovato un mercato ristretto

 

«Non è una mia preoccupazione».

 

Cosa ti preoccupa allora?

 

«La mia felicità. Qualche giorno fa commentavo col tavolo dei miei a Trigoria una delle prime cose che il Papa ha detto a Lisbona. “Dovete ridere, dovete scherzare, pensare positivo, dovete coltivare il sanse of humour”. Il mio tavolo ha tutto questo».

 

Ecco spiegato l’abbraccio al centravanti immaginario.

 

«Anche, a volte leggo che Mourinho sta provocando la società, che Mourinho è un mago della comunicazione».

 

Non mi dirai che non è vero.

 

«Tu pensi che io stia scherzando, ma Nuno, che è qui con noi, sa bene come stanno le cose, i piedi incrociati sul tavolo li metto venti volte al giorno».

 

Si, però l’estate scorsa avevi il computer spento davanti ai piedi e stavi sottolineando l’impossibilità di fare acquisti.

 

«In seguito però non c’è stato alcun retropensiero. La foto con l’attaccante immaginario è stata fatta per ridere».

 

Ridere per non incazzarsi…

 

«Nelle ultime settimane ho visto allenatori in fibrillazione, uno che minaccia di andar via perché non è contento del mercato, un altro che se ne va per la stessa ragione. Ce n’è un terzo che scherza con i tifosi e dice che non stiamo facendo mercato. Nessuna provocazione, non era quella l’intenzione».

 

Per cui, va tutto bene.

 

«Non va tutto bene, ma mi diverto anche nelle difficoltà. Mi arrrabbio per un’ora e subito dopo torno positivo. Non mi deprimo, non minaccio, non dico che mi hanno promesso mari e monti e non vedo né i mari né i monti. Una cosa che non posso cambiare è la mia natura, non sono uno che racconta cazzate. Relativamente all’attaccante immaginario, posso dirti che anche se la settimana prossima arrivasse Mbappé sarebbe comunque in ritardo».

 

Sai come si dice a Roma? Dormi tranquillo, José.

 

«Questo per dire che dopo 28 giorni di lavoro, 31 allenamenti e 6 partite, in tutto 37 sedute, più riunioni di analisi tattica e altro, non avere un attaccante è un problema. A proposito, non fate casino con Belotti, resta e farà una stagione molto più produttiva».

 

L’hai voluto tu o Pinto?

 

«Io, sì io. Però…».

 

Però?

 

«Dopo la partenza, tra virgolette, di Tammy, siamo in una situazione che nessun allenatore al mondo gradirebbe. Mi riesce impossibile dire che sono contento. Però sostenere che sono in guerra aperta con la società, con Pinto, che non sono felice, è sbagliatissimo. Pinto sa che siamo in ritardo, anche la proprietà lo sa, alla fine quello che soffre veramente è chi lavora e chi contro la Salernitana dovrà entrare in campo con la miglior squadra possibile. Incazzato no, depresso no. Scherzo, come vuole il Papa, soprattutto nelle difficoltà, lui ripete che le difficoltà fanno parte della vita, senza le difficoltà è più difficile provare grandi gioie. Vent’anni fa avrei fatto casino, vent’anni fa sarei stato incazzato». «Dal mio primo Chelsea» prosegue «me ne andai perché ero realmente in guerra con un direttore sportivo. Non mi piaceva, non avevo rapporto, il mercato un disastro, era il 2008. Oggi siamo nel 2023 e sono un altro».

 

Parliamo del tuo rapporto con Tiago Pinto. Chiariscilo una volta per tutte.

 

«Non è una cosa nuova per me. Le persone possono avere una percezione diversa, ma io ho sempre avuto un eccellente rapporto con le società in cui ho lavorato. Me ne sono andato per mia decisione quando sentivo che era giunto il momento. Eccezion fatta per il Tottenham, esonerato due giorni prima di giocare una finale, una cosa pazzesca».

 

Il fatto di essere uno straordinario comunicatore ha sempre messo in secondo piano la grandezza del tecnico. Ti viene spesso rimproverata la scarsa qualità del gioco.

 

«Lo sport è fatto per vincere, anche se sei in una squadra di minore qualità o in uno sport individuale. Quando Jacobs affronta sui 100 un ragazzino che fa 12 e 5, il ragazzino sa di non avere la possibilità di batterlo, tuttavia quel giorno Jacobs potrebbe fermarsi dopo 10 metri e il ragazzino avrebbe un’opportunità da sfruttare. Non si parte mai per non vincere, ogni volta che sento parlare di qualità senza vittorie dico che si tratta di una delle tante bugie di un mondo in cui sono spariti la meritocrazia, il pragmatismo dei risultati e la crudeltà della sconfitta. Sfruttando la potenza del social media vengono fatti passare concetti e valutazioni drogati. Si spacciano per grandi allenatori personaggi senza titoli, invece io credo che il valore corretto lo determini la carriera. Quando finirà la generazione di Carlo, la mia e di altri della stessa età che hanno vinto tanto, dubito che ritroveremo carriere altrettanto lunghe e di successo. I nuovi fenomeni verranno masticati in fretta. Oggi l’allenatore bravo arriva con più velocità e con la stessa velocità viene sostituito da altri fenomeni passeggeri. Prima era il pragmatismo dei risultati che rendeva bravo un allenatore, era la crudeltà di una sconfitta che costringeva un professionista ad andare in A, B, C a battagliare per cercare di tornare a quel livello».

 

Cosa hanno capito di te i tifosi della Roma? L’adesione a Mourinho è pazzesca

 

«Hanno capito quello che gli altri tifosi delle mie squadre avevano capito. Soltanto al Tottenharn non ho provato le stesse sensazioni, non c’è stata empatia, ma era il periodo del covid, lo stadio era vuoto. Impossibile creare un rapporto. I tifosi della Roma hanno capito una cosa molto, molto semplice: quando arrivo in un posto, indosso quella maglia e non la tolgo più per tutto il giorno, mi manca giusto il pigiama, cerco di capire il pubblico, le sue idiosincrasie, le sue debolezze, la sua forza, quello che può piacergli, che è importante e divento uno di loro. Per strada l’interista mi saluta sempre con gioia, il madridista pure, in Algarve il nostro albergo era pieno di inglesi del Chelsea. Ml hanno rotto i coglioni (sorride, ndr) tutti i giorni, legend, legend, legend, foto, autografi. Poi ho trovato un messicano tifoso del Real, stesso trattamento. A Roma entro nel terzo anno, non è una cosa che ho fatto spesso»

 

Già, insolito.

 

«Due percorsi che hanno portato a due finali europee. Due percorsi differenti con grandi difficoltà a tutti i livelli, penso che la gente abbia capito che sono uno di loro. Nel libro chè hai scritto su di me abbiamo parlato del mio cambiamento, oggi sono molto meno egoista, più altruista. Quando un allenatore con 25 titoli, adesso sono 26, arriva in una città, in un club, incontra un popolo che non ha vinto tanto, deve entrare subito in sintonia con quel popolo e con la squadra».

 

In effetti sono due mestieri diversi.

 

«Quando alleni in un club storicamente top, i giocatori hanno una sola cosa da imparare da te ed è giocare da squadra, perché sono giocatori fatti, esperti, con una qualità straordinaria A volte sono stato io a imparare qualcosa dai giocatori. Chiedi a Allegri, Carlo, Ranieri, sicuramente ti diranno che durante la carriera hanno imparato anche dai giocatori, perché in campo hanno una percezione diversa dalla nostra. Io sono venuto Roma e ho dovuto creare giocatori che non esistevano, i “bambini” che ho portato in prima squadra non esistevano. Sono entrati in un gruppo al quale ho, abbiamo cercato di trasmettere la responsabilità di vincere. Anche se non vinciamo tanto e se tante volte perdiamo il nostro scopo è insegnare a vincere. La contraddizione tra le nostre ambizioni e il nostro potenziale mi intriga. Preferisco questa contraddizione, il nostro’ obiettivo è vincere la prossima partita, mi rifiuto di dire che abbiamo obiettivi superiori. Se mi obbligano a dichiarare obiettivi concreti rispondo che sono inferiori alla nostra ambizione, che sono inferiori a quello che noi vogliamo sviluppare come mentalità».

 

In particolare quest’anno hai avuto un pessimo rapporto con le istituzioni e con gli arbitri. Ti hanno dato del maleducato, del provocatore, la tua panchina è sempre troppo agitata. Strategia?

 

«Se facciamo Uefa di qua e Italia di là, mi sento molto meglio quando parlo di Uefa e meno di Italia. In Italia mi sono sentito aggredito, hanno violato la mia libertà di uomo, la mia libertà di uomo di caldo, la mia libertà non di grande allenatore, perché in queste situazioni non ci sono grandi o piccoli allenatori., siamo tutti uomini. Qui non mi sento più a mio agio. Ho paura di ricevere altre squalifiche, ho paura di dover tornare a sentire tutto quello che ho ascoltato o letto in questi due anni. Se mi dici José, parliamo di Budapest, ci sto. Però se mi chiedi di parlare di Italia, di sconfitte politiche, di opinioni espresse dalla gente e anche di offese ricevute, la cosa mi disturba. Ho detto paura, forse paura è eccessivo, fastidio è meglio. Penso che, a livello istituzionale, avrebbero dovuto trattarmi diversamente, da uomo di grande esperienza internazionale, uno che ha allenato in Inghilterra, in Spagna».

 

È vero tuttavia che hai sempre avuto un rapporto conflittuale con la classe arbitrale.

 

«Ho detto di Chiffi le stesse cose che Modric ha detto di Orsato, esattamente le stesse. Sono innamorato di Modric, ma non sono d’accordo con lui quando dice che Orsato è un arbitro scarso. Orsato è bravissimo. Ho detto la mia su Chiffi e avete visto le conseguenze. Modric ha parlato dopo una semifinale del Mondiale ed è arrivato a miliardi di persone, io alla fine di Monza-Roma. Ecco l’ex pallone d’oro non ha subìto squalifiche, io la gogna. Se vuoi parliamo di Budapest, che è certamente meglio».

 

Le 4 giornate di Mourinho.

 

«Budapest, da un punto di vista umano, è stata una delle più belle esperienze della mia carriera, perché ho visto di tutto, cose bellissime, ho visto una processione di romanismo, ho visto gente che sicuramente non ha mangiato bene per qualche settimana pur di essere presente, ho visto un gruppo di giocatori solido, la gente che lavora vicino a noi a Trigoria, con una passione incredibile. Ho visto gente che inseguiva un sogno assolutamente fantastico e ha vissuto la tristezza della sconfitta. Bobby Robson mi ripeteva spesSo che nel momento della tristezza devi pensare alla gioia di chi ha vinto. Ho seguito suo consiglio, ho voluto stare vicino alla nostra gente e abbiamo rispettato la gioia dei tifosi del Siviglia, abbiamo salutato i nostri colleghi spagnoli, ci siamo comportati, dentro al campo, con una correttezza e un’umiltà eccezionali».

 

Ma poi sei sceso nel tunnel per dire qualcosa all’arbitro Taylor.

 

«Taylor non era lì, non c’era».

 

Come non era li?

 

«Taylor era rimasto dentro lo stadio e il giorno dopo l’hanno trovato all’aeroporto».

 

Scusa, ma a chi era rivolto il fuckin disgrace?

 

«C'erano gli altri, non Taylor, c’erano il quarto uomo, gli assistenti, Rosetti e Howard Webb, il direttore tecnico degli arbitri della Premier, Taylor non c’era. Ti stavo dicendo che da un punto di vista umano è stata un’esperienza fantastica, eccezionale, anche perché, alla sesta finale, ho perso per la prima volta, conoscevo il lato bello della festa europea è non avevo mai vissuto il brutto. Per questo dico che da un punto di vista umano mi ha in qualche modo arricchito».

 

Torniamo a Taylor.

 

«Te lo spiego dopo quello che è successo, la verità. Finisce la partita, io entro in campo entro con la mia famiglia e le famiglie dei giocatori, vedo tanta gente piangere, io non piango mai dopo una sconfitta… Assorbo tutte quelle emozioni. Torno perché voglio stare con i giocatori in quel momento di tristezza assoluta, e con i tifosi Porto i giocatori dai tifosi e dai giocatori del Siviglia e a ricevere le medaglie, partecipiamo alla cerimonia, siamo impeccabili. In quei minuti ho sentito che dovevo essere il padre di famiglia, per questo ho detto al gruppo “resto con voi anche l’anno prossimo”. La reazione dei ragazzi è stata splendida, in quel momento è finito tutto».

 

Avevi pensato di andartene?

 

«No».

 

Mmmmh…

 

«Ho sempre fatto il mio lavoro senza pensare al dopo».

 

E poi hai ancora un anno di contratto.

 

«Sai bene come sono i contratti nel calcio. Finito tutto, rientriamo nello spogliatoio, scendiamo in garage e nel garage arriva il gruppo arbitrale. Con Webb ho un rapporto buono, come con Rosetti. Hanno entrambi arbitrato delle mie partite, Webb addirittura la finale di Champions con l’Inter a Madrid. So di non essere stato elegante, ma non ho insultato nessuno. “Fucicing disgrace” è molto simile all’italiano “cazzo!”, un’esclamazione, uno sfogo, o al portoghese “foda pra caralho”. Sono andato da Rosetti e gli ho detto: “arbitro, lo chiamo così, “arbitro, è rigore o non è rigore?”. Rosetti ha fatto quello che di solito fanno gli arbitri, non mi ha risposto. Ho ripetute la domanda a Webb, lui mi ha messo la mano sulla spalla e ha detto ‘José, sì, è rigore”. Webb ha fatto quello che mi sarebbe piaciuto avesse fatto Taylor. Perché se Taylor o qualcuno al posto suo, dopo la partita fosse venuto da noi, nello spogliatoio del pianto, e avesse detto “ho sbagliato, abbiamo sbagliato, mi dispiace”, non solo sarebbe finita li, ma lui avrebbe avuto il nostro rispetto. e la nostra ammirazione. Sbagliamo tutti, forse durante quella partita ho sbagliato anche io. Continuo a pensare una cosa: Taylor è bravo, per non dire molto bravo, positivo anche il rapporto ché ho avuto in Inghilterra, mi sembra un uomo perbene, io non ho mai messo in dubbio la sua onestà. L’unica cosa che dico e dirò sempre è che era rigore e con quel rigore li la Roma avrebbe potuto vincere. Prima di quel rigore la sua direzione non mi era piaciuta per niente, non mi erano piaciute le sue scelte tecniche, disciplinari, però continuo a pensare che sia un arbitro bravissimo e se la prossima stagione lo riavremo, nessun problema, sono sincero».

 

Ti hanno tolto tre quarti di coppa.

 

«Il giorno dopo è successo l’episodio dell’aeroporto, ma io non ho nulla a che vedere con quell’incidente. È stata la reazione di un gruppo di tifosi, io non c’entro affatto. Con mia grande sorpresa, due giorni dopo mi è arrivato un messaggio di un amico dell’Uefa in questi anni mi sono fatto amici ovunque, non solo nemici “Amico mio» mi ha scritto «tu sei un grande del calcio, però ti do un consiglio, censura pubblicamente il comportamento dei tifosi della Roma all’aeroporto, te lo dico perché ti sono amico”. La mia risposta è stata: se l’Uefa o Taylor chiedono scusa ai tifosi della Roma, io critico il comportamento all’aeroporto e chiedo scusa. Subito dopo sono andato al club e ho detto: da oggi e fino all’uscita della sanzione, che è già pronta, sarò io il focus di un arbitraggio triste e di un comportamento triste dei tifosi in aeroporto, oltre che del mio atteggiamento nel garage. Però adesso ho bisogno del vostro sostegno e di una comunicazione forte. Se mi chiedi quale sia stata in due anni e due mesi di Roma la cosa che mi ha fatto sentire più fragile, rispondo che non è stata la partenza di Mkhitaryan, aver perso un giocatore che mi piace tanto e aver giocato un anno e mezzo con solo 4 difensori centrali quando è normale averne 6. La cosa più triste è stata non essere appoggiato dalla società in una situazione del genere. Sconterò le 4 partite, non riesco a guardare l’Uefa in modo negativo, saranno 4 partite in cui mi sentirò un tifoso. Sarà dura per noi, sarà dura per me, dura per la squadra, per i miei assistenti e quello che stiamo cercando di fare principalmente è preparare i giocatori alla mia assenza per 6 partite. Rapetti, il preparatore atletico, è molto stimato e rispettato dai giocatori, ha una leadership naturale. Sappiamo che è una missione molto, molto, molto difficile. Se Budapest è stato un sogno, noi adesso ne coltiviamo un altro, Dublino, e affronteremo la competizione per arrivare fino a là».

 

L’assenza dei Friedkin: per molto tempo, mesi, non hai avuto contatti con la proprietà

 

«La proprietà è la proprietà. Ho sempre rispettato la proprietà e le persone, al di là del ruolo. Sento che da parte loro c’è rispetto e tanta stima per l’allenatore. Il profilo del rapporto lo stabilisce sempre la proprietà. In tutti questi anni ho sempre ripetuto che vengo chiamato e pagato bene per risolvere i problemi, non per crearli. È la proprietà che deve parlare di te e è la proprietà che deve parlare con te».

 

Stai per cominciare il campionato con un solo anno di contratto.

 

«Non cambia niente. Per qualche giorno ho pensato basta bambini, perché dovrei costruire dei bambini se il prossimo anno non sarò più qui? Però è subito subentrato il José bravo, il José buono, il José professionista e sorridente, positivo: prima di tutto lavoro per il club; secondo, per questo club è super impórtante creare determinati presupposti: come ab-biamo visto, sono stati proprio i bambini, in un momento difficilissimo per Pinto, a garantire i 30 milioni necessari per soddisfare un settlement agreement terribile. E, fattop iù importante ancora, che colpa hanno i bambini se ho un solo anno di contratto? Adesso ti dico che Pagano diventerà bravo, non voglio ancora dirlo di Pisilli, perché lo vedo più bambino, anche fisicamente, dovrà avere una grande evoluzione, però ha la testa giusta sempre, non solo adesso che stiamo lavorando insieme da un mese. Pagano sarà come Bove».

 

Torniamo al rapporto Tiago Pinto-Mourinho. Abbiamo scritto un sacco di cazzate?

 

«Sì».

 

Grazie, presenterò.

 

«Per prima cosa, siamo insieme praticamente ogni giorno. Come io e te adesso, lui da una parte del tavolo e io dall’altra».

 

Vi conoscevate anche prima di trovarvi alla Roma?

 

«No, no. Pinto lavorava in Portogallo quando io ero all’estero. Non c’eravamo mai incrociati. Il nostro è un rapporto di rispetto, anche formale. Io non gli do del tu, anche se lui potrebbe essere mio figlio, per me è il direttore».

 

by Redazione

L'AS Roma acquista a titolo temporaneo Diego Llorente

L'AS Roma è lieta di annunciare l’acquisto di Diego Llorente dal Leeds United a titolo temporaneo fino al 30 giugno 2024.

"Sono orgoglioso di poter continuare a far parte della famiglia giallorossa", ha commentato Llorente. "Quando a gennaio ebbi l’opportunità di venire alla Roma non esitai un istante e ancor meno in questi giorni di attesa. Ho sempre saputo che avrei fatto di tutto per restare, non solo per continuare ad appartenere a un club storico, ma anche per ritrovare i miei compagni e lottare ancora con loro e con i nostri tifosi per raggiungere i traguardi che meritiamo. Tutti insieme sono sicuro che possiamo fare qualcosa di grande".

Giunto alla Roma nella finestra invernale dello scorso mercato, Diego ha esordito nella vittoria casalinga contro l'Empoli, il 4 febbraio e ha collezionato 12 presenze tra Serie A ed Europa League conquistando rapidamente la fiducia dell'ambiente.

"Nonostante sia arrivato a stagione in corso, Diego ha impiegato un tempo breve per integrarsi alla perfezione nel nostro spogliatoio, confermando sul campo le aspettative che riponevamo in lui", ha affermato il General Manager dell'Area Sportiva, Tiago Pinto. "Per questo siamo davvero felici di poter continuare a fare affidamento sulle sue caratteristiche e sul suo bagaglio di esperienze internazionali".

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