«Non voglio vivere da sopportato»

MESSAGGERO - «Non gioco io, ma la Roma». Di Francesco, aspettando la notte del giudizio, sventola la bandiera giallorossa. E mette la squadra sul palcoscenico, rifugiandosi dietro le quinte. Anche lì può essere, però, colpito se non riuscirà a centrare, anche in questa stagione, la qualificazione ai quarti. Sa che cosa lo aspetta in caso di eliminazione. Ha vissuto già 3 vigilie simili: prima del Frosinone, del Genoa e del Milan. Rischia di non finire il semestre dedicato agli esami.

SOLO IL RISULTATO - Eusebio non si spaventa. «Da quando sono seduto su questa panchina che conosco le difficoltà. Il momento complicato è sempre il prossimo... Ma non è la mia partita. Gioca la squadra. E, anche se si parla di altro, l'interesse del tifoso giallorosso è che la Roma passi, a prescindere di chi sia l'allenatore in futuro. Il mio pensiero sincero va ai ragazzi per fare una partita di altissimo livello, come quelle dell'anno scorso, e per andare avanti. Mi dà fastidio che si parli del sottoscritto. Prima viene la Roma. Credo ancora nella possibilità di fare un risultato positivo. Il resto sono parole che fanno parte del gioco. Noi siamo criticati più per i risultati che per il lavoro. Il pensiero non va a me stesso ma alla squadra, se passiamo se ne gioveranno tutti. Dopo un periodo positivo di risultati il derby ha inciso sul morale generale, ma occorre pensare a questa come partita secca, quella della vita. Essere supportato è fondamentale, essere sopportato no». Non è certa la presenza di Paulo Sousa, altro rivale portoghese della serata del Do Dragao.

TRIBUNA SCOMODA - «Se viene non ci vedono niente di male. E' giusto per chi fa il nostro mestiere andare a seguire i match. Potrebbe capitare pure a me. Un conto è il lavoro e un altro, invece, certe dichiarazioni...». Indicazioni verso i quarti: «Ha ragione Coinceçao, sarà una partita lunga. Voglio vedere una grande fase difensiva. Non dirò per ora ai giocatori chi sarà titolare: voglio decidere alla fine e vedere le loro facce per decidere chi scenderà in campo per questa grande battaglia. L'idea è partire con il 4-3-3, ma poi se la notte porterà consiglio...». 

GLI ESLCUSI - Nessun vantaggio al Porto, dunque. I convocati sono 21: fuori con pastore, anche Coric e Under. «Siamo tutti con Di Francesco, al cento per cento. Basta chiacchiere, ma dobbiamo dimostrarlo con i fatti. Abbiamo un piccolo vantaggio, difendiamolo. E io vorrei tornare decisivo». Coinceçao perdona Militao (fuori 3 partite per aver partecipato ad una festa prima di una trasferta) e ritrova Marega. «Anche io sono in grande difficoltà. Siamo tutti sulla corda». Il riferimento è al 1° posto in classifica lasciato al Benfica dopo la sconfitta casalinga nello scontro diretto. «Dobbiamo cercare di vincere, ma non con fretta».


L'assordante silenzio degli uomini di James

MESSAGGERO - FERRETTI - Cacciare o confermare un allenatore in base al risultato secco di una partita significa non aver saputo gestire una spinosa situazione che si trascina, tra alti e bassi, da parecchi mesi. Non c'era bisogno di arrivare a un ultimatum per stabilire il futuro dell'allenatore della Roma. ma questa è la situazione reale, dato che nessuno, a Trigoria e dintorni, si è premurato di smentire le voci, le notizie che vanno in questa direzione dalla fine del derby. Fosse stato vero il contrario, qualcuno avrebbe urlato ai quattro venti che quanto riportato da giornali, radio, tv e siti internet non era vero; che Eusebio Di Francesco, nonostante tutto, continua a essere al riparo da cattive sorprese. Invece niente. La maniera peggiore per preparare una sfida delicatissima come quella di Oporto.
Se la Roma va fuori dalla Champions, si cambia. Non conta più come, ma adesso conta solo se: se va fuori, via l'allenatore. Come unico capro espiatorio, con buona pace di tutti gli altri colpevoli. E, molto probabilmente, via anche il direttore sportivo. Anche se per una sua scelta, anticipando nei tempi una mossa già decisa alla fine dello scorso dicembre.
E così, tra un'ipotesi e l'altra legata al nome del nuovo allenatore, la partita contro il Porto arriva quasi in sordina. Come se l'appuntamento al Do Dragao non fosse la cosa più importante in casa Roma. Al punto che sono molti - oltre il recinto del Bernardini - coloro che si augurano che la Roma stasera venga eliminata dalla Champions pur di non vedere più Di Francesco (pronto a tutto, confidano...) sulla panchina giallorossa. In realtà, oggi il primo pensiero di tutti - anche all'interno del recinto del Bernardini - dovrebbe essere la Roma. Non il suo allenatore o qualsiasi altro stipendiato da Jim Pallotta. Fin quando si continuerà a pensare al singolo, e soltanto al problema singolo, non si arriverà mai a una soluzione ottimale. Non lo diciamo noi, ma la recente storia della Roma.


Difesa a 4 o a 3. I dubbi di DiFra per poter rivivere una notte epica

REPUBBLICA - PINCI - Due idee di Roma. Una tradizionale, quasi classica. E una rivoluzionaria. La decisione la prenderà soltanto stamattina, Eusebio Di Francesco, ma al di là delle dichiarazioni d’intenti in diretta tv («La mia idea è di partire col 4-3-3»), l’allenatore sta valutando pure l’idea di uno stravolgimento tattico. Una Roma epica, come «quella delle grandi notti di Champions dello scorso anno», ha evocato in conferenza stampa, nella pancia del Do Dragao che oggi ne deciderà il destino e che ieri gelava di fronte al suo sguardo immobile. Sa Di Francescoche potrebbe essere l’ultima sulla panchina della Roma e per l’occasione sta studiando una soluzione in grado di sorprendere anche il Porto: il ritorno alla difesa a tre. Così lo scorso anno schiantò il Barcellona regalandosi la notte più emozionante della carriera e un’insperata semifinale di Champions, l’ha riprovata nella rifinitura a Trigoria prima di imbarcarsi per il Portogallo. Stavolta insegue i quarti, un passo prima, ma sta valutando comunque quella formula. In fondo, quando parla del match che aspetta la Roma al Do Dragao, stanotte, non ha timore ad ammettere che «servirà una grande partita difensiva». E la formula con tre difensori è forse quella che si adatta meglio a colmare le lacune di una retroguardia che nelle ultime due gare ha incassato 5 reti da Frosinone e Lazio. Ovviamente, ogni ipotesi resta verosimile, pure il ritorno al 4-2-3-1, che restituirebbe una maglia da titolare al francese Nzonzi, eclissato dal ritorno in campo di De Rossi. Di certo l’allenatore non ha ancora fatto la scelta ultima: «Per decidere voglio vedere le facce dei calciatori, sceglierò chi mi convincerà di essere pronto per questa grande battaglia». E la squadra giura di sostenerlo: »Siamo con lui al cento per cento», la parola data dall’esterno d’attacco Perotti. Chissà se lo hanno ascoltato i dirigenti Fienga, Baldissoni e Totti, che pochi istanti prima della sua conferenza discutevano – forse sulle sorti della squadra, forse chissà – appartati sul prato dell’impianto. Chiave potrebbe essere la posizione di Zaniolo, pronto a farsi in tre: esterno alto a destra nel 4-3-3, trequartista nel 4-2-3-1, mezzala nell’ipotesi di virare a sorpresa sul 3-5-2. Lui è l’uomo che il Porto seguirà più attentamente, dopo averlo scoperto sulla propria pelle nella gara d’andata. Quel 2-1, oggi, è il mattone da cui ripartire. E anche l’unica certezza che ha in mano la Roma.


DiFra, tutto in una notte

GAZZETTA DELLO SPORT - Strana la vita. Dieci mesi fa Di Francesco era l’eroe di una città per aver riportato la squadra giallorossa in semifinale di Champions dopo 34 anni, oggi invece rischia di perdere tutto in una notte storta, nonostante la corsa europea in campionato sia ancora aperta. Un paradosso. Ma in Portogallo non si possono non ascoltare i brusii che parlano di Paulo Sousa, dopo che l’ultima offerta del Bordeaux – biennale dal 2,3 milioni a stagione – è stata congelata fino a domani. Certo, se Sousa pare avere già un accordo di massima ed è quindi candidato fortissimo, i tentennamenti interni fanno parlare anche di Panucci, Ranieri e Donadoni, ma senza convinzione, nonostante il tecnico abruzzese abbia perso lo scudo di Monchi, in uscita forse anche subito, in caso di esonero dell’allenatore. «Non troverei inopportuna la presenza di Sousa in tribuna col Porto (come si dice, ndr ) – dichiara cavallerescamente il tecnico –. Un conto sono le dichiarazioni (che in passato non gli erano piaciute, ndr ) e un conto è il lavoro. In futuro potrebbe succedere anche a me. È da quando sono seduto sulla panchina della Roma che conosco le difficoltà. Non voglio portare l’attenzione su di me: gioca la Roma. Credo ancora nella possibilità di fare un risultato positivo. Il resto sono chiacchiere, che fanno parte del gioco. Noi siamo criticati più per i risultati che per il lavoro. Il pensiero non va a me stesso ma alla squadra, se passiamo se ne gioveranno tutti, al di là di chi sia l’allenatore. Certo, dopo un periodo di risultati positivi il derby ha inciso sul morale generale, ma occorre pensare a questa come partita secca, quella della vita. Essere supportato è fondamentale, essere sopportato no. Voglio un match di altissimo livello, come quelli dello scorso anno».


Il futuro in una notte: la Roma vuole i quarti o cambierà tutto

REPUBBLICA - BOCCA - Pare proprio che il punto di congiunzione astrale delle fortune e dei destini romanisti si trovi qui, adesso, nel ventre dello Stadio Do Dragão, il drago di Oporto, uno di quegli stadi da figurina Panini ma uguali a mille altri nel mondo. Pronto ad accogliere anche i tremila fedeli giallorossi arrivati a sostenere una Roma zoppa e impaurita di fronte allo showdown della Champions League. O si svolta questo maledettissimo ottavo o sarà l’apocalisse e niente resterà come prima: l’allenatore Di Francesco, il direttore sportivo Monchi, tutti i giocatori da Manolas a Dzeko. Non ci sarà riparo sicuro per nessuno, e si ricomincerà tutto da capo ancora una volta. Se solo ci fosse, il presidente americano James Pallotta ci terrebbe una “conference” tutta sull’importanza di un stadio così e giammai sul senso perduto della Roma stessa. Soprattutto sull’elaborazione del lutto dopo il sabba laziale nel derby e la triste condizione di Eusebio Di Francesco il cui biglietto aereo per Oporto è stato fatto solo ai banchi di Fiumicino. Perché ha rischiato pure di non prenderlo quell’aereo, tant’era colma la misura dopo un’intera stagione di rovesci, amarezze e risultati via via sempre più impoveriti e umilianti. Il povero Eusebio è qui almeno al suo quarto esonero evitato in extremis per grazia ricevuta: il ko di Bologna a settembre, il rovescio di Plzen contro il Viktoria in Champions a dicembre, i 7 gol presi della Fiorentina a fine gennaio, e ora questi tre gol della Lazio nel derby. Non ci fosse stato il viaggio a Oporto così vicino, probabilmente non sarebbe andata così. «Non è la mia partita, è la partita della Roma. Per un allenatore essere supportato è fondamentale, essere sopportato no». Il fragile Eusebio - il nome di battesimo che richiama la Perla Nera del Benfica, proprio in Portogallo e sul campo dei suoi rivali storici - è qui che guarda tutti i giocatori negli occhi cercando in loro la salvezza. Ben sapendo che non saranno né gli schemi del 4-3-3, del 3-5-2 o del 4-2-3-1, né gli appelli gladiatorii a confermarlo sulla panchina, bensì una fredda e sana gestione di una partita che trascini la Roma lontano da questi continui psicodrammi. Se di tracolli così ce ne sono stati una decina e se Di Francesco è stato licenziato e ripreso per i capelli molte volte, non è perché è venuta meno la romanità, ma perché l’affidabilità di troppi è inferiore a quella che si decanta. Anche i rapporti umani cui tanto tiene il tecnico a volte se ne vanno a quel paese, Pastore ad esempio non nasconde il suo disagio e lo somatizza trasformandolo in continui acciacchi. Alla formazione che adesso si snocciola per mettere al sicuro quel fragile 2-1 dell’andata con l’esplosione di Zaniolo, si accoppia una parallela lista ufficiosa di pretendenti alla panchina. 1) Paulo Sousa, “benfiquista” ma di queste parti e dato addirittura stasera in tribuna; 2) Christian Panucci che lascerebbe il posto da ct dell’Albania per una chance da traghettatore; 3) l’aeroplanino Montella che la prima Roma americana snobbò; 4) Donadoni già abbandonato dal Bologna; 5) Ranieri, fresco del licenziamento dal Fulham, ma uomo per tutte le stagioni prontamente rientrato a Roma; 6) il guru Sarri, vera agognata destinazione finale, ma tenuto in sospeso per ora dal Chelsea. Su questa Roma disperata, ma teoricamente anche sulla soglia di un’impresa, gira ogni notizia: da Di Francesco che si potrebbe dimettere comunque, ai pessimisti perfidi che ne augurano il licenziamento anche in caso di qualificazione, a quelli che sostengono che comunque si può fare il bis del 2018. All’andata i due gol di Zaniolo e una bella partita scacciarono l’incubo, ma quel gol di Adrian adesso pesa, eccome. Ci vorrebbe la Roma che lo scorso anno sconfisse il Barcellona, ma chissà dov’è finita. Intanto essendo rare le vittorie ci si rigira fino in fondo in questo malinconico Fado di sconfitte.


Dai due club un miliardo di cessioni

REPUBBLICA - PINCI - Soltanto una delle due giocherà i quarti di Champions. Eppure c’è molto di Roma e Porto nelle squadre protagoniste delle ultime finali. Una vocazione che somiglia a una maledizione: vedere parti di loro stesse protagoniste con altri colori sui palcoscenici più nobili del continente. Da dieci anni i due club sono il serbatoio dei colossi d’Europa: in cambio di un “pieno” da un miliardo di euro. Quando Salah si presentò col Liverpool a Kiev in finale di Champions, un anno fa, aveva appena dismesso la maglia giallorossa. Il suo sogno fu infranto dal Real, come era capitato un anno prima a un altro appena partito da Roma: a Cardiff non fu la finale di Pjanic, anche se un ruolo centrale nel portare fin lì la Juventus lo aveva avuto eccome. C’era anche Benatia, che la finale la vide seduto accanto ad Allegri. Era in campo Alex Sandro: uno dei grandi affari fatti dal Porto. Come Danilo e James Rodriguez, figuranti del Real ma, prima, stelle del club portoghese rivendute a caro prezzo. L’apripista del metodo Porto fu Radamel Falcao, che passò all’Atletico per 40 milioni e vinse da capocannoniere l’Europa League che aprì l’era Simeone. Non tutti i giocatori sacrificati dalla Roma sono stati altrettanto fortunati: Marquinhos col Psg è l’unico ad aver colto vittorie significative, pur steccando regolarmente il confronto europeo. Alissonprova a emularlo a Liverpool, Rüdiger ed Emerson si sono accontentati dell’Fa Cup col Chelsea, e Romagnoli della Supercoppa italiana al Milan. Nient’altro da segnalare. Vedere i propri campioni vincere con altri è l’inevitabile effetto collaterale della filosofia che accomuna Lupi e Dragoni: comprare e rivendere per finanziare i costi crescenti di cui deve farsi carico un club ambizioso. Strategia che ha generato numeri mostruosi: negli ultimi dieci anni, hanno prodotto, in due, plusvalenze per un miliardo. Cifra sconvolgente, anche perché vuol dire avere la capacità di garantirsi, in media, 50 milioni di euro ogni anno. Macchine da soldi, con il sorpasso romanista completato quest’anno grazie ai 76 milioni di plusvalenze dalle cessioni di Alisson e Strootman: 516 a 484, il conto totale. Il Porto però ha unito ai benefici economici una fila di trofei, ultimo lo “scudetto” 2018 che ha interrotto il quadriennio del Benfica. Questo il vero, grande rimpianto della Roma americana di Pallotta. Ha saputo trasformare in oro divise da gioco e social network ma schiacciata dalla dittatura juventina aspetta ancora il primo titolo: salutata rovinosamente la Coppa Italia, le resta solo l’illusione della Champions. Un ottimo motivo per non naufragare nel mare portoghese.


Roma, la sera dei miracoli. Perotti: «Entrare nei quarti per ripulire l’immagine»

CORRIERE DELLA SERA - Diego Perotti potrebbe avere una maglia da titolare nella notte senza ritorno perché l’argentino ha spesso trovato nuova vita in Champions League. Il 28 maggio 2016, il giorno dell’addio di Francesco Totti al calcio giocato, segnò il gol nei minuti di recupero che permise alla Roma di andare direttamente nel tabellone principale. Lo scorso anno segnò contro il Chelsea nel 3-0 dell’Olimpico e contro il Qarabag: un gol importantissimo perché garantì qualificazione e primo posto negli ottavi. Per Perotti, proprio come per Di Francesco, può essere l’occasione per una grande rivincita, lasciando alle spalle tanti dolori, ultimo il derby perso senza combattere: «La cosa peggioreèstata rimanere fuori per tanto tempo e non poter dare una mano ai compagni. Ma adesso non conta più nulla: dobbiamo dare una risposta con i fatti, in campo. Una partita come questa può aiutarci a cancellare, almeno in parte, l’immagine che abbiamo lasciato nel derby. E di una cosa potete stare sicuri: siamo al cento per cento con l’allenatore».


Bufera Pastore, tra nuovo stop e l’insulto a Di Francesco

CORRIERE DELLA SERA - Continua il momento nero di Javier Pastore, che non è partito ieri con la squadra per il Portogallo a causa di un problema muscolare al polpaccio sinistro. Un infortunio certificato dagli esami sostenuti lunedì scorso, l’ennesimo di una stagione fin qui fallimentare per l’ex Psg, arrivato la scorsa estate per 24.7 milioni di euro. [..] Col tecnico il feeling non è mai nato, e sabato sera durante il derby c’è stato un episodio che probabilmente ha sancito la fine del rapporto: al momento di entrare in campo, l’argentino ha gettato in terra in segno di stizza la pettorina con cui stava facendo riscaldamento e ha rivolto, in maniera plateale e udibile a tutti quelli presenti nei dintorni della panchina, un epiteto irriguardoso nei confronti dell’allenatore, che sul momento ha fatto finta di non sentire. Inevitabile un confronto al chiuso dello spogliatoio, a cui è però seguito l’ennesimo infortunio.


Di Francesco, tutto in una notte: «Io supportato, mai sopportato»

CORRIERE DELLA SERA - «Supportato sì, sopportato no». Eusebio Di Francesco dà il titolo in mezzo a una conferenza stampa in cui nasconde più che rivelare. Sa di essere di fronte all’ennesimo esame — il ritorno degli ottavi di Champions League — e lo aggredisce con orgoglio: «Ho affrontato la pressione dal primo giorno che sono arrivato alla Roma, però amo il mio lavoro e le scelte le faccio io. Manderò in campo i giocatori che mi sembrano più pronti per andare in battaglia. Il mio futuro non importa, conta solo la Roma. Non gioco io, non è la partita di Eusebio Di Francesco». Tra gli spettatori attesi al Do Dragao per Porto-Roma ce n’è uno particolarmente interessato: Paulo Sousa. Il Bordeauxha aumentato la posta e offre al tecnico 2,3 milioni per due stagioni. Sousa, guarda caso, ha preso tempo fino a domani. C’è poco da nascondersi: la partita è l’ultima spiaggia per Di Francesco e, chissà, per molti giocatori giallorossi. Il tecnico minimizza: «Sousa viene alla partita? Non mi darebbe fastidio, come hanno fatto certe sue dichiarazioni. Guardare le partite allo stadio, quando si è disoccupati, fa parte del lavoro. Magari capiterà anche a me».


Conceiçao: «Loro in crisi? Non mi fido, ma passiamo noi»

LEGGO - BALZANI - «Vinceremo, senza fretta». Un altro (ex) laziale vuole regalare un dispiacere alla Roma e a Di Francesco. Si tratta del tecnico del Porto Sergio Conceiçao che stasera proverà a ribaltare il 2-1 dell’andata e a riscattare la sconfitta col Benfica che sabato gli è costato la testa della classifica: «Dobbiamo essere aggressivi, ma anche efficaci in difesa, dobbiamo saper aspettare. L’equilibrio sarà la chiave per vincere la partita. Dobbiamo essere preparati a una squadra che difenderà un punteggio favorevole, ma se giochiamo come sappiamo possiamo arrivare ai quarti». Conceiçao non si fida della crisi della Roma: «Tutti siamo in difficoltà, ma non deve pesare. Contano poco le chiacchiere quando l’arbitro fischia. La Roma resta una grande squadra». Il Porto ha recuperato Marega e Corona in attacco.


Passo d'addio

LEGGO - BALZANI - «Il mio futuro? Conta solo il passaggio del turno». Il lungo addio di Di Francesco potrebbe consumarsi tra i famosi ponti di Porto, più precisamente in uno stadio il Do Dragao esaurito in ogni ordine di posti.
In una serata in cui la Roma si gioca per il secondo anno di fila l'accesso ai quarti di ChampionsLeague e la possibilità di riscattare il derby perso malamente sabato scorso. In caso di eliminazione il destino di Eusebio sarebbe segnato, anche in caso di successo (dorato, visto che vale 15 milioni) potrebbero arrivare le dimissioni del tecnico ormai sfiduciato da squadra e società. Compreso Monchi, che l'ha difeso fino a che ha potuto, ma che ormai (visto l'imminente addio del ds vicinissimo all'Arsenal) non ha più voce in capitolo. Di Francesco è rimasto scottato dall'atteggiamento di alcuni giocatori e fa pensare l'esclusione dai convocati di Pastore(ufficialmente per un nuovo problema al polpaccio) che proprio durante il derby aveva avuto uno screzio verbale con l'allenatore al momento dell'ingresso in campo.
Per la successione sembra una corsa a due tra Panucci, pronto a lasciare l'Albania di cui è ct, e Paulo Sousa che dovrebbe assistere dal vivo al match di stasera e che ha messo in stand by il Bordeaux. Sembra un duello perché è tornato in quota il nome di Ranieri, l'aggiustatore con cui la Roma sfiorò il titolo nel 2010. Sembra tramontare invece l'ipotesi Donadoni. Eusebio ha preferito parlare del match ma ha lanciato pure qualche segnale: «Non conta il mio futuro ora, conta solo la qualificazione. Ed è quello che dovrebbe interessare a chi ha nel cuore la Roma. Mi piacerebbe essere supportato, e non sopportato. Ma non gioco io contro il Porto. Non è la partita di Di Francesco. Sarà importante la fase difensiva e sceglierò i titolari guardando in faccia la squadra. Questa sarà una battaglia e contano tanti aspetti. Momento complicato? Il più difficile è sempre quello che deve venire. La presenza di Sousa? Non sapevo ci fosse, ma non c'è niente di male. Un conto è fare certe dichiarazioni, un conto guardare le partite. Potrebbe capitare anche a me...». Frasi amare. In quello che potrebbe essere l'ultimo atto DiFra si affiderà alla coppia Manolas-Marcano mentre in porta Mirante insidia seriamente il posto a Olsen. In attacco dovrebbe rivedersi Perotti: «Raggiungere di nuovo i quarti sarebbe un risultato incredibile, dobbiamo cancellare il derby».


Triste, solitario e infortunato: Pastore resta fuori

GAZZETTA DELLO SPORT - Pastore non farà parte del gruppo dei «cavalieri» chiamati a fare l’impresa, perché tradito ancora una volta dai suoi polpacci di vetro, secondo la versione ufficiale. Il problema è che l’universo giallorosso - dopo le indiscrezioni uscite sul suo screzio con Di Francesco nel derby - non crede molto all’infortunio, ritiene che sia una copertura. Ma il paradosso in fondo è un altro. Fra Psg e Roma, gli stop a causa del polpaccio sono stati più di venti. Un’enormità, quasi come il gesto di gettare a terra la pettorina, non mormorando parole gentili, al momento di entrare in campo contro la Lazio: troppo tardi, secondo il pensiero del «Flaco», che comunque si è parlato con l’allenatore, prima della scelta di non convocarlo.